Il Novellino/Parte prima/Prologo

Parte prima - Prologo

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Parte prima - Novella I
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NOVELLINO


del nobele materno poeta Masuccio Guardato da Salerno, intitulato a la illustrissima Hippolita d’Aragona de Visconti Duchessa de Calabria: e in prima el prologo felicemente comencia.1


PROLOGO.


Come che io manifestamente comprenda e per indubitato tenga, inclita et excelsa Madonna, che al sono della mia bassa e rauca lira non si convenga de libro comporre, nè meno de proprio nome intitularlo, e che più de temerità degnamente sarò redarguito, che d’alcuna eloquentia nè molto nè poco commendato; nondimeno avendo dalla mia tenera età faticato per exercitio del mio grosso e rudissimo ingegno, e della pigra e rozza mano scritte alcune [p. 2 modifica]novelle per autentiche istorie approbate negli moderni e antiqui tempi travenute, e quelle a diverse dignissime persone per me mandate, siccome chiaro nelli loro tituli se dimostra, per la cui cagione ho voluto quelle che eran già disperse congregare, e di esse insieme unite fabbricare il presente libretto, e quello per la sua poca qualità nominare il Novellino, e a Te, solo presidio e lume della nostra Italica Regione, intitulare e mandare; a tale che Tu, con la facondia del tuo ornatissimo idioma et eccellenza di tuo pelegrino ingegno, pulendo le molte ruggine che in esso sono, e togliendo e resecando le sue superfluità, nella tua sublime e gloriosa biblioteca lo vi possi licet indigne aggregare.2 E quantunque molte ragioni da quello mi avessero quasi ritratto, e dissuasomi lo non intrare a tal lavoro, pur nuovamente occorrendomi un volgare esempio, il quale non sono già molti anni passati che da dovero intervenne alla nostra Salernitana Città, a ciò seguire mi ha confortato e spronato: e quello prima che più oltre vada di raccontare intendo.

Dico adunque che nel tempo della felice ed illustra recordatione della Reina Margarita3 fu in [p. 3 modifica]questa nostra città un ricchissimo mercatante genoese di gran traffico e notevole per tutta Italia, il cui nome fu Messer Guardo Salusgio, di assai onorevole famiglia nella sua città. Costui adunque passeggiando davanti il suo banco posto in una strada chiamata la Drapperia, ove erano di molti altri banchi e botteghe de argentieri e sartori, e in quello passeggiare gli venne veduto dinanzi ai piedi di un povero sarto un ducato veneziano; il quale come che lutulento e pisto molto fosse, nondimeno il gran mercatante come molto famigliare di quella stampa di contenente il cognobbe,e senza indugio inchinatosi ridendo disse: Per mia fede ecco un ducato. Lo misero sarto che repezzava un juppone per avere del pane, come ciò vide, vinto da venenosa invidia, e, per la extrema povertà, da rabbia con dolore, se rivoltò verso el cielo con le pugne serrate, e turbato molto, maledicendo la giustizia con la potenza insieme d’Iddio, aggiungendo: Ben si dice, oro ad oro corre, e la mala sorte da li miseri non si move giammai; ma io dolente tutto di oggi me ho faticato, nè ho guadagnato cinque tornesi, non trovo se non sassi che mi rompono i calzari, e costui che è signore d’un tesoro ha trovato un ducato d’oro dinanzi li pedi mei, che ne ha quello bisogno che hanno gli morti de l’incenso. El prudente e savio mercatante, che avea fra questo mezzo dall’argentiere che gli stava dirimpetto con foco ed altri argomenti fatto ritornare il ducato alla pristina bellezza, con piacevole viso rivolto al povero sarto, sì gli disse: Buonomo, tu hai torto rammaricarti de Dio, per cagione [p. 4 modifica]che Lui ha giustamente operato farmi trovar questo ducato, imperò che se fosse recapitato in tue mani, lo averesti alienato da te, e se pure lo avessi tenuto lo averesti in qualche vili strazzi posto, e solo, e non a proprio luogo lasciato stare; di che a me avvenerà tutto il contrario, perchè il ponerò coi suoi pari, e in una grande e bella compagnia. E ciò detto si rivolse al suo banco, e buttollo alla summità di molte migliaia di fiorini che in quello erano.

