Iginia d'Asti/Atto quarto
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ATTO QUARTO.
Sala del giudizio tutta tappezzata di nero. Lumi sulla tavola dei Senatori.
SCENA I.
EVRARDO, ROFFREDO, GIANO, Senatori seduti in un piano della sala alquanto elevato, e secondo i loro gradi. ROBERTA seduta in luogo inferiore sovra una rozza panca.
Giano.1 Udisti ? Ella confessa: al fuggitivo
Ricetto diede, e violò la legge:
Legge di morte.
Roberta. Misera!
Roffredo. Al confronto,
D’uopo è Iginia ascoltar.2
Evrardo.3Deh; senatori!
Sebben console, a un padre or si conceda,
Mentre a giudizio addotta è la sua figlia,
Quinci scostarsi. Ha dritti anco natura.
Roberta.Sì, pel tuo sangue almeno ti commovi:
Da questi mostri Iginia salva, e lieta
A morte vo.
Giano. S'oppon la legge, o Evrardo,
Al tuo dimando.
Evrardo. Interrogata venga.
Giano.Ne’ giudizii di stato, essa prescrive
Del consol l’intervento.
Evrardo. Essa non parla
Di consol, che tra’ rei sua prole, ahi, tenga:
Novo, orribile è il caso.
Roffredo. È ver.4
Giano. Da lui
Non son vergate le sentenze? E quando
Degna la prole sua fosse di morte,
Dannarla non debb’ei?
Evrardo. Cessa, maligno
Invido spirto, d’irritar con vile
Barbarie il dolor mio: sperasti un tempo
Di calpestarmi: t’ingannavi, e or mordi
Codardamente chi spregiar non puoi.
Cessa, ti dico, stanco io son.
Roffredo. Del grande
Alle sventure abbi rispetto, o Giano.
Raccolto ho i voti. Di rei figli a padre
Allontanarsi dal giudizio lice;
Ma il consol poscia vergherà il decreto
Qual siasi.
Evrardo. Il dover mio sacro m’è sempre.5
Roberta.Nè d’un guardo mi degni! A te la figlia,
Lei sola raccomando.
Evrardo.6 — Oh vista! — 7
Iginia. Padre!
SCENA II.
IGINIA entra accompagnata da ARNOLDO.
Arnoldo. Ferma, contempla la tua figlia. — Ei fugge.
Iginia.E benedirmi pur non volle!
Arnoldo. In questo
Incontro io assai fidava: ah, il crudel teme
D’intenerirsi!
Iginia.8 Oh madre!
Roberta. Amata Iginia,
Alfin ti riabbraccio.
Iginia. O dolce madre!
Più non vederti mai, lassa, io temea!
Dacché tolta mi fosti, oh! quante lunghe
Ore di duol! ma già il tuo aspetto quasi
Ne sgombrò la memoria.
Roffredo.9 Iginia, il guelfo
Chi introducea nelle tue soglie?
Iginia. Io stessa.
Roberta.Che dici? Tu vaneggi.
Roffredo. A te silenzio,
Donna, s’impon. — Dove il vedesti?
Iginia. Agli orti
Del padre mio, la sera, alle festive
Danze....
Roberta. Non fia ch’ella prosegua: Iginia
V’inganna: io sola colà vidi il guelfo,
Io ’l ravvisai, lo trassi io di periglio,
Io in mie stanze il nascosi....
Iginia. O madre mia,
A tanto giunge tua pietà? Tu stessa
Per me accusarti? — Non l’udite: a morte
Onde salvarmi ella andar pensa. Io amante
Da gran tempo di Giulio era: a me sola
Mal l’ascondean le finte spoglie; indarno
Roberta mi seguia. Giulio ella indarno
Cacciar volea, volea chiamare il padre.
Io l’amato guerrier sottrassi a forza
Dal rischio, io lo celai, chiusi a Roberta
Io il passo quando irata a’ ghibellini
Dato prigion lo avria. Proruppe allora
Entro mie stanze il padre, e seco voi:
E fuggì il guelfo.
Roberta. O generosa figlia,
Risparmia pur le tue menzogne: io tutto
Già dissi il ver.
Iginia. Qui vero altro non havvi
Tranne il mio dir.
