Il Baretti - Anno II, n. 8/Parole intorno a Rivière

Raffaello Franchi

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James Joyce Il problema romantico

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Parole intorno a Rivière

Senza una ragione logica e per un periodo di tempo abbastanza lungo il mio scaffale di romanzi francesi ha ospitato l’Aimée di Rivière accanto al Dominique di Fromentin.

In omaggio alla verità dirò che l’intruso era Fromentin. Probabilmente, un giorno, avendo ripreso il suo volume per riscorrere qualche pagina, l’avevo poi rimesso a posto, senza volermi scomodare, là dove tra gli autori a portata della mia mano — quelli il cui nome principia colla lettera erre, — s’offriva un accoglievole spazio. Ma rimanendo poi serrati l’un contro l’altro, allo stesso modo che le bugne dei palazzi murati a secco si cementano tra di loro, i due volumi hanno finito col cimentarsi nel mio spirito e alla mia insaputa, e col trovarsi una simiglianza, non intrinseca, ma soggetta ai diversi casi che un dopo l’altro mi avevano indotto a scoprirli. E in realtà la mia scoperta di Dominique, vecchia di qualche anno, s’apparenta alla mia giovine scoperta di Aimée. Allo stesso modo ch’io vivevo persuaso di conoscere Eugène Fromentin attraverso la sua pittura e i suoi Maitre d’autrefois, sino a illudermi d’avere assimilato Dominique attraverso l’oscuro e pur comodo processo della tradizione, che immette di padre in figlio, per via di sangue, il senso essenziale delle passate civiltà, altrettanto Rivière m’era familiare per quel suo facile e vago nome nome che ornava la copertina della Nouvelle Revue Française al pari d’una sigla preziosa.

Chiedo scusa al benevole lettore se nell’immagine che mi s’era formata spontaneamente e che sta ora per uscirmi dalla penna avvelenata da tutti i dubbi dell’autocritica, si può risentire un pallido accento proustiano; tuttavia non è meno vero che alle nostre generazioni, avide di classicismo ma non dimentiche d’esser cresciute tra le due aure opposte e dolci del romanticismo e dell’impressionismo la parola rivière può affezionarci come la pietra che vorremmo legare nell’oro immaginario del nostro anello.

Costretti a una casa e a una biblioteca tiranniche che ci vietano di correre il mondo e d’obliarci in mezzo a un autentico paesaggio cinese, chi di noi non sogna la casa portatile e tuttavia piena dei ricordi infantili e delle immagini prenatali, e l’inesistente libro dei libri, il famoso livre de chevet, possedendo il quale si può salpare serenamente alla scoperta dell’ignoto, o meglio ancora la pietra preziosa e fatata nella cui luce consista ogni somma di sapienza, fatta per calmare tutte le seti quasi terrene, e le più sottili nostalgie dello spirito?

La primaverile apparizione di Madame Arnoux, di tra le pagine del capolavoro flaubertiano, si sposa, ne! ricordo che un po' la trasfigura, a un’immagine rivierasca, col suo cappello di paglia e con la sua bellezza inafferrabile, intrisa com’è, nel rapido passaggio, di sole e d’acqua, di gioia leggera e di rameggianti vegetazioni. Che importa se talvolta la rilettura d una pagina, al cui ricordo noi ci sentiamo trasportare in una regione che si ricrea sempre ugualmente materiata di colore e di musica, ci vorrebbe inchiodare alle più strette conseguenze della sua descrizione, e se non esistono dove noi le rammentiamo le umide frasche tremanti in un pannello amoroso d’acqua e di cielo? Quando un gigante dell’Ottocento francese, come Gustave Flaubert, un artista che si può definire un costruttore per eccellenza, traspira l’incanto medesimo delle pitture d’Auguste Renoir e divenendo un ponte tra il romanticismo e l’impressionismo colora e rende vibranti le proprie architetture di luce impressionista, dimostrando che l’impressionismo segnò, almeno in potenza, il punto più ardente, e commosso, e grande dell’arte francese? A questa rivelazione che l’anima francese fece a sè stessa attraverso Manet, Renoir e Cézanne, anche l’Italia dovrà una schietta gratitudine se, ammirando l’arrivo della sorella latina, e sapendone le ragioni intime, che trascendono ogni e qualsiasi pratica pitturale poiché appartengono allo spirito, si sveglierà cercando di rimontare dall’antica e tuttavia fresca radice della propria tradizione sino a esprimere la sua rinnovata anima moderna. Oggi non ci sia discaro d’offrire una festa d’amore alla Francia, e ci sia concesso di consacrarla in questa sorta di rito commemorativo svolto dinanzi all’arabesco cordiale racchiuso nelle sillabe di Jacques Rivière.

***

Ora Jacques Rivière è scomparso.

Egli ci lascia un preludio di romanziere (Aimée), uno di saggista (Etudes), uno di scrittore da cui non vuol dissociarsi l’uomo vivente nell’umanità, preoccupato di problemi civili e sociali (L’Allemand).

Tre preludi di un’opera probabilmente lontana, poiché Rivière non aveva nessuna caratteristica della precocità.

Albert Thibaudet, in una frettolosa nota scritta all’indomani della sua morte, diceva: « Le vrai monument de Jacques Rivière c’est la place vide qu’il laisse ».

E i tre preludi che egli ci lascia sono la sua levigata pietra tombale, la base sostanziosa del suo monumento d’aria.

Prima di Rivière era scomparso in Francia il precocissimo autore del Diable au corps e del Bal du Comte d’Orgel.

