Il Parlamento del Regno d'Italia/Benedetto Majorana
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deputato.
I Siciliani nascono poeti, come i figli dell’imperatore di tutte le Russie nascon granduchi, per destino inevitabile e senza che loro sia da farne un merito speciale.
Il Benedetto Majorana, è un esempio di quanto noi asseriamo, giacchè fin dalla sua più tenera giovinezza, e prima anche di avere apparato i rudimenti grammaticali, egli scriveva poesie, i cui versi non zoppicavano certo, da lui delicate a Lei; non vi ha bisogno di sapere chi il Lei dovesse indicare.
In progresso di tempo, il giovine e ardente poeta non si limitò ad invocare Apollo e le muse per colei che gli faceva palpitare il cuore del più soave tra i sentimenti, ma più robusti pensieri inspirarono i carni del vate, il quale in essi sfogava il cruccio di vedere gemere ancora in ceppi colei che il sommo poeta sette secoli innanzi, diceva essere serva, e di dolore ostello.
E il dare di questa guisa al proprio affanno uno via di sfogo, non bastava già al Majorana, mentre coll’immaginosa e fervida mente sognava e prediceva tempi di vendetta e di risorgimento, nei quali alfine la gran madre Italia potesse assidersi su quel trono, che da Dante in poi, i più nobili suoi figli, si erano tanto affaticati ad innalzarle.
E più tardi, dopo che nuove traversie, si riversarono sul paese che
«Appennin parte, e il mar circonda e l’Alpi»
e gli amatori i più devoti di esso dovettero soggiacere a tutti i danni e i tormenti che il dispotismo degli stranieri sopra di loro ebbe scagliato, splendettero alfine i giorni tanto invocati della riscossa e della rigenerazione, il Benedetto Majorana fu uno di quelli, verso i quali gli sguardi dei propri concittadini, come si erano rivolti nella sventura così si volsero nella gioia e nella prosperità, onde collocarli a quei posti, i più splenlidi che esistono, nel libero ordinamento ottenuto alfine dalla patria.
Eletto deputato al Parlamento nazionale, sebbene immensa sia la distanza che corre, tra la calda terra dell’Etna, e la città di Cavour, ciò non ostante il Majorana accorreva in questa, vi rimaneva a lungo ad adempiere agli obblighi impostigli dalla sua alta missione, con costanza ed operosità.
Certo l’Italia, in cui da poco pur troppo esistono le franchigie costituzionali, l’Italia i cui figli erano or son pochi anni guidati a bacchetta da un regime cui essi non partecipavano in veruna guisa, l’Italia, diciam noi, non può ancora vantarsi di possedere un gran numero di legistatori capaci, di uomini di Stato profondi, di amministratori abili; ma gl’Italiani, chi nol sa, son tali che possono in breve lasso di tempo superare nonchè uguagliare in questo ancora le potenze straniere di cui in questo pure, come in tante altre bisogna, furono istruttori e maestri.
Che certo non è qui duopo ricordare le corti Medicee, i Guicciardini, i Macchiavelli, e gli ambasciatori illustri delle serenissime repubbliche di Venezia e di Genova, che primi istituirono, può dirsi, le scuole vere e durabili dell’alta politica internazionale.
Quando si rifletta, che l’Italia come nazione non esisteva più da lunghi secoli, e piuttosto non era mai esistita, quando si rifletta che eccetto qualche grande induvidualità, che è sempre sorta nella penisola a di spetto di tutti, quasi a provare ai più increduli che il genio italiano non erasi spento e che poteva gettare da un momento ad un altro i più vigorosi germogli, non si deve risentire la menoma maraviglia nel vedere che nel semenzaio dei nostri futuri uomini di Stato, semenzaio che non è altro che il Parlamento nazionale, non apparisca ancora un numero stragrande di personaggi, i quali ci sembrino i più adatti a reggere le redini d’un governo, o a trattare coi rappresentanti delle potenze estere le gravi questioni internazionali.
Ed ognuno che sia alquanto informato della immensa difficoltà che vi ha a costituire ciò che i Francesi chiamano una buona pépinière di uomini pratici degli affari pubblici, non può sembrare strano che questa non esista ancora, quale sarebbe da desiderarsi in Italia. Ma da quanto noi vediamo, seguendo con occhio attento lo sviluppo delle nostre istituzioni e la storia, e per meglio dire la cronaca quotidiana parlamentare, ci sembra di non essere troppo speranzosi, augurandoci che tra non molto buon numero tra i più giovani membri delle Camere, possa essere in caso di rendere servigi positivi alla patria, sia nella cerchia interna amministrativa, sia nell’esterna diplomatica.
Queste cose abbiamo dette parlando del Majorana perchè al Majorana stesso possono appunto riferirsi, giacchè egli, il quale ha lasciato gli studi delle lettere e il raccoglimento quasi inattivo della vita privata, per venire a sedere membro di un’assemblea sovrana, cui tutte le grandi branche dell’amministrazione interna e delle pratiche esterne dello Stato, sono sotto messe, non si è affatto smarrito in si gran pelago, ma si è messo al suo posto, con modestia ma con operosità ed ha potuto in breve, essere in grado di portare il contributo della propria azione, in quella considerevole assemblea.
Nominato membro di varie commissioni importanti, e relatore di una di esse, ha saputo sostenere il progetto di legge, di cui la difesa, gli era affidata con molta sobrietà ed efficacia di ragionare.
Se il Majorana potesse indursi ad assistere più spesso che non lo faccia di presente, alle sedute parlamentari, noi avremmo sicurezza che la di lui cooperazione potrebbe tornare utile all’andamento della cosa pubblica.