Il Parlamento del Regno d'Italia/Quintino Sella 2
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deputato.
Vi sono in alcuni paesi di provincia delle famiglie che sembrano aver ricevuto mandato dalla Provvidenza di rappresentarla colà, tanto è continua, perseverante e benefica l’azione ch’esse vi esercitano.
Nelle grandi città avviene di rado che si verifichi il caso di un simile patronaggio, o se mai, si estende appena ad una via o ad un quartiere, e ne profittano al più qualche cento persone; in provincia il suo raggio è talora immenso, e migliaja, e migliaja d’individui ne fruiscono.
Ogni sorta di bisogno, ogni gradazione di miseria, ogni specie d’infortunio batte alla loro porta, e questa și apre sempre, e sempre n’esce l’ajuto, il sollievo la consolazione, e non effimeri,, non momentanei, ma durevoli, seri, efficaci.
Il nome di quelle famiglie è su tutte le bocche, onorato, benedetto; la gratitudine — virtù rara nelle classi elevate, ma frequente nelle medie e più nelle basse, trova una quantità di modi ingegnosi per esternarsi, e loro innalza poco a poco un monumento morale, cento volte più saldo, gigantesco e ammirevole, che nol si valga a costrurre coi marmi e coi bronzi.
Si comprende agevolmente quale e quanta influenza i membri tutti di quelle famiglie debbano possedere nei propri luoghi, e, come se questi appartengono ad un paese retto costituzionalmente, gli effetti di tale influenza abbiano a farsi risentire fino nelle più alte sfere dell’amministrazione dello Stato, nelle quali pertanto, un posto cospicuo a taluno di loro, non può non essere promesso.
E questa è appunto nel Biellese la posizione del parentado dell’onorevole rappresentante, di cui ci accingiamo a discorrere.
I Sella sono onesti, attivi, intraprendenti fabbricanti di panni, i quali non hanno risparmiato mai, nè cure nè spese, nè studi d’ogni maniera, onde dare all’industria da essi praticata tutto quel maggiore sviluppo di cui fosse in Italia suscettibile, e il successo e la fortuna, che non sempre ricompensano gli sforzi costanti degli uomini d’ingegno e di volontà, questa volta hanno sollevata la benda, e si son messi dal lato di chi ampiamente li meritava.
A misura che acquistavano ricchezze, i Sella aumentavano il numero, di già considerevole, delle loro beneficenze, e le loro officine davano ricetto a una quantità maggiore di artefici, trattati esemplarmente. Essi, modesti e semplici di modi, affabilissimi coi loro dipendenti, operosi sempre, educavano i propri figli a forti studi e ad una scuola di alta moralità, pensando a farne probi ed utili cittadini per la patria.
Quintino fu avviato alle matematiche, sebbene il suo ingegno, vivo e versatile, avesse, per avventura, fatto palese essere in lui la stoffa per riuscire un distinto avvocato, o un uomo di lettere d’alta levatura. Mai suoi genitori, nel fargli battere la carriera dell’ingegnerato, che la giusta apprezzazione delle tendenze dell’epoca lor additava come una delle più opportune, gli lasciavano, d’altronde, libero il campo, e gli fornivano anche tutti i migliori mezzi onde arricchirsi di ogni sorta d’altre utili cognizioni. E il Sella toccava a tutto, e non superficialmente - chè anzi la natura del suo ingegno lo porta ad approfondire le cose quindi, con quello spirito d’ordine che caratterizza gl’individui della sua famiglia, distribuiva e classificava tutto nella sua mente, in guisa tale da poter poscia, fornito qual’è di prodigiosa memoria, servirsene con pari precisione e prontezza al bisogno.
Finiti gli studi in patria, fu mandato a Parigi a perfezionarsi a quella scuola delle miniere, dalla quale sono usciti, ed escono ogni dì, gli uomini d’arte i più seriamente istrutti che si conoscano.
Approfondite colà in ispecial modo la metallurgia e la scienza geologica, non appena rientrava in Italia, che non tardava a richiamar sopra di sè la pubblica attenzione, dando fuora scritti molto profondi, e dirigendo con grande maestria difficilissimi lavori.
Questi suoi meriti personali, e quelli che sopra abbiam mostrato appartenere alla di lui famiglia, gli valsero l’elezione a rappresentante dal collegio di Cossato.
Egli sedeva da qualche tempo in Parlamento, senza che la generalità del pubblico lo avesse particolarmente distinto, sebbene alcuni dei suoi colleghi della Camera, sopratutto quel penetrante ingegno ch’era il conte di Cavour, apprezzassero di già le brillanti qualità e la solida dottrina del giovine ingegnere; quando gli accadde, crediam noi, per la prima volta, di prendere la parola intorno ad una questione d’un ordine affatto secondario: quella della progettata soppressione dell’università di Sassari.
