Novelle (Bandello)/Seconda parte/Novella V

Seconda parte
Novella V

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Fabio romano è da Emilia per gelosia ammazzato a ciò che un’altra


per moglie non pigliasse, ed ella sovra di lui subito s’uccide.


Poco dapoi che Giulio secondo sommo pontefice ebbe fuor di Bologna i signori Bentivogli cacciato, avvenne che un giovine in Roma, che aveva padre molto ricco ed era unigenito, s’innamorò d’una figliuola d’un altro cittadino romano che era di fazione contraria a la sua ed oltra questo aveva particolar nemicizia con suo padre. Ma non avendo Fabio, – ché cosí il giovine si chiamava, – riguardo a la nemicizia che era tra i parenti loro, aperse in tutto il petto a queste fiamme ed attendeva tutto il dí, quando poteva, a vagheggiar la fanciulla, che Emilia si diceva, la quale era una de le belle figliuole di Roma. Ella accortasi che Fabio le faceva la ruota, gli pose gli occhi a dosso e cominciò assai fervidamente ad amarlo. E perché di rado avviene che dove le parti s’accordano non segua effetto uniforme al voler loro, dopo alquanti mesi per mezzo de la nutrice che aveva Emilia fin da le fasce e da la culla nodrita e governata, i dui amanti si ritrovarono insieme ne la camera ove Emilia dormiva. Quivi s’abbracciarono piú di mille volte ed imitando le colombe affettuosamente si basciarono. Ma volendo Fabio piú innanzi andare e por le mani a le parti che la natura c’insegna celare, ella in questo modo gli disse: – Signor mio, piú da me che la luce degli occhi miei amato, io sono stata contenta che tu fin qui sia venuto, non perché una o due volte meco solamente ti ritrovi, ma a ciò che sempre possiamo insieme vivere. Non ho io cominciato, signor mio, ad amarti per un anno o dui ma t’amo per esser, se tu vuoi, eternamente tua. Il perché se tu, come il debito vuole, sei di quest’animo, dammi la fede tua qui a la presenza de la mia nutrice, che mai altra moglie che me non prenderai, con ciò sia ch’io altro marito mai non intenda d’avere. Altrimenti piú di quello che da me avuto hai non sperare, e per la via che venuto sei torna indietro. – Fabio che de l’ardenti fiamme amorose era acceso, ed altro non disiava se non goder tutta la vita sua con colei che piú che se stesso amava, cosí le rispose: – Cor del corpo mio ed unico sostenimento de la vita mia, come non potrei io voler ciò che tu vuoi, se volendo tu la morte mia, io sarei astretto volerla? Il perché prima dinanzi a questa imagine che la Vergine Maria e il suo figliuolo Giesu Cristo ci rappresenta, e poi a la presenza de la tua nutrice io t’impegno la fede mia che mai altra donna che te prenderò per moglie, e per piú sicurezza tua, se ti piace, adesso ti sposerò. – Piacendo molto questo ad Emilia, egli la sposò, e poi si misero a letto ove il rimanente de la notte con gran piacere insiememente se ne dimorarono, prendendo piú volte l’un de l’altro amoroso piacere. Innanzi l’alba poi Fabio si partí riputandosi il piú contento amante che mai fosse. Stettero i dui amanti piú d’un anno godendosi molto spesso, e mai impedimento alcuno non ebbero. Ora volle il padre di Fabio darli moglie; ma egli non la voleva intendere, pregando il padre che a questo nol volesse astringere. Il padre che si vedeva vecchio ed averebbe voluto innanzi la morte sua veder il figliuol maritato, lo fece per via di alcuni parenti ed amici essortare a far quanto egli voleva. Ma veggendo che Fabio non dava orecchie a persona, scusandosi che era ancor troppo giovine, lo domandò un dí a parte e in questo modo gli parlò: – Fabio, tu vedi che io son per passar da la vecchiaia a la decrepitá e che omai posso poco piú vivere. Fa che io mi parta contento dei casi tuoi, il che sará se tu prenderai quella moglie che io t’ho trovato, bella, nobile e ricca. E quando forse quella che io fra molte scielta ti ho non ti piaccia, dimmi liberamente l’animo tuo, ché un’altra si troverá che sia di tuo sodisfacimento. – Fabio udendo ragionare in questa forma il padre, quasi piangendo rispose: – L’animo mio era di non legarmi a nodo maritale cosí tosto, essendo ancora troppo giovine; ma poi che voi cosí volete io non vo’ altra moglie che Emilia figliuola di Niccolò Crescenzi. – Quando il padre sentí ricordar il suo capitale e mortalissimo nemico, tutto d’ira s’infiammòe disse: – Pensa ad altro, Fabio, e non credere che io voglia in casa mia la figliuola del maggior nemico che io al mondo abbia. E per non star tutto il dí in questi fastidii, io ti dico per ultima risoluzione che tu ti deliberi prender moglie quale gli amici e parenti nostri meco ti daranno, altrimenti io mi ritroverò erede a modo mio, ché sai che io ho ricomperato tutta la roba che era al fisco e ne posso disporre come mi piace. A me non mancheranno figliuoli, se tu disubidiente mi sarai. Va e pensa bene ai casi tuoi e fra dui dí a la piú lunga dammi risoluta risposta. – Aveva giá Emilia qualche cosa di questo inteso e con lagrime sugli occhi a Fabio la data fede e il marital anello ricordato. Fabio poi che intieramente ebbe conosciuto la mente del padre, la notte che seguí andò a ritrovar la sua Emilia e le parole che tra il padre e lui erano occorse tutte le disse. Disputarono insieme pur assai di quanto far si deveva, cercando dei dui mali elegger