Il Parlamento del Regno d'Italia/Carlo De Cesare

Carlo De Cesare

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Gabriele Maza Pietro Mazza
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Carlo De Cesare.

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DE CESARE CARLO

DEPUTATO.


È nato in Spinazzola di Terra di Bari il 12 novembre del 1824 da Raffaele e Francesca San-Germano, entrambi appartenenti a nobili famiglie. Fu educato fin dalla tenera età nel collegio reale di Potenza, dal quale uscì a 15 anni avendo già conosciuti gli studi di belle lettere. Studiò leggi allora, ebbe laurea, e sembrandogli dapprima di voler dedicarsi alla professione di avvocato, ebbe poscia a smetterne il pensiero e concorse pell’alunnato di magistratura. Su 574 concorrenti cinque soli furono approvati e nel numero di quei cinque si trovò il De Cesare.

Bisogna dire che gli studi legali non occupavano soli il giovine magistrato, il quale fino dall’età di 16 anni pubblicava vari suoi scritti letterari, e prendeva parte alle redazioni di vari giornali di piccolo formato, quali L’Omnibus, il Salvator Rosa ecc. ecc. Nel 1841 [p. 437 modifica]ei dette alla luce un volume di versi; nel 1845 pubblicò un romanzo storico: Il conte di Minervino, che fu posto nella collezione de’ più scelti romanzi pubblicati allora dal fiorentino Batelli. Due anni dopo il De Cesare dava alla luce due nuovi volumi di versi, e nel 1847 metteva fuora una memoria sui demani dell’ex-reame di Napoli.

Nel 1848, giovine e ardente, si gettò a tutt’uomo nella rivoluzione, pubblicando nel medesimo tempo un suo libro sulla giustizia nel regno di Napoli e un volume di canti nazionali sull’indipendenza italiana in favor della quale aveva por allora snudalo la spada il magnanimo Carlo Alberto. Nè mancava di prender parte alla redazione di giornali politici, scrivendo interessanti articoli nel periodico La Costituzione diretto dal De Virgilii. Perduta la battaglia di Novara dalle armi italiani, la reazione rialzò più che mai orgoglioso il capo nell’antica Partenope, e il De Cesare, che veniva accusato di appartenere, al partito detto Albertino dal gran martire d’Oporto, di cui lo si accusava di aver diffuso e sostenuto le dottrine nella terra di Bari, dovette nascondersi, e quindi andar profugo e ramingo pei boschi di Basilicata, durante ventisette mesi, in cui soffrì ogni sorta di privazioni e di disagi. Costituitosi alfine prigioniero, giacchè eragli impossibile durare più a lungo a condurre simil sorta di esistenza, assoggettato a giudizio, ne risultò non esser sufficientemente provata l’accusa, quindi avrebbe dovuto andar assolto se la Polizia non avesse giudicato opportuno di assoggettarlo a residenza fissa nel suo paese nativo. Il De Cesare si dette allora agli studi agronomici, e mettendo in pratica le nozioni acquistate formò una specie di podere modello che servi d’eccitamento e d’emulazione ai proprietari di Spinazzola, i quali si dettero ad imitarne nelle loro terre i più utili perfezionamenti.

Nè, pago di tali applicazioni di utilità pratica e positiva, il nostro poeta rifuggi dallo studio anche più positivo dell’economia politica, sopratutto in quanto le teorie di questo studio potevano applicarsi alle discipline agricole ed industriali. Come frutto di tali apprendimenti il De Cesare delle alla luce nel 1852 il [p. 438 modifica]suo libro intorno alla ricchezza pugliese, libro la cui pubblicazione sotto la tirannide borbonica fu per parte del nostro protagonista un vero atto di coraggio.

Dopo i moti del 6 febbrajo, avvenuti in Milano, moti che agitarono la terra Barese e sopratutto la città di Spinazzola, il De Cesare venne imprigionato e condotto di nottetempo nel castello di Barletta.

Subito di tal guisa un nuovo processo, ne uscì di nuovo assolto, ma di nuovo per arbitraria misura politica condannato, insieme a suo fratello Michel Angelo, ora giudice di Gran Corte Criminale, alla residenza forzosa per quattro mesi.

Nel 1856, dopo le vivissime istanze spòrte dalla di lui madre, potè lasciare quell’ingrata dimora, resagli anche più grave dall’odio giuratogli contro dal famoso intendente Sandaro.

Recatosi allora in Napoli, gli fu dato dedicarsi di nuovo a tutt’uomo agli studi economici e legislativi, pubblicando di mano in mano le seguenti opere:

Trattato delle prove in materia civile. — Trattato delle enfiteusi. — Il mondo civile ed industriale. — L’industria Asiatica. — Del presente insegnamento economico in Europa. — Della protezione e del libero cambio.

Invitato a far parte del congresso internazionale di Bruxelles che doveva prendere importanti decisioni sulla proprietà letteraria, non potendo recarvisi, essendogli dal governo stato rifiutato il passaporto, scrisse una sua operetta in risposta appunto ai quesiti proposti dal congresso stesso, opera accolta con immenso plauso da quell’assemblea di dotti europei, che addotto in gran parte le conclusioni del De Cesare, convertite poscia in legge dal Belgio.

Al momento della rivoluzione napoletana del 1860, il nostro protagonista fu direttore delle finanze sotto il ministero Scialoja, fino all’installazione della luogotenenza Farini, nè le gravi occupazioni di quell’impiego impedirongli di far veder la luce a due nuove sue produzioni letterario-politiche ch’ebbero in brevissimo spazio di tempo due edizioni: Pier delle Vigne e Del potere temporale del Papa. [p. 439 modifica]

Varie accademie delle principali d’Europa scientifiche e letterarie lo accolsero nel proprio seno, e vari tra i principali giornali francesi, belgi e italiani dettero nelle loro colonne ricetto alle di lui corrispondenze.

Il collegio di Aurenza lo elesse il 27 gennajo del 1861 a suo rappresentante nel Parlamento Italiano.