Noi assistevamo in tal giorno alla tornata parlamentare, e possiamo asserire, che l’effetto prodotto dal discorso del Sella fu immenso. Da principio, nessuno o quasi nessuno prestava attenzione al giovine oratore, ma ben presto la sua facilità di parola, l’acume dei suoi frizzì, sparsi di sale attico della miglior qualità, lo stringere degli argomenti coi quali circondava come d’inestricabile e d’infrangibile rete i suoi avversari, non solo valsero a far tacere tutti i rumori, a ripopolare tutti i banchi, ad attirare tutti gli sguardi e far tendere tutte le orecchie, ma ben presto provocarono i sorrisi di approvazione e gli applausi.
Da quel momento, il Sella emerse dalla massa assai piana de ’suoi colleghi, da quel momento fu facile pronosticare che salirebbe, e molt’alto.
L’occasione non si fece aspettare.
Quando il Rattazzi fu incaricato dal re, dopo la dimissione del Ricasoli, di comporre un nuovo ministero, si rivolse al Sella, onde indurlo ad accettare il portafogli delle finanze. Crediamo sapere che il Sella esitasse assaissimo, e rifiutasse a più riprese; le insistenze ripetute, incessanti, trionfarono alla perfine della sua ripugnanza, ed egli acconsenti a entrare di quel modo in quel gabinetto.
La prima notizia che si sparse di tale avvenimento trovò un numero infinito d’increduli; più tardi, quando la si seppe accertata, alla sorpresa, nell’animo di molti, successe il rincrescimento ed anche, bisogna pur dirlo, la disapprovazione.
È d’uopo ricordare che in quel punto, i partiti più o meno regionali che si erano assai celatamente formati l’indomani della morte di Cavour, cominciavano a manifestarsi più audacemente, e quelle tristi parole di piemontesismo e di toscanismo servivano più che nol si sapesse credere, ad aizzar le discordie e a suscitare i rancori. Il veder dunque il Sella, che si era sempre mostrato un franco cavouriano, acconsentire a trarre d’imbarazzo il Rattazzi coll’entrare in una composizione ministeriale creata da lui, fece una non buona impressione sull’animo degli uomini politici appartenenti a quell’antica e pura maggioranza parlamentare, ch’era, qualche volta, venuta a transazione, ma mai a conciliazione perfetta col partito retto dal rappresentante d’Alessandria.
Per quei tali, l’entrata del Sella nel ministero Rattazzi era una specie di defezione, era una quasi adesione ad una côterie regionista.
Altri poi, facevano altro addebito al deputato di Cossato: essi avrebbero compreso benissimo che il Sella fosse stato messo alla testa del ministero d’agricoltura e commercio, o se si voleva anche, del ministero dei lavori pubblici; ma que’ tali non sapevano darsi pace, che si fosse avuta l’idea di confidargli il gravissimo carico delle finanze, e ch’egli avesse potuto indursi ad assumerlo. Non diciamo poi di quelli, i quali non ammettevano a verun patto che si potesse decorosamente sostenere il pondo d’un portafogli, quando non si aveva sulle spalle che il troppo leggero carico di trentacinque anni; per cotestoro la di lui nomina era quasi uno scandalo.
Tutte queste critiche, e queste improbazioni, che il Sella riusciva a travedere con quella finezza di discernimento che è una delle sue incontestabili qualità, non lo sbigottirono, nè lo sgomentarono un solo istante.
Postosi all’opera con tutta l’attività, circondatosi di persone capaci ed esperte, dotato qual è di svegliatissima intelligenza, si trovò presto al fatto di tutto, e fu, in breve termine, in caso di camminare del suo proprio moto.
Vero è che la strada gli era già stata in gran parte tracciata dal suo abile predecessore, il conte Bastogi; tuttavia, non si deve meno dar lode al deputato di Cossato per aver talmente approfonditi i vasti progetti del banchiere toscano, da mettersi in grado di prepararne efficacemente l’attuazione.
Mentre egli stava tutto intento a così difficile opera, cadde d’improvviso, e pe’ motivi che ognun ricorda, il gabinetto presieduto dal Rattazzi. Il Sella, solo membro di quel gabinetto che fosse, per così dire, rimasto ritto sui suoi due piedi, si mosse tosto ad un viaggio in Inghilterra, ove si recò a studiar davvicino l’organismo di quell’imposta, detta l’income-tax, che doveva essere imitata colla legge gravante tra noi i redditi della ricchezza mobile.
Rientrato in Italia, continuò ad occuparsi quasi unicamente di finanze, e prese parte grandissima e notevolissima a tutte le discussioni che ebbero luogo intorno ai progetti di legge sul dazio consumo, sulla tassa della ricchezza mobile, e sulla perequazione fondiaria. Il suo contegno verso il ministero presieduto dal commendatore Minghetti fu assai riservato, nè mancò di abilità. Il Minghetti aveva dovuto consultarlo più volte nel tempo che aveva retto il portafogli delle finanze; quindi non gli sarebbe stato ragionevolmente possibile di collocarsi contro di esso dal lato dell’opposizione. Solo, quando il deputato Saracco diresse al presidente del Consiglio la sua interpellanza intorno alla situazione del tesoro e alle condizioni finanziarie dello Stato, il Sella credette giunto il momento di far manifesta la divergenza esistente tra le vedute del l’onorevole Minghetti e le proprie circa alle conseguenze avvenire del sistema da questi iniziato. Egli accusava le prinne di ottimismo, e consigliava l’adozione di misure più energiche e più immediate.