Arnoldo. Chi nella nobil gara
La palma avrà? Virtù noi del più forte
Sesso, noi saggi, espulsa abbiam: son fatti
Unica gloria nostra i feroci odii
E le calunnie e le perfidie e il sangue:
E intanto a noi d’eroica fè, di santa
Magnanima amistà porgono esempio,
Chi? due donne! E che? stolte! in noi vergogna
Destar pensate? I generosi fatti
Idolo fur de’ rozzi avi, ma fole
Noi le scoprimmo, e scherno hanno o gastigo.
Qual ne attendete guiderdon? La morte.
Null’altro speran! Per null’altro lucro
Di menzogna s’accusano: la morte!
Oh ben appar, che di solinghe mura
Vissute alla innocente ombra, i costumi
Di nostra età non imparar; l’antica
Superstizion della virtù serbaro!
No, alimento a sì ignare alme non sono
D’ire fraterne i partiti esecrandi:
Gli spirti non son questi onde atterrirsi
La repubblica debba. Incaute furo
Se ad onta della legge un breve asilo
Diero a congiunto, ad uom che all’una crebbe
Figlio e all’altra fratel! N’abbian rampogna,
E in ciò lor pena stia.... Commosso io veggio
Alcun di voi: non arrossir, Roffredo;
Vil non è quella lagrima!
Roffredo. Io ?...
Arnoldo. Sei padre:
Sullo scanno de’ rei tu miri assisa
Tanta innocenza, e i figli tuoi rammenti.
Guai, se l’armata legge oltre il confine
Varca d’umanità! De’ propri giorni
Chi, un istante, secur? Chi a’ propri figli
D’accusator mancherà mai, che degna
Illecita virtù chiami di morte?
Ahi, l’imminente passo or non si varchi!
Sonvi ed incauti, e traditori; a questi
Morte, e agli incauti pietà deesi.
Roffredo. Ormai
Troppo, o Arnoldo, t’arroghi.
Arnoldo.A me d’Iginia
Esser donaste il difensor: diritto
Ho di sgombrar le accuse. In lei la colpa
Non si rinvien.
Giano. Certa è la colpa: entrambe
Non s’accusàr?
Roffredo. Figlia d’Evrardo, narra
Quai della trama circostanze il guelfo
T’appalesasse.
Iginia. «Ampio, dicea, drappello
» Formato abbiam tra il popolo; dischiuse
» Fien a’ guelfi le porte, e il Sol dimane
» Vedrà prostrato il ghibellin vessillo.»
Tai sensi espose: e trattenermi a veglia
Fuor del paterno tetto ei mi pregava
Per mia salvezza.
Roffredo. Pari a questi i detti
Son di Roberta. Or dubbio è sol, se all’una
L’altra vietasse il dar prigion costui.
Iginia.Io ’l vietai.
Roberta. Chi può crederlo? — Ove prima
Ella ne’ festeggianti orti veduto
Avesse il fuoruscito, io nel seguirla,
Nel respingere lui, mettere un grido
Non potea forse, e cento spade a un lampo
Così avventar sovra il fuggiasco? Ah, troppo
È manifesta la menzogna! — Udite.
Lei due spingon ragioni ad accusarsi:
La maggiore è l’amor tenero e sommo
Che per me nutre: l’altra è la speranza
Ch’ove meco dannata anco ella fosse,
Evrardo (ch’è pur padre) ed a lei grazia,
E a me del pari impetreria.... Vermiglia
Ecco si fa.... Scoverto ho il tuo segreto:
Nol sai? Da lungo a leggerti nel core
Usa son io: non isperar che agli occhi
Materni miei celarlo mai tu possa.
Iginia.Roberta, a sdegno tu mi movi: adorna
Esser non vo’ di sensi alti non miei:
A salvar te non penso: interrogata
Sono, e del ver, del vero sol mi curo.
E ove perir mè lasci il padre....
Roberta. Pronta,
Ben tel cred’io, tu a perir meco, il sei:
Ma il sublime proposto, amata figlia,
Compiere non ti lice. Al genitore
Tua vita devi: da te un giorno (eredi
Di tua virtù) figli la patria aspetta.
Io di prodi fui madre, e tutti in campo
Caduti son col padre lor: l’amaro
Calice di sventura io, sino al fondo,
Bevvi: dritto ho al riposo. Iddio mel porge
Lascia che grata io lo riceva.
Iginia. Oh madre!
Sì poco m’ami?... T’incresceva adunque
Il viver per Iginia?
