Il Dio dei viventi/V
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Finalmente le visite di condoglianze erano terminate e le donne si affaccendavano a rimettere in ordine la casa.
La serva, una ragazza che rassomigliava a Lia ma molto giù giovane e acerba, aveva riacceso il fuoco e rimesso la caffettiera a bollire, sapendo che questo era il maggior conforto delle sue padrone e anche suo: e pensava con sollievo che finalmente il padrone anziano se ne sarebbe andato in campagna come già se n’era andato il padrone piccolo.
Erano autoritari e pretensiosi, gli uomini, quando stavano in casa. Il padrone anziano voleva che la serva gli versasse anche l’acqua da bere e gli lavasse i piedi come una schiava.
Quei giorni poi era più inumano che mai: il dolore per la morte del fratello pareva lo inasprisse e lo rendesse malvagio, invece di ricordargli che tutti dobbiamo morire.
Ecco che seduto ancora al posto dove da tre giorni riceve le condoglianze degli amici e dei conoscenti, ancora fermo e rigido dentro il suo cappotto come un diavolo in penitenza, grida alla ragazza che vada a prendere il cavallo dalla stalla e lo conduca all’abbeveratoio.
— E non montarci su, non farlo bere in fretta.
— L’ho fatto già bere qui, con l’acqua del pozzo pulita come l’argento.
— Oh!
Un oh, solo; ma urlato in modo tale che la ragazza balzò come sotto una sferzata e corse via.
Il fatto è che il padrone voleva per qualche momento liberarsi di lei e della sua curiosità; voleva parlare alle donne, prima di andarsene in campagna, alleggerirsi di un peso che gli gravava sull’anima e sul corpo.
— Zia Annia, — disse non senza una certa trepidazione, — bisogna che parliamo di una cosa; e tu, Maria Caterina, mettiti a sedere finalmente.
La moglie non se lo fece ripetere; era una piccola donna pingue e remissiva che sarebbe rimasta tutta la sua vita a sedere senza far niente, felice solo di quello. Sedette accanto a lui e riprese istintivamente l’atteggiamento composto e tragico di quando riceveva le condoglianze.
La vecchia zia Annia continuava invece ad andare e venire appoggiando l’altissima persona scarna e curva a un bastoncino che non lasciava mai: le sue lunghe vesti nere strascinavano per terra, tutte di lana glossa, e pure di lana era il fazzoletto che le circondava il viso grande terreo col lungo labbro sardo e gli occhioni scuri cerchiati.
Andava e veniva; aveva sentito e forse anche capito il richiamo di Zebedeo, ma fingeva il contrario, occupata a riempire d’olio i lumi d’ottone disposti sopra il camino, e una lanterna che serviva alla notte per andare nel cortile o nella stalla.
— Zia Annia, — ripetè Zebedeo sforzandosi a parer gentile, — venite a sedervi qui, per piacere. Ho da chiedervi un consiglio.
Ella depose l’oliera, si pulì le mani, tutto con lentezza, assorta in un suo pensiero dal quale nulla valeva a distoglierla.
Quando finalmente le piacque andò a sedersi anche lei in fondo alla stanza, dove questa si svolgeva in una specie di abside con una finestra adesso chiusa, come tutte le altre della casa, per il lutto.
— Si tratta di quella donna, — disse Zebedeo, — di Lia, dell’amica del beato Basilio insomma.
La vecchia rispose secca.
— Se tu sei uomo di fegato devi trovare subito il modo di farla tacere.
— E come? — egli domandò piccato; — ditelo voi, il come.
— Sai quello che hanno fatto a donna Maria Deliperi, sebbene nobile e ricca. Aveva la lingua lunga e amava gli scandali: ebbene, tu sai quello che gli avversari le hanno fatto. Tu lo sai.
Egli lo sapeva. A questa Donna Maria Deliperi gli avversari avevano fustigato il sedere nudo con una corda di pelo sino a farlo sanguinare; e sulle piaghe vive sparso il sale, in modo che la donna dalla lingua lunga era stata in pericolo di vita.
— Gli avversari di donna Maria Deliperi avevano ragione di farle quanto le hanno fatto. Eppoi erano altri tempi. Io non mi sento da tanto.
— Ma c’è anche il giudice, — propose timidamente la moglie. — Egli condanna le persone diffamatrici.
— Io, — riprese con accento di odio la vecchia, — ho sempre avuto il presentimento che quella demonia ci portasse la sventura in casa. Sempre ce l’ha portata del resto, fin dal malaugurato giorno che fissò gli occhi di serpente sul nostro povero Basilio. Lo aveva incontrato, lo aveva legato a sè con malìe infernali. Ci fu un tempo in cui lo spronava anche al delitto: posso dirvelo in coscienza, perchè qualche volta il povero morto aveva momenti di confidenza con me. E mi diceva: zia Annia, forse mangerò il pane del re: vale a dire, forse andrò in prigione. Perchè la vipera lo consigliava ad ammazzare il marito non riuscendovi lei con le sue fattucchierie. E il marito lo sapeva e lo sa, disgraziato; per questo, per paura, non è ritornato in paese. Un’altra cosa devo dire....
