Il Canzoniere (Bandello)/Le Rime Estravaganti/XIV - S'amante alcuno gli è, che goda il frutto
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XIV - S'amante alcuno gli è, che goda il frutto
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XIV.
Tre sonetti-epitaffi per morte di tre donne, editi dal Pèrcopo, l. cit. Questo — per una amante che tolse la vita a se stessa ed al proprio fidanzato, perchè non passasse ad altre nozze — è in rapporto con la novella bandelliana II-5 del seguente argomento: «Fabio romano è da Emilia per gelosia ammazzato a ciò che un’altra per ritoglie non pigliasse, ed ella sovra di lui subito s’uccide». Il fatto fu narrato «questa state» (il Morellini, op. cit., data la novella tra il 1515 ed il 1525) alla presenza di «Isabella da Este, marchesa di Mantova, ne la ròcca de la Cavriana» da «il nobilissimo ed in ogni sorte di lettere dottissimo, messer Paris Ceresaro..... pietoso e fiero caso a Roma avvenuto in quei dì». Tra i presenti era Giovangiacomo Calandra che su di esso compose «molte belle questioni amorose in un libretto in prosa volgare»; e il Bandello che lo riduce in novella e «pensando — soggiunge dedicandola al Calandra medesimo — a cui dar lo dovessi, voi mi sete occorso a cui meritevolmente si deve, essendo egli stato cagione di farvi sì leggiadra operetta comporre». Di questa illustrando con diligente acume, I libri e gli autori del Bandello (1913) il Brognoligo scrive (pp. 19-21): «Di quest’opera, andata irrimediabilmente perduta (cfr. Luzio-Renier, La cultura ecc., cit., Giornale storico, vol. XXXIV, e pure vol. XIII, pp. 383-384) ci ha conservato un lucido riassunto Mario Equicola nel suo Libro de natura de amore. Il Calandra [cui è dedicato l’ultimo capitolo del primo libro] propone circa settanta dubbi d’amore. Di questi l'Equicola ne espone alcuni e poi fa ampie lodi del libro e del suo autore senza specificare la natura della sua dottrina». E il Brognoligo bene annota: «Mi par poi assai probabile che al fatto donde derivarono e il libro del Calandra e la novella del Bandello, si riferisca anche» questo sonetto.
S’amante alcuno gli è, che goda il frutto
Che suol donare Amore a’ suoi sequaci,
Speme non ponga in le tranquille paci,
4Che spesso se rivolge il riso in lutto.
Esempio da me pigli, ch’ebbi tutto
Quello si brama in l’amorose faci,
E pianga i casi miei così veraci,
8Che pel pianto non mostri viso asciutto.
Fu il dolce mio signor ad altra dato
Per fede marital, ond’io non volsi
11Che senza me vivesse in simil stato.
A lui col ferro pria la vita tolsi,
Poi, sopra il corpo da me tanto amato,
14A simil stratio con mia man mi colsi.
Note
V. 4. È il verso stesso, atteggiato in altro modo, con cui si apre il son. XII di queste Rime estravaganti.
V. 5. Esemplo da me pigli. L’epitaffio ha valore d’esempio per chi legge, è ammonimento dei morti ai vivi. Per maggior efficacia tutti e tre questi sonetti epigrafici sono redatti in persona prima. È la donna stessa — la protagonista del truce dramma — che narra la propria istoria d’amore e di morte, e ne trae la filosofica morale per tutti i seguaci d’amore.
V. 6. Amorose faci. Nella novella si legge: «Fabio che de l’ardenti fiamme amorose era acceso ed altro non disiava se non goder tutta la vita sua con colei...» (p. 356).
V. 7. Così veraci, come vedemmo par proprio fatto vero, di cronaca, accaduto a Roma poco tempo prima.
V. 8. La novella finisce così: «...uomini e donne veduto l’orrendo spettacolo, facevano di pianti e d’ululati tutta la casa rimbombare» (p. 340).
V. 9. Il dolce mio signor. Nella novella Emilia chiama Fabio «unico mio signore e cor del mio core» (p. 339).
V. 10. Per fede marital. Anche in novella ricorrono le parole «la data fede e il marital anello» (p. 338); volsi, volli.
V. 11. E nella prosa novellistica: «Io chiaramente conosceva che impossibil stato mi sarìa di vivere e vedere che altra donna l’avesse posseduto, onde per non morir mille volte l’ora, ho eletto meglio morire una sol volta, finir i miei guai» (p. 340).
Vv. 12-14. La truce scena è nella novella così narrata: «...Fabio da alto sonno oppresso, a dormire cominciò. Il che veggendo Emilia, perciò che in camera ardeva una lampada, leggermente al suo amante il petto scoperse, e preso un pugnale che Fabio recato aveva, quello sì fattamente nel core gli fece penetrare che egli subito morì». Poi «risvegliò la nutrice che a basso del letto dormiva» e a lei «con viso rigido e senza lagrime parlò» concludendo: «Resta che animosamente lo segua. — Dir queste ultime parole e darsi nel petto col pugnale che ancor sangue stillava fu tutto uno. Ella si passò sotto la sinistra poppa, e morta subito sovra il morto amante cadette» (pp. 339-340).
V. 14. Mi colsi, colsi me stessa quasi fiore d’amore colto, anzi stroncato dal ferro.