Roberta. Io non m’illudo
Di speranza. Una vittima qui vuolsi:
Inesperta, e nol vedi? Or l’innocente
Almen non cada: lieve error fu il mio,
Ma error, cui pena è morte. Cessa: in breve
Tolta vecchiezza a te m’avria: egual pianto
Versato avresti su mia tomba! È poco,
Iginia, ciò che de’ miei dì tu perdi;
Ti consola....10 Alle lagrime pon freno. Iginia.Oh madre mia!... Due volte io senza madre
Restar! no!
Roberta. Più sublime è il sacrificio:
Forte a morire, a viver nol saresti?
Qui la virtù! Qui il grave incarco imposto
Al mortal! Sopravvivere a’ suoi cari!
Ma breve è prova: jeri infanzia; e il crine
Diman canuto! E Iginia pur diritto
Avrà al riposo. Allora in grembo a Dio
Verrai l’amica a ricercar: deh, mai
Disgiunte più!... — Ma tu vacilli.... Figlia!....
Ella non m’ode!...
Iginia.11 Oh gioja!
Roberta. Che?
Iginia.12 Distesa
La ferrea corda è pur.
Arnoldo. Che fia?
Iginia. Compressa
Orribilmente mi tenea la fronte:
E non udiste il suon? Come dall’arpa
Una corda si frange, e così.... — Dove
Son io? Perchè di negro ammanto intorno
Vestite le pareti?
Roberta. Iginia!
Iginia.13 Arretra!
Arnoldo. Smarrita ha la ragion!
Roberta. Che accenna? Fissi
Gli occhi tien....
Iginia.14 Nol vedete? Il maggior seggio
De’ magistrati non è quel? Rispondi.
Roberta.Sì, del console è il seggio.
Iginia. Il padre mio
Un dì vi s’assideva: or mira.
Roberta. Vuoto
Dianzi il lasciava il padre tuo.
Iginia. No: assiso
Vi sta uno spettro. Ahi vista! In volto scritto
In note atre di sangue ha.... «il parricida.»
E quelle note all’infelice in guisa
Deformàr le sembianze, che a null’uomo
Di lui sovvien.... nè a me. — Perchè tergendo
Va il regal serto, onde le chiome ha cinte?...
Le gioie di quel serto, ah! grondan sangue.
Deh, come piange!... Intorno a sè che cerca?
Le disiose braccia a chi protendi?
Re non sei? che ti manca?— «La mia figlia!»
L’udiste? Oh voce! Oh con qual rabbia il regio
Manto strappar vorriasi.... e più allo spettro
L’igneo manto s’agglutina, e il consuma!15
Pietà, di lui! Pietà, Dio sommo!... è il padre!
Arnoldo. Oh spavento!
Roffredo. Al suo carcer si ritragga.
Roberta. Deh, ch’io indivisa da lei sia!
Roffredo. Tal grazia
Le si conceda.16
Arnoldo.Il senno, ohimè, per sempre
Forse perdea! — Sì miserevol caso,
Deh, vi commova!
Roffredo. Difensor d’Iginia,
L’ufficio tuo compiesti: ora al senato
Spetta compiere il suo.
Arnoldo. Dio di giustizia,
Un raggio tuo manda in que’ petti.
SCENA III.
ROFFREDO, GIANO, e gli altri Senatori.
Giano. Ignote
Ira e pietà son nel giudizio entrambe;
La legge udir, null’altro dessi.
Roffredo.17 A noi
Fra breve il consol.— 18 Ben dicesti: e ascritto,
Ven prego, a colpa non mi sia, se dianzi
Mi commovea... Non però fiacco ho il petto:
Pari al zel vostro è per le leggi il mio.
Giano.Vano timor! Creder puoi tu che vile
Estimiam chi di fede a’ ghibellini
Tante prove recò? — Roffredo, eccelsi
Senatori, il periglio, ond’oggi a stento
La repubblica uscia, mostra de’ guelfi
Il pertinace orgoglio: a rintuzzarlo
Guai, se lento è il rigor! Guai, se speranza
Resta a’ futuri ribellanti! D’uopo
È non fermarsi alle minacce, d’uopo
Convincer co’ supplizi è, ch’a ogni patto
Esser qui vuolsi o ghibellino, o estinto.
Perciò d’Evrardo saggio era il consiglio
Onde poc’anzi a’ più ritrosi piacque
Assentir, che dannati anco i Solari
E Isnardo sien, benchè di ciò sol rei.