— Aspettate, — interruppe Zebedeo, infastidito da quel torrente di parole; — tutte queste sono chiacchiere; il fatto è che la donna ci diffama; qualcuno può non credere alle sue storie, ma i più vi credono. Bisogna farla tacere, questo è l’importante.
— Accoppala, ti ripeto; oppure ha ragione tua moglie, diamole querela.
— Oh donna di Dio! — egli sospirò; — il rimedio è peggiore del male.
— Perchè?
— Perchè se andate a molestare una vipera, questa vi morde con più furore.
— E allora che vuoi fare? Dillo tu.
— Io direi di prenderla con le buone; di aiutarla a campare.
— Ah, Zebedeo! E tu, dunque, te la vuoi mettere in seno, la vipera? Prova, prova: prova e vedrai.
— Infine, non è per lei, è per il bambino. È figlio del povero morto, e dobbiamo aiutarlo.
— Questo è vero. Ma non si potrebbe toglierlo alla donna e prenderlo noi? Basilio gli voleva molto bene, — disse la moglie.
La vecchia non rispose, ma sorrise con compatimento: aveva molto rispetto per Maria Barcai e la considerava come sua padrona; non la contraddiva, ma la compativa per le sue ingenuità. D’altronde anche Zebedeo diceva:
— Non è il caso neppure di parlarne; e non sarebbe coscienzioso il tentare di farlo. Eppoi mi dicono che il ragazzo è molto intelligente e attaccato alla madre.
— E la madre ne farà un nostro nemico, non dubitarne.
— Non ne dubito, no, se non procureremo di evitarlo.
— Ma che cos’è, dunque, che tu vuoi fare? E cedi dunque a quei due l’eredità, — disse la vecchia con ironia rabbiosa.
— Se Basilio avesse disposto così, io sarei pronto ad eseguire la sua volontà, — affermò Zebedeo con grave tristezza.
— Per fortuna Basilio ha lasciato a Dio la cura di provvedere a quella vipera. E Dio provvederà: non provvede a tutte le vipere della terra?
— Zia Annia! questo non è parlare degno di voi. Siete vecchia e vi ho conosciuta sempre saggia e timorata di Dio. Tutti possiamo avere del veleno in cuore; ma sotto il cuore c’è la coscienza.
— È vero, — approvò la moglie.
Anche la vecchia parve colpita dalle parole di lui.
— E di’ tu, allora, Zebedeo.
— Io ho detto. Bisogna aiutare la donna e il fanciullo. Bisogna non dare ascolto alle chiacchiere della gente: la gente ha gusto a spandere zizzania. Chiudete la porta alle donne sfaccendate, che vadano all’inferno a chiacchierare con Lucifero. Date retta; chiudete la porta.
La vecchia lo guardava fisso fra curiosa e beffarda: infine domandò:
— Per caso, ci sei stato anche tu nella tana della vipera?
Ed egli arrossì; ma parve un rossore di dispetto, o almeno per tale egli lo finse.
— E se ci fossi stato? Sono forse un uomo che deve aver paura dello vipere? No ho ammazzate millanta e una con la punta del mio bastone.
— E ti ripeto che faresti bene, non dico ad ammazzare, ma a pestare la lingua a questa.
— E, perdio, non è quello che dico? — egli gridò. — Ma con le donne bisogna parlare tre ore prima di intendersi. Infine, il fatto è questo: bisogna far tacere la donna aiutandola. Mandiamoci della roba in casa, anche perchè il mondo veda. Altrimenti provvederò io: provvederò, anche perchè la coscienza così mi detta: ma poi non venite a farmi delle chiacchiere.
Egli alzava sempre più la voce e pareva provasse gusto a gridare, più per gridare, dopo tutti i bisbigli e le parole false di quei giorni, che per affermare la sua volontà.
La moglie aveva chinato la testa e si guardava le mani grasse incrociate sul grembo: per lei la volontà del marito era la sua, eppure non le dispiaceva in quel momento che zia Annia contrastasse con Zebedeo: perchè in fondo sentiva anche lei una paura superstiziosa di Lia: per troppo tempo poi aveva nutrito il terrore che l’eredità di Basilio andasse al bastardo invece che al suo Bellia.
La vecchia diceva dunque, senza alzare la voce, senza scomporsi:
— Se tu credi di placarla con poco t’inganni, Zebedeo; quella è un vampiro che non ti darà mai pace, e più le farai del bene più lei ti farà del male. Ti voglio ripetere il mio sospetto che Basilio sia morto per opera sua: anche lui aveva paura di questo.
