Capitolo XXXVII

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Gaio Sallustio Crispo - Il Catilinario (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Bartolomeo da San Concordio (XIV secolo)
Capitolo XXXVII
XXXVI XXXVIII
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CAPITOLO XXXVII.


Come alcuni si brigavano di liberare gli presi; e come fu avuto consiglio di loro.


Mentre queste cose si faceano in senato, e mentre agli ambasciadori franceschi e a Tito Vulturzio, siccome approvato il lor detto, si provvedea degli guiderdoni che doveano avere secondo lo decreto fatto, quelli ch’erano suti de’ fedeli di Lentulo e affrancati da lui1, anche alcuni de’ suoi sergenti, andavano per Roma sollicitando gli artefici e altri servi delle ville d’appresso per poterlo tôrre e campare. Alcuna parte richiedea li capitani delle moltitudini, li quali per pregio erano usati di conturbare la repubblica: ma Cetego sollicitava per messaggi gli uomini di casa sua e gli affrancati da lui, uomini eletti e usati a’ fatti, ch’eglino dovessono prendere ardire; e che, ragunandosi insieme, e fatta moltitudine di gente, venissono con spiedi e con lance2, e per forza entrassono a lui liberare. Il consolo, sapendo queste cose, ordinò e dispose la gente e li guarnimenti secondo che il tempo e il fatto richiedea: e fcce raunare il senato, e domandò consiglio che piacesse loro che dovesse essere fatto di quelli ch’erano sostenuti in guardia di loro3. Era già giudicato quasi da tutti i senatori ch’egli erano colpevoli, e aveano fatto contra il comune. Allora fu prima addomandalo che dovesse dare sua sentenzia Decio Giunio Sillano: il quale, perchè era già eletto e disegnato consolo4, piacque a Cicerone che dicesse prima che gli parea di fare, e si de’ presi e anche di L. Cassio e P. Furio e P. Umbreno e Q, Annio, s’egli venissono nella forza del comune5. La sentenzia sua fu che dovessono essere morti. E

[p. 53 modifica]egli poi, spaventato e smosso per la diceria6 di Gajo Cesare, disse che si accordava, e volea andare diritto dopo la sentenzia di Tiberio Nerone7, il quale avea giudicato che la punizione di questa cosa fosse recata a mandargli a diverse fortezze prigioni nel più dentro di loro8. Ma Cesare, poichè fu venuto a lui9, addomandato dal consolo di sua sentenzia, parlò in questa maniera:

Note

    cavallo, ovvero a cavallo. Il Bembo nella sua Storia di Venezia al lib. 4 disse: Il senato ec. avea deliberato che sette compagnie di cavalli co’ lor capi da Brescia richiamati fossero. E il Villani, 4, 30: E mandovvi il comun di Firenze gente d’arme a piede e a cavallo assai. Ancora facciamo osservare a’ giovani che masnada val propriamente compagnia, truppa di gente, ed anche, come in questo luogo, compagnia di gente armata.

  1. e affrancati da lui) Affrancato val liberato; dichiarato, fatto libero.
  2. venissono con spiedi e con lance) Spiede o spiedo val propriamcnte arme in asta che si adopera alla caccia e in guerra; e così è da intendere in questo luogo. Oggi comunemente dicesi per ischidone, che è quell’arnese da cucina, che da noi Napoletani è detto spito.
  3. ch’erano sostenuti in guardia di loro) Sostenere qui sta per il semplice tenere.
  4. Qui il testo latino ha: quod eo tempore consul designatus erat.
  5. e venissono nella forza del comune) Forza, oltre agli altri suoi significati, ha pure quello di balia, dominio, potestà: onde qui venire nella forza si vuole intendere venire in balia; venire in mano.
  6. spaventato e smosso per la diceria ec.) Smosso, che propriamente vale commosso, qui sta per rimutato, rimosso. Così nel Boccaccio, Nov. 31, 25, leggiamo: Ghismonda non ismossa dal suo fiero proponimento ec.
  7. e volea andare diritto dopo la sentenzia di Tiberio Nerone) Andar dopo vale seguitare, andar dietro o appresso ad alcuno; ma si usa pure in senso metaforico, come in questo luogo, per seguire l’opinione di alcuno e simili. Così nelle Vite de’ SS. Padri: Il quale illuminasti quelle cose che imprima erano oscure, e non ci lasciasti andare dopo la nostra sciocchezza.
  8. Qui il traduttore si discosta al tutto dal testo, le cui parole sono: quod de ea re, praesidiis additis, referendum censuerat.
  9. poichè fu venuto a lui, cioè poichè toccò a lui: chè il verbo venire, oltre a’ tanti e svariati modi e significazioni nelle quali si adopera, e che noi consigliamo di vedere nel Vocabolario, ben si usa pure, e non altrimenti che in latino, per toccare, spettare. Così il Boccaccio: A te viene ora il dover dire.