Che Giulio accolser nel lor tetto, e udìro
Confusamente d’una trama: è lesa
La legge, e basta: morir denno. Or pari
Di quelle donne non è il fallo? Io aspetto
Chi lo difenda; nessun l’osa. O Iginia
Siasi o l’altra che pria vide il guerriero,
Ciò che monta? Lo accolsero; ei lor disse
Del cospirar; lesa è la legge. Ai figli
D’ogni altro cittadin, del consol pari
I figli sono.
Roffredo. I voti diensi.19 — 20Morte! —
Roffredo. La sentenza?
Giano. Vergarla il consol debbe.
Roffredo Eccol.
SCENA IV.
EVRARDO, e detti.
SCENA V.
EVRARDO, e GIANO.
Giano.25Snaturato!
Immoleresti il sangue tuo?
Evrardo.26 Che intendo?
Ohimè! Tu mi compiangi....27— Empio! tu esulti:
Infame gioja ne’ tuoi sguardi avvampa.
Giano.Dominar vuoi? ciò l’alta sede costa.
SCENA VI.
EVRARDO.
Dominar! Quanti occulti oggi scopersi
A me nemici!... Quanta invidia!... O Giano,
Sol fossi tu, schiacciato io già t’avria!
Ma no, non regno ancor: la stessa plebe
Al mio recente benefizio è muta:
Mi mostro.... e non un plauso!... E quella voce?
Non m’ingannai: sì, me indicava: «Muoja!»
Perfidi! compri od atterriti mai
Dunque non fiano? — 28 Ah, non ho cor! — 29 «Iginia
» Figlia d’Evrardo e di Romea....»30 .... Romea!
Ah, il dì che padre tu mi festi, e grazie
Io ten porgea sì ardenti, e con materna
Tenerezza la figlia a me additando
M’imponevi d’amarla; e giuramento
Di renderla felice io pronunciava....
Oh allor.... previsto questo di tremendo
Chi avria di noi?... No, alla ferocia nato
Non era: mostruoso un cangiamento
Qui dentro avvenne. Onde nol so. Uno spirto
Iniquo m’invadea: svellerlo tento
Invan dal sen; troppo con me il portai:
Irredimibil sua preda son fatto! — 31
Tropp’oltre mossi: a mezzo del dirupo,
Precipitar convien; tardi è il pentirsi:
Andiam.32 — Povera figlia! — Ad ogni altr’uomo
Fossi tu figlia, e si terria beato!
Giovin, fiorente di beltà e speranza,
Tutta pietà, virtù, dolcezza.... e a morte!33
Il credei: non è ver! vince natura!
L’uom non può tanto incrudelir!... Canute
Son le mie chiome: e d’uopo ho d’una reggia,
A qual fine? a spirar? Solingo tetto
Mi basta, ove la pia man d’una figlia
Chiuda questi occhi!... Ma chi vien?
SCENA VII.
GIANO, e detto.
Giano.(Si ferma all’entrata.)
Evrardo.34 Che aspetti?
Giano.35La sentenza: Roffredo a te mi manda.
Prudente senno vuol che all’alba tronche
Già sien le teste: così al popol ansa
D’imbaldanzir non dassi.
Evrardo. Oh ciel!
Giano. Tu ondeggi?
Evrardo.Barbaro! ah figli tu non hai.
Giano. Perito
Pe’ mei figli sarei. — Chi, mentre ancora
Trafugar si potea, chi semiviva
Trasse Iginia agli sgherri?
Evrardo. Oh duol!
Giano. Chi il vanto
D’inimitabil cittadin si dava?
Chi esempio altrui, con insultante orgoglio,
Sè ognor propon? Chi sè sol grande estima,
E abbietti gli altri? — Oh i tuoi dispregi antichi
Gran tempo in cor portai: ma giunta è l’ora
Che si rallegri l’odio mio, e prorompa;
Che te spregi io!
Evrardo. Tu?
Giano. Schiusi ecco due abissi:
Nè scampo v’ha; scagliarviti tu dèi.
Evrardo.Che?
