Il Canzoniere (Bandello)/Le Rime Estravaganti/XXVIII - Ferma viator, il passo: io son colei
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XXVIII - Ferma viator, il passo: io son colei
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XXVIII.
È questo l’ultimo dei cinque sonetti-epitafii fornitici dalle novelle del Bandello. Narra egli nella novella che gli dà argomento, come «un frate minore con nuovo inganno prende d’una donna amoroso piacere, onde ne séguita la morte di tre persone ed egli si fugge» (II-24).
Ferma viator, il passo: io son colei1
Che credendo il consorte aver a lato,
Un altro v’ebbi, ond’hommi soffocato,2
4E meco il figlio a caso, ohimè, perdei.3
Il mio fratello a questi avvisi rei4
Contra il marito mio si mosse armato,5
Pensando l’omicida ei fosse stato,
8Che non sapeva ancor i casi miei.
Come l’incontra, il fere a l’improvviso;
Quel si difende e ’l prega e molce e dice:6
11— A me, cognato, questo perchè fai? —
Ma risposta da quello non elice,7
Onde il fratello al fin rimase anciso.8
14E s’or non piangi9, quando piangerai?10
Note
- ↑ V. 1. Ferma viator il passo: cfr. esordio sonetto precedente.
- ↑ V. 3. Un altro v’ebbi, infatti il frate «trovata la donna che dormiva, soavemente la destò e se le corcò a lato... e quella appresso al marito esser credea...» (p. 120).
- ↑ Vv. 3-4. Ond'hommi soffocato e meco il figlio, per cui mi ho, meglio mi son soffocata e con me soffocai il figlio. Dice la novella che la donna «dolente oltra modo del caso occorso» dopo «infiniti singhiozzi e lagrime» (p. 122) «non volle più star in vita e la deliberazione non tardò a dar compimento... La disperata donna, avviluppatosi un pezzo di lenzuolo al collo, di modo se lo annodò a torno, e si strinse sì forte che da se stessa si suffocò... Ora nel penar del morire che fu violentissimo, o forse pentita e spaventata da la morte, e volendosi ben che tardi aiutare, dimenandosi i piedi diede ne la picciola culla al letto vicina ove era riposto il novellamente nasciuto fanciullino, e di tal maniera fu la percossa, aiutata da la rabbia de la morte che la stimolava e costringeva, che la culla insieme col picciolino figliuolo cadde in terra. La bisogna andò così, che il povero bambino cadde boccone, e morìo in brevissimo spazio d’ora, avendo sempre la culla di sopra» (pp. 124-125).
- ↑ V. 5. Il mio fratello che dormiva «risvegliatosi, come forsennato a la così dolente ed insperata nuova... senza altro più innanzi considerare tenne per fermo che il marito fosse stato quello che avesse la moglie col picciolo fanciullino uccisi, e che per questo misfatto se ne fosse fuggito» (p. 127).
- ↑ V. 6. Si mosse armato e non appena «il cognato incontrò... se gli avventò a dosso e cominciò a giuocar di buone stoccate» (pp. 127-128).
- ↑ V. 10. Quel si difende. E in verità «il cavaliere normando... veggendosi in quell’ora a quel modo dal cognato assalito, insieme col riparare le percosse gli chiedeva amorevolmente la cagione di tanto furore» (p. 128).
- ↑ V. 12. Ma risposta non elice, lat., trae, ottiene, usato dal Petrarca, cfr. qui retro Canzone CLXXXI, v. 61, nota. E nella novella: «Ma il giovine, ebro d’ira... non intendeva cosa che il cognato dicesse, ma con ogni sforzo cercava di ammazzarlo... Ma per cosa che [il marito] dicesse, mai il cognato altra risposta non gli diede: solo attendeva a ferirlo a la meglio e a la più dritta che poteva» (p. 128).
- ↑ V. 13. Il fratello al fin rimase anciso. E allora il marito «conoscendo che parola che dicesse nulla gli recava di profitto, vinto dal fiero sdegno che l’infiammava, non solamente attese a difendersi, ma cominciò con fiero animo e con il ferire a gagliardamente offendere il nemico. Ed avendo avuto già due ferite, ben che di poco momento, trasse una punta al povero giovine ne la gola, e passatala da banda a banda... vide che il cognato cadette morto» (p. 129).
- ↑ V. 14. È il dantesco: «E se non piangi, di che pianger suoli?», Inf., XXXIII, 42. Nella novella ricorrono queste parole rivolte ai lettori: «E mi persuado che non sarà possibile che con la rappresentazione di così pietosa rimembranza non spargiate qualche lagrima» (p. 130).
- ↑ V. 14. E la dolente istoria è chiusa dal presente sonetto con questa premessa: «Su la sepoltura fu alora in francese posto un epitaffio la cui sentenza in lingua italiana tradotta diceva in questo modo come qui seguita» (p. 132). È naturale che sia, o che si finga dall’autore redatto in francese trattandosi di un «pietoso accidente... accaduto in Normandia» (p. 108) narrato «a Bassens [da] Giulio Cesare Scaligero... [e] prima stato detto da Madama Margarita di Francia oggidì reìna di Navarra»; la traduzione o redazione italiana ad ogni modo (cfr. pagine introduttive a questo volume, p. 28, nota, e p. 35) è del Bandello.