Il Parlamento del Regno d'Italia/Diodato Pallieri
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senatore.
Bisogna convenire, che coloro i quali asseriscono che una delle principali ragioni per cui l’ordinamento del nuovo regno italiano non procede con quella regolarità, e con quella speditezza che sarebbero desiderabili, sta in ciò che la riorganizzata nazione, manca pur troppo di amministratori tanto abili quanto pratici, i quali valgono a cementare rapidamente e a consolidare le recenti istituzioni.
Non è cosa facile, come ognun sa, il poter creare in un breve spazio di tempo un numero sufficiente di buoni impiegati, e quelli che già esistevano in Italia per avere appartenuto alle amministrazioni dei singoli Stati in cui l’Italia stessa allora dividevasi, non sono, come l’esperienza mostra tuttodì, idonei per la maggior parte, ad adempiere all’ufficio riserbatogli sotto un modo di governo tanto diverso da quello che essi servivano. Se vi ha impiegato italiano il quale possieda una utile tradizione e modelli da imitarsi, questo è appunto l’impiegato piemontese, il quale nel decennio in cui il regno subalpino ha goduto delle franchigie costituzionali, è stato in grado di affazzonarsi ai doveri ed ai bisogni di quelle, tanto che, ha potuto esser di già abbastanza dotto e sicuro nelle sue gestioni, da non fallire agli obblighi suoi, e da contribuire efficacemente ad aiutare il progresso dello Stato.
Questo noi diciamo, mentre c’incombe di parlare appunto di un uomo, il quale ha percorso la carriera degli impieghi, servendo con molto zelo e capacità, esercitando importanti missioni e occupando per assai lungo tempo l’elevato posto di segretario generale al ministero dell’interno.
Elevato più tardi alla dignità senatoriale, e a quella pure cospicua di consigliere di Stato, il conte Pallieri, continuava a rendere importantissimi servigi, prendendo una parte delle più attive alle discussioni della onorevole assemblea, e agli studi e alle deliberazioni di quella eccelsa magistratura.
Il conte Pallieri, sembra non essersi completamente associato alle ultime risoluzioni adottate nel Parlamento, ed ha votato contro la legge la quale approva la Convenzione del 15 settembre, riguardante l’evacuazione da Roma per parte dei Francesi, e il trasferimento della capitale a Firenze. Ciò non ostante, noi speriamo che il conte Pallieri, al pari di molti altri onorevoli senatori i quali hanno avversato e combattuto ostinatamente quel disegno di legge, non vorrà, perchè esso fu a grande maggioranza approvato, ritirarsi dal maneggio della cosa pubblica, e privare l’Italia dei lumi di un uomo versato qual egli è nella difficile scienza dell’amministrazione.