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atto quarto. — sc. ii. 187

Dacché tolta mi fosti, oh! quante lunghe
Ore di duol! ma già il tuo aspetto quasi
Ne sgombrò la memoria.
Roffredo.1                                              Iginia, il guelfo
Chi introducea nelle tue soglie?
Iginia.                                                             Io stessa.
Roberta.Che dici? Tu vaneggi.
Roffredo.                                              A te silenzio,
Donna, s’impon. — Dove il vedesti?
Iginia.                                                             Agli orti
Del padre mio, la sera, alle festive
Danze....
Roberta.                Non fia ch’ella prosegua: Iginia
V’inganna: io sola colà vidi il guelfo,
Io ’l ravvisai, lo trassi io di periglio,
Io in mie stanze il nascosi....
Iginia.                                                  O madre mia,
A tanto giunge tua pietà? Tu stessa
Per me accusarti? — Non l’udite: a morte
Onde salvarmi ella andar pensa. Io amante
Da gran tempo di Giulio era: a me sola
Mal l’ascondean le finte spoglie; indarno
Roberta mi seguia. Giulio ella indarno
Cacciar volea, volea chiamare il padre.
Io l’amato guerrier sottrassi a forza
Dal rischio, io lo celai, chiusi a Roberta
Io il passo quando irata a’ ghibellini
Dato prigion lo avria. Proruppe allora
Entro mie stanze il padre, e seco voi:
E fuggì il guelfo.
Roberta.                                   O generosa figlia,
Risparmia pur le tue menzogne: io tutto
Già dissi il ver.
Iginia.                                    Qui vero altro non havvi
Tranne il mio dir.
Arnoldo.                                         Chi nella nobil gara
La palma avrà? Virtù noi del più forte

  1. Accenna alla fanciulla di sedere.