Il Parlamento del Regno d'Italia/Giuseppe Gallotti

Giuseppe Gallotti

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Eugenio Del Giudice Francesco Marolda Petilli

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senatore.


Da un antica e nobilissima famiglia, nacque in Napoli nel 1803 il barone Gallotti il quale ebbe l’invidiabile fortuna di potere avere a proprio professore di letteratura, quel celebre ingegno che fu il marchese Basilio Puoti, il quale lo avviò così efficacemente nella carriera delle lettere, da permettergli in età ancora assai giovanile, di prendere parte attiva alla redazione [p. 978 modifica]di quell’importante periodico, che ebbe per titolo il Progresso.

Poco più tardi il giovine scrittore mise alla luce due romanzi, dei quali il primo proponevasi lo scopo santissimo di scaldare agl’Italiani il petto d’amor patrio, citando loro un esempio chiarissimo di questo affetto, il più puro che l’uomo possa nutrire; il secondo aveva pure per oggetto un fine caritatevole ed utile, mentre doveva servire a far si che il Governo borbonico ed in ispecial modo il ministro di polizia, s’inducessero finalmente a porre un termine a quel barbaro sistema di servizio che veniva metodicamente impiegato nelle prigioni di Napoli. E gli è inutile dire che non valse disgraziatamente l’opera filantropica del barone Gallotti, a mutare in niente un regime dei più barbari che abbiano mai esistito, regime che doveva cessare soltanto col dispotismo esercitato dalla dinastia borbonica al momento della caduta faustissima di questa casa.

Nel 1848 il barone Gallotti, il quale ispirava a buon dritto molta fiducia ai propri concittadini, ebbe il comando di un reggimento della guardia nazionale della metropoli, fu eletto deputato à quel Parlamento, e questore nella Camera napoletana.

In questa Camera il Gallotti capitanava la destra, perchè aveva piena ed intiera fede nelle promesse fatte da Ferdinando II, ch’egli riteneva non esser mai per infrangere il patto da esso giurato solennemente al cospetto dei rappresentanti della nazione.

Ma il disinganno quanto meno preveduto, tanto duveva essere più doloroso per il Gallotti, il quale appena ebbe inteso come il Decurionato della città di Napoli stesse per cedere alle ripetute istigazioni del Governo, e s’inducesse a chiedere l’abolizione della costituzione, si recò con quanta maggior prontezza potè presso quel civico corpo, e si adoperò a tutt’uomo, onde questi non insistesse nella presa determinazione, e non si inducesse a seguire i perfidi consigli che gli venivano dati, facendogli osservare come fosse per motivare la ruina delle sorti della patria.

Caduto come tutti ricordano, dietro l’urto delle [p. 979 modifica]baionette svizzere il reggimento costituzionale in Napoli, il barone Gallotti si ritrasse a vivere vita privata, visto però sempre di mal occhio dalla polizia borbonica, la quale finalmente nel 1855 ne prese talmente ombra da indursi ad esiliarlo in Malta nel tempo istesso, in cui vi esiliava pure l’altro egregio patriotta marchese Caracciolo di Bella.

Nel 1860, quando si era già alla vigilia della caduta provvidenziale del trono borbonico, il Gallotti venne arrestato. Ma la sua prigionia non durò che poche ore, e fu l’ultimo e debole sforzo della tirannia vicina a morire.

A quest’ora il barone Gallotti ha ricevuto la ricompensa che il suo patriottismo gli ha meritato, avendo avuto l’onore di essere elevato alla dignità senatoriale.

Non dobbiamo dimenticare, di ricordare come il barone Gallotti oltre le opere letterarie che abbiamo sopra citate, abbia dato alla luce in Napoli un opuscolo intitolato: Del ribasso del valore permutabile dell’oro e delle conseguenze che dovranno derivare da tale ribasso.