il minore. Ed avendo sovra questo lungamente questionato, pregò Fabio la sua Emilia che si volesse acquietare, dicendole: – Anima mia, io ho senza fine pensato sovra il caso nostro, per veder di ritrovar qualche mezzo che mio padre non mi molestasse, ma permettesse ch’io me ne vivessi come fatto ho fin al presente; ma egli sta ostinato in voler per ogni modo ch’io prenda per moglie quella che egli, gli amici e parenti nostri mi daranno. Io son piú tosto presto di morire che di mancar de la mia fede. Ben è vero che carissimo mi sarebbe, non rompendo a te la data parola, a mio padre sodisfare. Il perché io vorrei che tu fussi contenta che con tua buona grazia io quella donna sposassi che egli mi dará. Per questo tu non perderai cosa alcuna, perciò che io sempre che ci sará la comoditá verrò a giacermi teco, e quella che mi sará per moglie data io lascerò sola a casa dimorarsi. Mio padre è vecchio e non può omai longamente molto campare: come egli sia morto, io quella che ora prenderò, col veleno mi leverò dinanzi agli occhi, e te poi pubblicamente sposerò. Altrimenti egli minaccia, non pigliando quella che dar mi vuole, di eseredarmi. Parlargli di te è gettar via parole. – Emilia udendo questi parlari, dirottamente piangeva. Onde egli recatosela in braccio e piú di mille volte abbracciatola e basciatola, dolcemente le diceva: – Ché piangi, vita mia? Sta di buona voglia, ché Fabio sempre sará tuo. Deh, unico mio bene e vivo sangue de le mie vitali vene, non t’affliggere oramai piú, ché con questo lagrimar tu m’uccidi. – Ella alla fine, da mille singhiozzi impedita, con parole interrotte cosí a l’amante rispose: – Se tu hai deliberato, unico mio signore e cor del mio core, per sodisfar a tuo padre sposare un’altra donna, prima che tu de la promessa a me fatta manchi, tu mi passerai per mezzo il petto il core col tuo pugnale e poi farai quanto piú t’aggradirá. Questo ti dico perciò che a me si fa impossibile creder che io potessi viver giá mai, se tu d’altra donna divenissi sposo. – Le parole furono assai e quasi tutta la notte altro non fecero che questionar su questa cosa. Ma che ella fosse contenta che egli un’altra ne sposasse, non puoté ottener giá mai. Parlò anco assai Fabio con la nutrice, dimostrandole il termine a che era col padre, e che non gli compiacendo perdeva l’ereditá, e che non sapeva se mai il padre di Emilia si fosse contentato di dargliela; che quando il suo fosse morto, egli aveva roba assai, e che assicurasse Emilia che quella che egli sposerebbe, faria in breve morire. Ora partito che egli fu, fece intendere al padre come era presto per ubidirli. Lieto di tal risposta il buon vecchio, fatti invitar i parenti ed amici, fece che Fabio sposò quella che prima gli aveva proposta. La voce si sparse quel dí medesimo per Roma. Il che udendo, Emilia fu per morire; ma deliberata non morir sola, mandò pregando Fabio che quella notte a lei n’andasse. Egli a la consueta ora v’andò e trovolla che amaramente piangeva. Si sforzò assai a la meglio che seppe consolarla, affermandole con santissimi giuramenti che in breve farebbe morir con veleno, o per altra via, quella che sposata aveva. Parve che la giovane alquanto s’acquetasse, onde si messero al letto ove, dopo che insieme amorosamente ebbero piú volte presi l’un de l’altro quei piaceri che tanto si ricercano, Fabio da alto sonno oppresso, a dormire cominciò. Il che veggendo Emilia, perciò che in camera ardeva una lampada, leggermente al suo amante il petto scoperse, e preso un pugnale che Fabio recato aveva, quello sí fattamente nel core gli fece penetrare che egli subito morí. Fatto questo, risvegliò la nutrice che a basso del letto dormiva, la quale veggendo Fabio morto ed Emilia col sanguinolente pugnal in mano, volle gridare. Ma Emilia la ritenne e con viso rigido e senza lagrime cosí le parlò: – Tu sai, nutrice mia, che quanto bene io aveva al mondo era questo sleal amante: ch’io fossi sua moglie tu sai sí bene com’io. Ma non avendo egli riguardo a tanto amore quanto io gli portava, e meno al marital anello che mi diede, ha avuto ardire di sposar un’altra. Il che quando io intesi, non so perché di doglia non morissi. Ma in vita mi tenni per far di lui e di me ad un tratto vendetta. Io chiaramente conosceva che impossibile stato mi saria di vivere e vedere che altra donna l’avesse posseduto, onde per non morir mille volte l’ora, ho eletto per meglio morire, una sol volta finir i miei guai. Ma perciò che restando egli in vita, io con quel dispiacere morta sarei che fosse d’altra stato e non mio, come vedi, l’ho ucciso. Resta che animosamente lo segua. – Dir queste ultime parole e darsi nel petto col pugnale che ancora sangue stillava, fu tutto uno. Ella si passò sotto la sinistra poppa, e morta subito sovra il morto amante cadette. La sconsolata nutrice cominciò ad alta voce a far le maggior strida che mai forsennata donna facesse. Corse il padre de la sventurata Emilia al romore, corsero tutti quei di casa, uomini e donne, e veduto l’orrendo spettacolo, facevano di pianti, di gemiti e d’ululati tutta la casa rimbombare. La matina, il padre di Fabio, avuta la crudelissima nuova, quasi morí, e tardi pentito di non aver al figliuolo compiaciuto, senza ricever consolazione alcuna miseramente piangeva.


