Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/CLVI - In quel bel viso dove impresse Amore
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CLVI.
Canta il viso paradisiaco della Mencia: in esso si specchia e si esalta.
Canzone.
In quel bel viso dove impresse Amore
Quanta mai fosse con bellezza grazia,
Il mio pensier sì dolcemente spazia,
Che giorno, e notte vi son sempre intento.
5Nè punto l’alma di pensar si sazia
L’alte bellezze e quel divin valore,
L’onesta leggiadria con lo splendore,
Ch’ogn’altro fuoco dentro al cor m’ha spento.
E sono a ciò pensando sì contento.
10Che tutto ’l resto senza fin m’annoia:
Anzi m’ancide pur, che sol io vivo,
Quando al bel viso arrivo
Quivi gustando un’incredibil gioia.
Però s’ancor son vivo
15Fra tanti strazi, e tant’acerbe pene
Dal dolce viso, e non d’altronde viene.
Ch’a quel presente mille cose i’ veggio,
Di cui ciascuna m’apre un paradiso,
Tra le quai prima, se si mostra il riso,
20Un mar di perle orientali scopre.
Ma chi potrà mai dir così preciso
L’alto tesoro lor, per cui vaneggio
Così sovente ed altro mai non cheggio,
Mentre tante ricchezze egli discopre?
25E se poi l’ostro fin quelle ricopre,
Miro schietti Rubin, ch’invidia fanno
Al fiammeggiar di qual si sia Piropo,
Che l’uno, e l’altro dopo
Quando sì dolcemente uniti stanno
30Mi fan veder che uopo
Amor non ha d’altr’arme a farmi guerra,
Ch’egli con queste mi saetta e sferra.
Ma come a que’ begli occhi sì soavi
Volgo l’ingorda e desiosa vista
35Non vuo’ che di mirarli mai desista;
Sì dolce m’ardon le midolle e l’ossa.
Con questi Amor l’imperio in terra acquista,
E volge d’ogni cor ambe le chiavi,
Ma più del mio, che vuol ch’arda ed aggravi
40Questa sol fiamma ad abbruciarmi mossa.
Per questi quanta in lui dimori possa
Aperto si conosce, che gli strali
Indi n’avventa, e tutto ’l mondo abbaglia;
Sì incende, ed abbarbaglia,
45Che dolci son gli affanni, e dolci i mali.
Poi dentro il cor intaglia
Quanto di bel nel vago viso scorgo
Ond’a me col pensier aìta porgo.
Chi vuol del santo viso le ricchezze
50Sì ricche e belle in carta discoprire,
Potrà, canzon, dell’alto mar l’arena,
E la notte serena
Del ciel le stelle ad una ad una dire.
Dunque il parlar affrena,
55E lascia meco il caro mio pensiero,
Che mi mostra di lor il vero vero.
Note
V. 10. M’annoia, m’attedia, anzi mi addolora tanto che m’ancide.
V. 25. Ostro fin, le rosee fini guance, i rubini delle labbra, come poco sopra v. 20, perle orientali, i denti.
V. 27. Piropo, sorta di rubino, pietra preziosa, granato nobile di Boemia, usato poi dal Carducci in Piemonte: «fiamma di piropo al sole | l’italo sangue».
Vv. 28-29. l’uno e l’altro dei due rubini, e cioè le labbra, quando stanno uniti dolcemente, quasi tremasse su di essi un bacio.
V. 34. Ingordo e desioso sguardo: aggettivi ben scelti, quello avido di voglie sensuali, questo bramoso di ideali dolcezze.
V. 38. Ambe le chiavi, reminiscenza dantesca.
V. 45. Dolci affanni, dolci mali, cfr. Petrarca: «Dolce mal, dolce affanno e dolce peso», Canzoniere, CCV, v. 2.
Vv. 49-50. Ricchezze ricche, brutta allitterazione.
V. 53. Pensiero ricavato dal Petrarca e ripetuto sovente; cfr. son. XXII, v. 14.