Dunque avendo, como di sopra ho già detto, de le disperse novelle composto il molto pisto e lutulento libretto, per tutte le già ditte ragioni ho voluto a Te, dignissima argentera e perottima conoscitrice di questa stampa, mandarlo, acciocchè con toi facilissimi argomenti lo possi rembellire, e quello devenuto bello tra li toi ornati ed elegantissimi libri abbia qualche minimo loco. Il quale alla loro decorazione ne aggiungerà un’altra maggiore, perchè, come vuole il filosofo, le cose opposite insieme congiunte, con maggiore luce si distingue la loro disaguaglianza. Ed oltre a ciò te supplico che, quando te sarà concesso alcuno ocio, lo leggere di dette novelle non te sia molesto, per ciò che in esse troverai di molte facezie e giocose piacevolezze che continuo novo piacere porger te saranno cagione. E se per avventura tra li ascoltanti fosse alcuno santesso4 seguace de finti religiosi, della scellerata vita e nefandi vitii de’ quali io intendo nelle prime dieci novelle alcuna cosettina trattarne, che [p. 5 modifica]mordendo me volesse lacerare, e dire che io come maledico e con venenosa lingua ho detto male de’ servi d’Iddio, te piaccia per quello dal cominciato camino non desistere; però che sopra tale lite solo prego la Verità che al bisogno l’arme prenda in mia difesa, e rendami testimonio che ciò non procede per dir male d’altrui, né per veruno odio privato o particolare che io con tal gente me abbia. Anzi per non tacere il vero ho voluto ad alcuno gran principe e ad altri mei singulari amici dare noticia di certi moderni e di altri non molto antichi travenuti casi, per li quali si potrà comprendere con quanti diversi modi e vitìose arti nel preterito tempo gli sciocchi ovvero non molto prudenti secolari sieno da falsi religiosi stati ingannati, a tale che li presenti faccia accorti e li futuri sieno provvisti che da sì vile e corrutta generazione non si facciano per lo innanzi sotto fede di fìnta bontà avviluppare. Ed oltre a ciò cognoscendo io li religiosi assai bone persone, me pare de necessità essere costretto in alcuna cosa imitare i costumi loro, e maxime che la maggior parte di essi come hanno la cappa addosso pare che loro sia permesso e secreto e pubblico dire male dei secolari, aggiungendo che tutti siamo dannati, ed altre bestiaggini da esserne lapidati. E se forse opporre volessero che predicando rimordeno li difetti dei cattivi, io a questo facilmente rispondo, che scrivendo non parlo centra la virtù dei buoni. E così senza inganno o vantaggio trapasseremo, e da pari morsi saremo tutti trafitti. Dunque andando dietro a loro orme, e con verità scrivendo le scelleraggini e guasta vita di ognun di loro, ninno sei deve a noia recare. Nondimeno a coloro che hanno le [p. 6 modifica]orecchie ammassate de santa pasta che non possono dei religiosi udir male, ottimo e solo remedio me pare che a detta infirmità sia, senza leggere o ascoltare dette mie novelle andarsene con Dio, e seguendo la pratica dei frati, ogni dì la cognosceranno più fruttuosa a l’anima ed al corpo; li quali essendo abbundanti d’ogni carità de continuo la comunicaranno con le loro brigate. E Tu, valorosa e formosissima Madonna, con la costumata umanità leggendovi, tra le molte spine troverai alcun fioretto, lo quale te sarà cagione talvolta farle ricordaredel tuo minimo servo, ed ossequiosissimo Masuccio, il quale de continuo te si recomanda, e li Dii priega per lo augmento de tuo felice e secondo stato. Vale.


MASUCCIO.


Finito il breve ed inetto exordio alla nominata Tua Serenità dirizzato, seguirò appresso le mie già promesse novelle ovvero istorie; nelle quali prime dieci, come già è detto, si contaranno alcune detestande operationi di certi Religiosi, tra le quali ve ne sono non solo da destare ammirazione, ma intrinseco dolore agli ascoltanti, e alcune non senza piacevoli risa e feste saranno da trapassare. E fra le altre la prima allo invitto e potentissimo Re nostro signore è intitulata, la quale finita, di altre materie e piacevoli e morali, et alcune pietose e lacrimevoli intendo ricontare, siccome nel seguente ordine continuando se contiene.

Note

  1. Ippolita Sforza de Visconti, figliuola di Francesco Sforza e di Bianca ultima de’ Visconti, nacque in Pesaro il 18 Aprile 1446. Fu educata da Costantino Lascaris nelle lettere greche, e da altri valentuomini nelle latine. Sua madre la presentò con gli altri figliuoli a Papa Pio II in Mantova, dove si teneva il Concilio nel 1459, ed ella recitò innanzi al Papa una sua orazione latina che fu stampata. Il Lascaris dedicò a lei la sua grammatica greca pubblicata in Milano nel 1476, che fu il primo libro greco stampato in Italia. Venne sposa ad Alfonso Duca di Calabria nel 1465, e fu madre di Re Ferrandino o Ferrante 2,° e d’Isabella moglie dell’infelice Gian Galeazzo Sforza, cui Lodovico il Moro tolse il trono e la vita. Ippolita morì in Napoli ai 20 Agosto 1484, e non vide le sventure della sua famiglia. Fu sepolta nella chiesa della Nunziata. V. Litta Famiglie Italiane, tomo I, tav. V — e Summonte, Storia di Napoli lib. V.
  2. I principi aragonesi ebbero una biblioteca ricca di codici e di nuovi libri stampati, a cui spesero molte cure e denari. Era nel real palazzo detto della Duchesca: fu saccheggiata dai francesi che vennero con Carlo VIII. Di essa compiacevasi la Duchessa Ippolita, ed Alfonso vi fece allogare il ritratto di Giovanni Pontano suo maestro.
  3. La Reina Margherita moglie di Carlo III di Durazzo, e madre di re Ladislao e di Giovanna II, fu donna di alto animo, e seppe conservare il regno al figliuolo rimasto fanciullo alla morte del padre. Negli ultimi anni di sua vita se ne stette nella città di Salerno, della quale città ebbe la signoria dal Re suo figliuolo. Morì in Salerno nel 1412, e fu sepolta nella chiesa di S. Francesco, dove ebbe un magnifico sepolcro, opera di Antonio Baboso di Piperno — Summonte, Istoria, lib 4. pag. 550.
  4. Nell’ediz. del 92 leggesi sanctese, onde santesso, in napol. santisso, che risponde a santessa nella nov. 23 (sant’isso, sant’essa). I Toscani dicono santusse. L’ed. della gatta dice pinzocaro. L’edizione del 1483 dice santesso.