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atto terzo. 251


secondo commissario.


                                        E s’egli
Al suo signore antico, al primo ond’ebbe
Onor supremi, all’alta creatura
Della sua spada, più terror che danno
Volesse far? fargli pensar soltanto
Quel ch’egli era per lui, quel che gli è contro?
Tal nemico mostrarglisi, ch’ei brami
D’averlo amico ancor? S’ei non potesse
Tutto staccare il suo pensier da un trono
Ch’egli alzò dalla polve; ov’ebbe il primo
Grado dopo colui che v’è seduto?
Se un duca ardente di conquiste, e inetto
A sopportar d’una corazza il peso,
Che d’una mano ha d’uopo e d’un consiglio,
E al condottier lo chiede, e gli comanda
Ciò ch’ei medesmo gl’inspirò, più grato
Signor più dolce al condottier paresse,
Che molti, e vigilanti, e più bramosi
Di conservar che d’acquistar, cui preme
Sovr’ogni cosa il comandar davvero?

primo commissario.


Tutto io m’aspetto da costui.

secondo commissario.


                                                  Teniamo
Questo sospetto: il suo contegno, i nostri
Accorgimenti il faran chiaro in breve,
ad altro almen ci guideranno. Ei trama
Certo. Colui che trama, e del successo
Si pasce già, come se il tenga, ardito
Parla ancor che nol voglia; e quei che sprezza
In faccia il suo signor, già in cor ne ha scelto
Un altro, o pensa a diventarlo ei stesso.
No: da Filippo ei non è sciolto in tutto.
A quella stirpe onde la sposa egli ebbe
Non è stranier: troppo gli è caro il nodo
Che ad essa un dì lo strinse. In quella figlia,
Che ha tanta parte in suo pensier, non scorre
Col suo confuso de’ Visconti il sangue?

primo commissario.


Come parlò! Come passò dall’ira
Al non curar! Con che superba pace
Disubbidì? Siam noi nel nostro campo?
Di Venezia i mandati? Eran costoro
Vinti e prigioni? E più sicuro il guardo