Pubblicando nella N. R. F. la seconda opera di Raymond Radiguet, Rivière, che del miracoloso giovinetto era del resto un ammiratore sincero, s’era chiesto verso quali sviluppi e quali conseguimenti potevano considerarsi naturalmente incamminati i suoi due romanzi. Domanda puramente teorica, dappoiché la morte di un artista ha sempre chiuso e saldato un ciclo, che può dapprima dolere alla giuntura, come una ferita, ma finisce poi col fondersi completamente, e poiché l’energia che occorre a creare un’opera d’arte, sia che appartenga a uno di quegli spiriti temprati d’attenzione e di ragionamento che avanzano in apparenza per graduali conseguenze di altrettanti naturali premesse, sia che si riscontri in creatori caratteristicamente impulsivi, è sempre d’una qualità miracolosa. Ma se la critica di ciò che non potè essere fatto rischia, attraverso le sue necessarie e gratuite supposizioni, di creare il fantasma di un’opera che non poteva essere, dimorando in questo suo sconfinamento, nel più puro teorismo, essa può rifrangersi sull’opera effettivamente esistente aiutandola a illuminarsi e a durare.

E mentre, guardando oltre il Bal du Comte d’Orgel noi ci sentiamo come investire dal vento di un vuoto e largo orizzonte, uscendo dalla descritta e concreta città di Aimée vediamo che una prospettiva di costruzioni fantastiche la continua, di costruzioni, dico, che si concretano a mano a mano che noi con la fantasia c’inoltriamo ad abitarle.

Come tutti i precoci, Radiguet ci aveva anticipato, magari in miniatura, l’opera della maturità. E la miniatura, in senso generico, del precoce, non ha la brevità o la discrezione delle miniature pittoriche.

Il termine si sottintende nel caso nostro un’accezione tutta morale, che davvero un tal genere di miniature, e in particolare l’ultima opera di Radiguet, hanno tutto l’èmpito orgoglioso e glorioso della giovinezza.

Aimée di Rivière, descrivendo il caso di un giovine timido e sensibile, innamorato della moglie e delle donne, e in cui l’immagine della moglie si vela a un tratto pur senza scomparire, ma così da vagamente indurlo nel cerchio di un altro amore che si dissolverà poi, senz’essere stato consumato, in una atmosfera di sogno, è invece, come si è detto, un saggio, un preludio.

Il fatto a cui Jacques Rivière s’è ispirato non poteva comprendere tutta la vita d’un uomo ma doveva riflettere, necessariamente un’« educazione sentimentale ».

Al suo cospetto i romanzi di Radiguet appaiono romanzi d’azione. Ed ecco Rivière confondersi quasi affettuosamente accanto alle pagine di Dominique e specialmente alle prime, dove le fucilate dei giorni di caccia detonano entro gli stupefatti giorni dell’estate, e dalle quali esala, come un’onda lenta di profumo, il senso di certe domeniche rurali.

Ma in Rivière il dramma umano è più sciolto ed essenziale. Le figure non si disegnano e non si sfumano su nessun paesaggio fronzuto, e nemmeno sopr’uno di quei cieli golosi che le appassionano e le suggon, e ne fanno parte di loro stessi. Le figure di Jacques Rivière fioriscono alla luce di nitidi interni ed è ammirevole come in un segno solo, realistico e leggero, i profili esprimano non solo la loro intima grazia, ma anche il riflesso del particolare amore nelle possibilità del quale un altro li concepisce e li scorge.

«Elle était assise à la même table que moi, et lisait; son profil se dessinait à contre-jour...».

Tale l’apparizione di Marta, la donna che doveva diventare la sposa di François, innamorandolo dapprima, senza ch’egli se ne renda conto, per quella sua aria d’ineffabile castità.

Infatti: «Rien dans ce profil ne me menaçait...».

Mentre prima: «chaque femme que je suivais si seulement elle avait pu se doter de la tempête qu’elle traînait dans son sillage?.

Abbiamo parlato, a proposito dell’opera di Rivière, d’un’immaginaria città, con un’aspirazione largamente simbolica chè, se di città si può discorrere a proposito di Rivière, non si pensa davvero a un fittame di popolo o di costruzioni. Scorrendo Aimée" ci troviamo in un ben esiguo e calmo dominio, dove possiamo ricordare in pace la fama di questo autore, quella che ci aveva già raggiunto quando ancora dovevamo scoprire la sostanza dell’opera sua e fantasticavamo sulle sillabe del suo nome.

Siamo legati alla meraviglia delle cose ch’egli ci descrive, e a quella loro intrinseca immaturità, che però, in sè stessa, non è meno riposata e perfetta.

C’era, in Rivière, un ragionatore assiduo e conclusivo, un temperamento d’uomo ordinato, senz’affanni scomposti, religiosamente fiducioso che l’avvenire sarebbe bastato al concretamento del suo sogno d’arte. In questa sua fiducia — e il suo romanzo lo dimostra — Rivière ebbe ragione, e il suo passato suppone un avvenire palese e presente, seppure non se ne abbiano materiali testimonianze.

Rivière era un artista a maturazione lenta, ma era, poiché aveva avuto tuttavia il tempo di affermare i principali caratteri della sua personalità in isviluppo, e la morte, strappandolo, non può fare ch’egli non sia stato.

Egli è, dunque, completamente, in un preludio che assume veste e calore di opera completa, senza perdere la sua lirica caratteristica di precedere a qualche cosa, talché la fantasmica città che si concreta ogni qual volta uno spirito fornito di senso critico si ponga a considerare i riflessi proiettati da Aimée, è vera, inseparabile dal suo breve volume.

Raffaello Franchi.