Il Misogallo (Alfieri, 1903)/Nota spettante gl'interessi privati dell'autore in Francia

Nota spettante gl'interessi privati dell'autore in Francia

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Nota spettante gl'interessi privati dell'autore in Francia
Prosa seconda. Ragione dell'opera Proemio

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Nota spettante gl’interessi privati dell’autore

in Francia.

L’Autore, partito di Parigi il dì 18 agosto 1792, vi lasciò ogni suo avere, fra cui, tutti i suoi libri, e varie sue cose manoscritte. Il tutto gli fu sequestrato alcuni giorni dopo, tacciandolo di fuoruscito, cioè d’esser francese, ed alcuni mesi dopo, il tutto fu venduto, predato o disperso. Trovandosi egli poi in Firenze, scrisse da prima la seguente letteruccia con animo di spedirla a Parigi.

DOCUMENTO I.

Vittorio Alfieri al Presidente della Plebe Francese.

Il mio nome è Vittorio Alfieri: il luogo dove io son nato, l’Italia: nessuna terra mi è Patria. L’arte mia son le Muse: la predominante passione, l’odio della tirannide; l’unico scopo d’ogni mio pensiero, parola, e scritto, il combatterla sempre, sotto qualunque o placido, o frenetico, o stupido aspetto ella si manifesti o si asconda. Dopo aver dimorato in Parigi più anni, ne sono partito in questo agosto coi passaporti dovuti, pur troppi; e fui costretto di venir cercando e libertà e sicurezza (chi ’l crederebbe?) in Italia. Appena partito di Parigi, mi vennero colà sequestrate tutte le cose mie, non so da qual Potestà, nè sotto qual pretesto, nè con quale arbitrio. So che fu ingiustamente, e senza nessun altro diritto che il regio, la forza.

Io dunque ridomando alla Plebe Francese i miei libri, carte ed effetti qualunque, da me lasciati in Parigi sotto la custodia del comune diritto delle genti civilizzate. Se mi sarà restituito il mio, sarà una mera giustizia; se ritenuto o predato, non sarà altro che una oppressione di più fra le tante che hanno alienato ed alienano giornalmente i più liberi, e sublimi animi dell’Europa dal sistema francese, i di cui principî (non inventati per certo dai Francesi) sono verissimi, e sacrosanti; ma i mezzi fin ora adoprati, senza nepppur conseguire in apparenza l’intento, ne riescono inutilmente iniquissimi.

Firenze, 18 novembre 1792.


Questa lettera non fu mandata, perchè l’Autore, vivendo, e temendo per altri più assai che per se, non volle esporre una persona a lui cara, e sacra del pari, a dover mendicare nuovo asilo: stante che il Granduca di Toscana (ancorchè fratello [p. 141 modifica] dell’imperatore) gemendo allora sotto la funesta amicizia della nuova Repubblica Francese, ad ogni minima richiesta di essa avrebbe dovuto per lo meno espellere da’ suoi felicissimi Stati e l’Autore ed ogni sua aderenza.

Circa due anni dopo quella sua totale spogliazione parigina, l’autore con l’occasione, che un suo conoscente italiano andava per pubblici affari a Parigi, gli consegnò la seguente memoria brevissima per procacciare almeno la restituzione delle di lui carte, e dei libri, la di cui privazione gli riusciva dolorosissima.

DOCUMENTO II.

Memoriale da Vittorio Alfieri trasmesso in Parigi

nel marzo 1795.

Per farmi libero io,
Molti anni addietro, credulo ingolfai
In Francia più che mezzo l’aver mio.
Quel Re Luigi, a chi il danar prestai,
Dieci anni dopo mi donò i tre quinti
Soli dei frutti, con bontà regale:
Ma la Nazion leale,
Del Re biasmando gli atti come rei,
Restituimmi tosto i cinque quinti;
Poi, di lì a poco, men ritolse sei.1

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DOCUMENTO III.

Quietanza finale di Vittorio Alfieri alla Repubblica Francese,

spedita in Parigi nel luglio 1795.

In nome della santa
Indivisibil una Libertà
Qui scrivo ciò che canta
La indomabil mia pura Povertà.
A te, mio agente, mando carta bianca
Di quanto emmi dovuto dalla Franza.
Ai cittadini, a cui la Città manca,
Io sottoscritto do piena quietanza;
Avendo ricevuto
Più pagamenti. Primo, la mia Pelle,
Ch’io presi in don dai Novecento Re,
Partendo in fretta in furia dalle belle
Contrade della nuova Liberté.
Secondo, ho ricevuto
Lor Volonté (ch’è una Cambial segreta)
Di ristorarmi dei sofferti mali,
Pagando al par che i frutti i capitali.
Qui il doppio ho ricevuto;
Sendo lor Volonté miglior moneta
Che non è la lor Carta,
Ove in quattrin la Lira invan si squarta.

E questi erano i tre soli documenti d’ogni privato interesse fra lo spogliato Autore e la spogliante Repubblica.


Note

  1. L’Autore si servì di quella antiaritmetica espressione di sei quinti per venire appunto a specificare così brevemente, e con verità, che gli era stato tolto oltre gli annui dovuti frutti futuri anche gli arretrati di due anni: e di soprapiù poi i suoi mobili tutti, e libri, ed effetti d’ogni sorta.

    Quell’amico italiano dimorante in Parigi, avendo alcuni mesi dopo risposto all’Autore, che quei barbassori riconoscevano esser giusta la di lui domanda, e che v’era la miglior Volontà nel Governo allora vigente di fargli restituire almeno i libri, e le carte (essendosi appurato, che questo soltanto, delle di lui spoglie, non era stato fin allora venduto), ma che le difficoltà eran grandi, le formalità moltissime (benchè al pigliare se ne fossero adoprate pochissime), e che la riuscita sarebbe, se non dubbia, almeno lunghissima; allora l’Autore, per esser egli d’indole assai poco pregante, volle con la qui annessa Ricevuta finale spedita all’amico a Parigi, liberare sè stesso dalla noia di chiedere il suo, e quelle delicate parigine coscienze assolvere ad un tempo dallo scrupolo di ritenere l’altrui.