<dc:title> Il Misogallo </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Vittorio Alfieri</dc:creator><dc:date>1789-1798</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Gli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Misogallo_(Alfieri,_1903)/Sonetto_XVII&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20220626124054</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Misogallo_(Alfieri,_1903)/Sonetto_XVII&oldid=-20220626124054
Il Misogallo - Sonetto XVII Vittorio AlfieriGli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu
Da ch’io bevvi le prime aure di vita,
Da ch’io l’alma sfogai vergando carte,
Con lingua a un tempo vereconda, e ardita,
Posi in laudar la libertade ogn’arte.
Odo or la Gallia, in servitù marcita,
Che il danno altrui senza il suo pro sol chere;
E fatta sede di liberti, invita
A se stesse disfar, le genti intere; E il nome stesso venerando adopra
Di Libertà, cui non conosce, e macchia
Col sozzo labbro, e la sozzissim’opra. Quindi ognor più nel buio il ver s’immacchia;
E vien, ch’etade ognor più tarda scopra
Qual fosse il Cigno, e qual la ria Cornacchia.