In questo mezzo accaddero i troppo famosi casi di Torino; il Sella, che formava parte del Consiglio comunale della città, si condusse anche in quella occasione con molta assennatezza; ne adduciamo a prova le parole da esso proferite nella seduta straordinaria di quel Consiglio, tenuta il 21 settembre, e che riproduciamo, estraendole dal processo verbale.
«Il consigliere Quintino Sella conviene con Ara nell’idea che il governo abbia agito poco convenientemente nel modo e nelle vie tenute nel far conoscere al pubblico l’esistenza e le condizioni del Trattato.
«Quanto alle voci, di cui ha fatto cenno il consigliere Chiaves, egli se ne spiega l’origine dacchè, mentre tutti lamentano il malcontento che nascerebbe in queste popolazioni pel trasporto della capitale in altra città fuora di Roma, alcuni paventano che questo malcontento giunga a segno da rendere possibile la separazione di parte del Piemonte dal rimanente d’Italia. Ma se egli capisce voci di questa fatta in piazza e nei primi momenti di bollore, non potrebbe udirle in un con sesso, come il Consiglio comunale, senza dichiararle in pericolo e una assurdità.
«Pericolo è, a di lui senso, dare occasione a dire che secondo il Consiglio comunale l’adozione del trattato equivale alla cessione in parte del Piemonte. Assurdo poi, secondo lui, il pensare che l’assetto d’Europa non debba progredire secondo la nazionalità ed i confini naturali, o l’immaginare che i negoziatori di questo trattato non abbiano capito che i Francesi a Torino vorrebbero dire gli Austriaci a Bologna».
Questi sono nobili e patriottici detti, dei quali si deve tanto più saper grado al Sella, ove si rifletta in qual circostanza, e in qual luogo li profferisse.
La costituzione del gabinetto La Marmora restituì il portafogli delle finanze al rappresentante di Cossato. Ed invero egli era il solo uomo di Stato al quale quel portafogli potesse dalle mani del Minghetti passare.
Il discorso con cui, appena riaperte le Camere, egli ha proposta l’adozione di varie energiche misure per venire in aiuto alle finanze, ha prodotta una profonda sensazione, che a taluno è potuta sembrare perfino incresciosa, tanto esso è schietto, esplicito, è diremmo imperativo. Quanto più il Mingheiti era stato sempre per indole sua propenso a dipingere le cose con lieti colori, altrettanto il Sella si crede in obbligo di dissipare le illusioni, non solo, ma ili esagerare quasi in senso pessimista.
Noi non lo sappiamo rimproverare per ciò, e siamo d’avviso che se il prestito è stato votato senza andar tanto per le lunghe, se le ferrovie sono state vendute, e lo sono stati i beni demaniali, senza che le solite declamazioni della sinistra si sieno protratte ed abbiano occupato un numero infinito di sedute, si deve esserne riconoscenti alla brusca sincerità del Sella.
Gli atti consecutivi della sua amministrazione hanno fin qui corrisposto a quel coraggioso principio; egli matura l’opera, difficile senza dubbio, ma non impossibile, della parificazione del bilancio dello Stato.
Quando si sa come avversi ogni sorta di esagerazione, e soprattutto quelle in senso soverchiamente fiducioso, è lecito di avere confidenza in esso, e tanto che lo si vede non abbandonare il timone dell’agitato naviglio, la speranza è permessa.
Recentemente, un attacco della natura là più schifosa, è apparso, contro il ministro delle finanze, in un organo, che non vogliamo qualificare, della stampa periodica. Questo attacco era ridicolmente assurdo: tuttavia nella famiglia Sella si è troppo avvezzi a non transigere menomamente in fatto d’integrità di reputazione perchè l’onorevole deputato abbia creduto dover rimanere inattivo dinanzi la sudicia accusa, e ciò malgrado i consigli venutigli da più parti, e autorevolissimo di disdegnarla. Egli ha citati al cospetto dei tribunali i diffamatori, i quali, come era ben da aspettarsi, o non si sono presentati, o si sono smentiti a vicenda, o si sono disdetti; ma, secondo noi, un’alta ed efficace lezione di moralità emana da quel dibattimento: che gioverà da un lato a dar maggior forza agli uomini politici di perdurare coraggiosamente, e nonostante ogni bassa opposizione, nell’intrapresa via, dall’altro è da sperare serva di ammonimento agl’incauti, ii quali con soverchia facilità porgono orecchio alle calunnie che tutto dì vengono scagliate contro i più stimabili e benemeriti personaggi del risorto paese.