Il Bandello al magnifico e vertuoso


messer Domenico Saulo salute


Il giorno che voi da Genova partiste per andar a Lione, io medesimamente partii per andar a Milano e poi a Roma, e vicino a la porta di san Tomò c’incontrammo e sino a Serravalle sempre andammo di compagnia, cominciando alora la nostra amicizia, la quale fin al presente è durata e durerá con la grazia di Dio tanto che la morte ci divida. Essendo poi indi a molti dí messomi in camino per andar a la corte del re Lodovico, di questo nome duodecimo, che era a Bles, mi ritrovai in Lione, che di poco innanzi eravate venuto d’Inghilterra. Quivi dimorai io cinque o sei dí; ed ancor che i negozii vostri vi tenessero occupato foste sempre meco, e conobbi che negli studii de le buone lettere avevate fatto non poco profitto. Io me n’andai a Bles ove dimorai alcuni mesi; e ritornando a Milano trovai che quivi avevate condutto una casa e attendevate a le cose de la mercadanzia, non interlasciando perciò mai gli studii de le buone lettere e de la filosofia. Vi deste anco a la filosofa platonica ne la quale io molto m’affaticava, avendo trascorso di giá quasi tutti i dialogi platonici. Tutto il dí eravamo insieme, di modo che di piú in piú l’amicizia nostra maggior divenne. Fui dopo io dai venti di contraria fortuna molto crollato, come anca voi i suoi soffiamenti travagliarono assai. Ora tirato da la somma umanitá e cortesia del valoroso signor Cesare Fregoso, seco fermato mi sono, essendomi da la sua indicibile cortesia dato il modo che a me stesso ed a le muse vivo. Qui in Verona in casa sua sempre ci sono alloggiati di molti forastieri. Eravi questi dí messer Federico Grimaldo che da Vinegia venuto ci era. E ragionandosi del superbo apparato fatto da’ genovesi a Carlo quinto imperadore e di molte mischie fatte con gli spagnuoli, narrò esso messer Federico una novella a quei dí avvenuta. Onde avendola io scritta, ho voluto ch’al numero de l’altre mie novelle si veggia sotto il vostro nome, in testimonio de l’amicizia che non solamente con voi ho avuta, ma anco con molti altri de l’onorata famiglia Saula, e spezialmente con quella benedetta anima di vostro fratello, sempre con prefazione d’onore da deversi nomar, monsignor Filippo Saulo vescovo brugnatense e referendario apostolico, le cui singolari vertú e rarissime doti, e ne l’una e l’altra legge eminente dottrina, non meritavano che sul fiorir de la sua gioventú morisse. State sano.