Il Dio dei viventi/XVIII
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Cessato il pericolo cominciarono le recriminazioni.
— Sei stata tu, — gridava il padrone a Rosa. — E chi pagherà il danno, adesso?
La ragazza, buttata per terra e mezza morta per la stanchezza e lo spavento, si guardava le mani scorticate dalla corda del secchio per attingere acqua e singhiozzava.
— Sono stata io, — disse infine. — Ebbene, fate quello che volete; o cacciatemi via o tenetemi al servizio fino a scontare il danno.
Questa sottomissione non calmava Zebedeo; perchè non era al danno della tettoia che egli pensava; pensava alla mano di Bellia che nello sforzo s’era sfasciata e gonfiata di più e prendeva un colore scuro come annerita dal fumo.
E avrebbe voluto richiamare subito il dottore, ma non osava. Per calmarlo Bellia disse che sarebbe andato lui a farsi nuovamente fasciare la mano, e stava per uscire quando il dottore stesso arrivò: aveva saputo dell’incendio e degli sforzi del giovane e lo sgridò con asprezza, cosa che fece grande piacere a Zebedeo.
Bellia cominciò ad annoiarsi.
— Se mi tormentate così, — disse appena andato via il dottore, — mi nascondo e non mi vedrete per una settimana.
— Nasconditi pure, purchè lasci in pace la tua mano.
Allora Bellia andò a coricarsi sul suo lettuccio nella camera terrena e si addormentò profondamente: la madre entrò in punta di piedi e chiuse la finestra e tutti stettero in silenzio per non disturbare il sonno di lui, come quando era bambino.