Giano. O della propria figlia tua diventi
Il carnefice, e oggetto eccoti al mondo
Di perpetuo abbominio, e la tua infamia
A me vendetta è piena: o negar tenti
Alla legge (che il vuol) d’Iginia il sangue;
E reo di stato eccoti allor. Io primo,
Vil ti dirò, impostor, che il nome santo
Di patria, sino al tedio, iva spacciando,
Onde gli stolti affascinar. Non l’oro
Nè gli amici mi mancan.... nè la mente.
E popolo e senato in avversari
Ti si tramuteranno: un’altra mano
Stringerà il brando del poter: tu espulso,
O calpestato..... . .
Evrardo. Oh rabbia! E ove t’ascondi,
Se Evrardo sta nel loco suo, se Evrardo,
Tra l’onor e la figlia bilanciando,
Questa all’altro sagrifica?
Giano. Lo ignoro:
Forse cadrò: ma t’avrò almen spregiato!
Evrardo.Audace!36 — Oh fieri palpiti!
Giano. Urge il tempo.
Evrardo.Verghiam!
Giano. Possente, o ambizïon, sei tanto?
Vacilli?... Il foglio getti?... Ah, omai si vada
A pubblicar che un traditore è Evrardo!
Evrardo.Scellerato, t’arresta.37 Ecco, ma trema!
SCENA VIII.
EVRARDO.
Oh delitto. Oh rimorso! — E vivo ancora?
Note
- ↑ A Roffredo.
- ↑ Suona il campanello, e poi fa cenno ad un usciere d'andare a prendere Iginia.
- ↑ Alzandosi.
- ↑ S’alza e si consulta cogli altri senatori.
- ↑ S’avvia.
- ↑ Incontrandosi colla figlia.
- ↑ Parte.
- ↑ Che s’ era fermata alla porta, s’avanza, vede Roberta e le si getta fra le braccia.
- ↑ Accenna alla fanciulla di sedere.
- ↑ Iginia prorompe in dirottissimo pianto, e abbraccia strettamente Roberta.
- ↑ In tanto conflitto d’affetti e di dolore è impazzita. Dopo il gran pianto che avea versato è rimasta come stupida ad ascoltare l’ultima parlata di Roberta, che solo in parte ha capito. Presa da una convulsione che le atteggia la fisonomia in guisa deplorabilmente funesta, guarda fiera or gli uni or gli altri. Fa pochi movimenti: accenna, toccandosi la fronte, che ivi sente una violenta pressura: respinge senz’asprezza la pietosa inquietudine di Roberta e d’Arnoldo. — Poi, tutt’a un tratto mette un
riso che atterrisce gli astanti, e sclama: - ↑ Il suo volto ha cessato subito d’essere ridente, ma ella parla con seria dolcezza e calma. I gesti sono meno composti che quando era in ragione, e quasi fanciulleschi.
- ↑ Con raccapriccio guardando vicino a Roffredo.
- ↑ Non dee mostrare orrore soverchio: nella sua parola vi sia spesso gravità e quiete.
- ↑ Come improvvisamente ravvisandolo.
- ↑ Le donne vengono condotte via.
- ↑ Suona il campanello, e dice ad un usciere.
- ↑ A Giano.
- ↑ Ciascuno pone il suo voto nell’urna: dopo ciò Roffredo estrae tutti i voti: le pallottole sono nere.
- ↑ Un momento di muto terrore, intanto che un senatore scrive la sentenza — Un senatore presenta il foglio a Roffredo.
- ↑ Tra sè.
- ↑ Si avanza: è pallidissimo.
- ↑ Gli va incontro, e gli rimette il foglio tremando.
- ↑ Parte oppresso da angoscia e da mal dissimulato rimorso: partono egualmente costernati gli altri Senatori.
- ↑ Accostandosegli.
- ↑ Con grande commozione.
- ↑ Lo guarda.
- ↑ Guarda il foglio e vuol aprirlo.
- ↑ Si vergogna della sua debolezza, si fa forza e comincia a leggere.
- ↑ È assalito da un tal tremito che è costretto d’interrompersi.
- ↑ Passeggia.
- ↑ Va alla tavola per firmare, poi gli manca il coraggio: siede, e si copre colle mani il viso piangendo.
- ↑ S’alza.
- ↑ Si ricompone, e si sdegna di parer debole.
- ↑ Si avanza.
- ↑ Va con impeto per firmare.
- ↑ Firma rapidamente la sentenza, e la consegna.
- ↑ Un nuovo moto di tenerezza per la figlia lo assale: ei corre dietro a Giano quasi per lacerare la sentenza.