Il Parlamento del Regno d'Italia/Francesco Marolda Petilli
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deputato.
Nel Napoletano vi è esempio di molte famiglie, le quali di padre in figlio e da tempi assai lontani fino ai nostri si dichiararono sempre avverse al Governo borbonico, e non accondiscesero mai nè per blandizie nè per minacce a venire a composizione con esso.
Quella del deputato di cui siamo ora a discorrere è appunto da mettersi in tal numero.
Il padre di esso, infatti, si compromise si gravemente, che dovette nel 1799 esulare in Francia e viverci molti anni.
Francesco Marolda è nato nel 1823 in Muro-Lucano (Basilicata) e si è dato di buon’ora allo studio della giurisprudenza laureandosi nell’uno e nell’altro diritto.
Quindi il Marolda si ritrasse a vivere la vita quieta e raccolta della famiglia occupandosi in modo speciale di studi d’economia, come di quelli che prevedeva po tessero renderlo un giorno in grado di giovare al proprio paese, ove tali sorta di studi sonoo almeno erano per l’addietro assai trascurati.
Resultato della sua costante applicazione ebbe a dare alle stampe di là a non molto un’operetta la quale egli ebbe il vezzo d’intitolare: Un’utopia fra tante utopie, o del lavoro».
Questo titolo semi-umoristico nasconde, o per dir più giusto, sta in fronte ad uno scritto il quale a più d’un titolo è degno dell’osservazione del filosofo e dell’uomo di Stato. Egli n’ebbe plauso, e l’occhio dei suoi concittadini si volse con maggiore attenzione sopra di esso, e lo addito come persona sulla quale si potesse far conto quando arrivassero i giorni nei quali ai figli d’Italia fosse concesso direggerci a loro posta.
I giornali analizzarono quel libro e n’ebbero a dire più bene che male; quantunque alcune volte non valga al cospetto di quei dispensatori di biasmo o di lode il titolo il più equo a riscuotere plauso, e lor sembri cosa assai spiacevole di dover commendare chi non sappia mettersi specialmente nelle loro buone grazie.
La polizia borbonica risvegliata dal romore che fece quell’opuscolo, si mise a guardargli dentro colle sue lenti acutissime a vedere il bene, e scortovelo infatti, non ebbe nulla di più premuroso che di metterlo all’indice e di adoperarsi perfino a ricercare le copie che n ’ erano rimaste presso qualche librajo, condannandole senza remissione all’auto da fè.
E di fatto poteva egli darsi bestemmia più empia alle orecchie della sbirraglia borbonica, che la proposta di migliorare la situazione del proletario, e d’indicare i mezzi, come il Marolda nel suo libro faceva di venir realizzando colla maggior prontezza possibile una proposta simile? Certo al Marolda non fu dato di conseguire appieno lo scopo ch’ei s’era prefisso di raggiungere; ma quel popolo verso il quale il suo cuore si è sempre sentito portato tanto che ogni suo desiderio più vivo, quello era appunto di rendersegli utile in alcun modo che efficacefosse, quel popolo, diciam noi, ha saputo conoscere ed apprezzare a dovere i filantropici intendimenti del nostro protagonista, e dal canto suo ha stabilito che ove un giorno venisse in cui fossegli dato di esternare con quella libertà ch’era affatto negata sotto il Governo borbonico, i propri sentimenti e le proprie simpatie, di queste e di quelli avrebbe senz’altro dato al suo benefattore un pegno sincero.
Il Marolda continuò intanto la sua vita onesta e laboriosa, ogni di più amato, ogni di stimato di più.
Meno che quelle persecuzioni fatte al suo libro, la polizia borbonica non si attentò a prendersela direttamente coll’autore di esso, benchè v’ha luogo a credere che il desiderio di farlo non le mancasse, Ma il Marolda, a vero dire, vivendo, come vivea, ritiratissimo, non le dava appiglio di sorta, di modo che forse anco ingannandosi sul di lui conto, lo sorvegliava sempre ma non lo tormentava altrimenti.
Cosicchè come gli abbiamo udito dire a lui stesso in un circolo d’amici che si raccontavano qualcheduna delle più saglienti peripezie della loro vita, egli non può mettersi nel numero dei martiri. Ma l’uomo dotato di un ingegno assai vasto per compiacersi ad approfondire con frutto proprio e d’altrui studi così severi quanto utili, quali son quelli che vertono intorno ai sistemi economici destinati ad ammegliare le condizioni dei popoli, non può non prevedere quando debba giungere l’ora predestinata in cui i destini di una nazione abbiano definitivamente a cambiare. Cosi avvenne che il Marolda sorrise agli eventi del 1860, ed egli in apparenza inattivo si mise tosto ad ajutare ed a favorire in mille modi e tutti quanti proficui ed effettivi il gran moto rivoluzionario che stava allora così meravigliosamente iniziandosi.
Allora si conobbe meglio cosa fosse, cosa sapesse e cosa potesse il Marolda Gli furono affidati molti incarichi, tutti di somma importanza ch’egli disimpegno in modo da far tutti contenti, e Dio sa quanto ciò sia difficile in questo mondo ove se si appaga uno si rischia sempre dispiacere a dieci.
Egli è vero che il Marolda si mostrava ed era sempre disinteressato, e ciò contribuiva non poco a far si che niuno avesse a sua volta interesse a trovare che fosse fatto male ciò che non era fatto mai in qual si fosse caso per vantaggio personale di sè o de’ suoi.
Più tardi sapendosi, com’era giustizia, molto grado al Marolda per quanto egli si era adoperato in vantaggio della cosa pubblica, gli si offersero impieghi ed anche assai elevati a titolo di compenso. Ma il Marolda si era sempre com’egli stesso diceva contentato del poco, non aveva quella sorta d’ambizione che consiste nel vedere alcuni uomini nostri uguali affaticarsi a curvare la spina dorsale onde tenersi in una certa postura che valga a mostrar meglio in faccia a noi quanto caso di noi essi facciano, di modo che rifiutò ricisamente ogni qualunque carica ed incombenza compensativa.
Ma i suoi concittadini vollero mettere anche una volta a prova la di lui abnegazione e lo elessero a proprio rappresentante in seno al Parlamento nazionale.
Il Marolda accettò un tanto onore, e venuto alla Camera si sedette a sinistra e votò quasi sempre con questa, sebbene tuttavia noi sappiamo ch’egli non ha impegni di sorta, e che se si è seduto da quel lato dell’Assemblea l’ha fatto piuttosto per mostrare chiaro a tutti ch’egli è e che vuol rimanersi indipendente, piuttosto che per partito preso di votare costantemente col Mordini e compagni, ammesso che questi ultimi fossero anche in tutte le quistioni d’accordo per votare uniti.
Il Marolda pubblicò non ha guari un resoconto intorno alla situazione finanziaria che è sembrato esagerato a varî tra i principali organi giornalistici di Torino.
La Gazzetta e La Stampa sopratutto lo criticarono assai vivamente. Ma l’esposizione fatta in questi ultimi giorni dal ministro Sella prova che il quadro trovato dal Marolda non era poi tanto lontano dal vero, quanto lo si predicava altamente.