— Zia Annia, perchè parlate così?
— Tu lo hai detto; perchè nel cuore possiamo tutti avere del veleno, ma sotto il cuore c’è la coscienza. Tu osserverai: quella vipera non aveva interesse che il povero Basilio morisse; anzi con lui tutto doveva perdere. Ed io ti rispondo: ma lei non credeva così; lei era certa di mettere le mani sulla roba di Basilio; lei era convinta che esistesse un testamento di lui in favore del figlio.
— Ma allora avrebbe cercato di tenerlo lei, questo testamento.
— E chi ti dice che non l’abbia? — Voi sragionate. L’avrebbe tirato fuori subito.
— È vero, — approvò la moglie, che s’era animata ed anzi aveva un lieve brivido d’inquietudine.
— Non si sa mai il pensiero delle donne come quella, — riprese la vecchia. — Aspettiamo qualche giorno. Questo di certo posso dirti, che un testamento lui lo aveva fatto. E lo teneva sempre con sè: e, quando gli accadde la disgrazia, sabato scorso, ricordati, Zebedeo, io venni qui gridando; e tu sei accorso e lo hai tirato su, lo hai messo sul letto, mentre la serva correva a chiamare il dottore. Le vesti del povero Basilio le ho messe io, sulla sedia, e nessuno le ha più toccate finchè dopo qualche ora si guardò se aveva carte in tasca; e ne aveva sì, ma non quella.
Zebedeo ascoltava attento come se le cose che sentiva gli fossero nuove: aspettava il particolare che gl’indicasse come la vecchia sapeva del testamento e tardando questo particolare a venire s’irritò.
— Ma, infine, avete voi veduto il testamento? Questo importa sapere, tutto il resto sono chiacchiere.
— Veduto non l’ho, ma so di certo che lo aveva. Del resto io non so leggere e non frugavo nelle carte del povero Basilio.
— Può darsi che il testamento fosse a favore nostro e che la vipera glielo abbia sottratto, — arrischiò l’ingenua Maria Caterina Barcai.
— Macchè, macchè! — gridò il marito. — Non era uomo da lasciarsi beffare così, mio fratello. E voi donne fareste bene a tener la lingua in bocca, perchè ogni vostra parola è un mal seme gettato al vento.
Zia Annia non protestò; anche per lui aveva un certo rispetto, una soggezione istintivamente servile; ma non potè nascondere un risentimento silenzioso e ostile che le indurì maggiormente il viso.
E l’uomo se ne accorse e alzò ancor più la voce come s’ella gli avesse risposto male.
— Il fatto è questo, che se voi chiacchierate così davanti alla gente, la gente che è maligna può dire: il testamento lo hanno fatto sparire i parenti. Ed è questo che urlava ieri quella donna che voi chiamate la vipera.
— Io non sono donna da gettare le parole al vento, Zebedeo; non ho mai chiacchierato con le vicine di casa. Se adesso ho parlato è perchè tu stesso lo desideravi.
— Io non desideravo questo, veramente; io vi ho chiamato qui per dirvi il mio pensiero, che nonostante tutte questo divagazioni rimane lo stesso: bisogna sovvenire la donna perchè il figlio è figlio di Basilio. Se poi lei risponderà male, peggio per lei: è affar suo: noi non abbiamo bisogno della sua gratitudine.
— È vero, è vero, — ripeteva la moglie, guardando ora lui ora la vecchia.
La vecchia serbava nel viso le pieghe del suo risentimento, poichè le parole di Zebedeo l’avevano punta a fondo: e qualche cosa di ostile, una sfumatura di diffidenza reciproca, un’ombra indefinibile era già sorta fra loro. Egli sentì bisogno di alzarsi, di mettere fine al colloquio: eppure aveva voglia di gridare ancora, di provocare la vecchia: andò su e giù sbuffando in cerca di qualche cosa che non trovava, infine uscì sbattendo l’uscio.
Le due donne continuarono a parlare della cosa, e la moglie adesso propendeva per le idee del marito, anche perchè sapeva che dopo tutto egli avrebbe fatto il piacer suo, mentre la vecchia pur dichiarando di non voler più impicciarsi nell’affare gettava nel suo discorso frasi misteriose che davano un oscuro senso di paura alla mite Maria Caterina Barcai.
— Il povero Basilio, Dio lo perdoni, ha peccato con quella donna; doppiamente ha peccato per adulterio e perchè quella donna ha la natura del demonio; sono peccati che Dio fa scontare a tutta la generazione dell’uomo che li fa: preghiamo Dio che così non sia.
E Maria Caterina Barcai si mise a pregare fra sè per suo figlio, quasi un pericolo vero lo minacciasse.