Ifigenia in Aulide (Euripide - Romagnoli)/Esodo

Esodo

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Euripide - Ifigenia in Aulide (403 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1929)
Esodo
Quarto stasimo Ifigenia in Aulide (Euripide - Romagnoli)


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Giunge un araldo.

araldo

Dalla tenda esci, o Clitemnestra, o figlia
di Tíndaro, ed ascolta i detti miei.

clitemnestra

Udita ho la tua voce, e sono qui,
misera me, sgomenta, esterrefatta,
che tu non giunga ad annunciarmi qualche
nuova sciagura.

araldo

                                   Di tua figlia udrai
meravigliosi eventi ed incredibili.

clitemnestra

Non indugiare, anzi a parlare affréttati.

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araldo

Tutta la verità, regina mia,
ben chiara tu saprai, se la memoria
non mi deluderà, se ai detti miei
inciampo non porrà. Come d’Artèmide
giungemmo al tempio ed ai fiorenti prati,
la tua figliuola conducendo, súbito
s’adunò degli Achei la turba. E come
Agamènnone vide a morte muovere,
al bosco sacro, la sua figlia, gèmiti
levò, la faccia indietro volse, lagrime
versò, del manto fece agli occhi velo.
Ed ella, stando presso al padre, disse:
«O padre, eccomi a te: questo mio corpo
io per la patria mia, per tutta l’Ellade,
volonterosa dò, ché l’adduciate,
della Dea presso all’ara, e l’immoliate,
se pur questo è il destino. E la fortuna,
per quanto è in me, v’arrida, e la vittoria
dell’armi, ed il ritorno al patrio suolo.
Ed ora, niuno degli Argivi appressi
la mano a me. Volonterosa e muta
la mia gola offrirò». Furono queste
le sue parole; e udendole, stupirono
tutti l’ardir, la forza della vergine.
E in mezzo stando allor Taltibio, a cui
tal cómpito incombea, silenzio impose
alle turbe, e formâr prosperi auspici.
E Calcante indovino, un ferro acuto
tratto dalla guaina, in mezzo all’aureo
canestro1 lo depose, e della vergine
il capo ghirlandò. Preso il canestro,

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il figlio di Pelèo, movendo attorno
all’ara della Dea, di sacre stille
l’asperse, ed invocò: «Figlia di Giove
che stermini le fiere, e fra le tenebre
la tua fulgida luce in giro volgi,
questa vittima accogli onde olocausto
ti fan le achive schiere ed Agamènnone,
il sangue intatto di virginea gola;
e concedi alle navi un corso prospero,
e ch’espugnati i valli d’Ilio siano
dall’armi nostre». Stavano gli Atrídi,
stava tutto l’esercito, con gli occhi
confitti al suolo. Ed impugnato il brando,
preci innalzava il sacerdote, e il punto
della gola cercava ov’ei colpisse.
Da non lieve dolor l’animo mio
era pervaso, e stavo a fronte bassa.
Ed ecco, apparve un prodigio improvviso;
ché del colpo il rumore ognuno udí,
ma dove la fanciulla al suol cadesse,
nessuno vide. Il sacerdote, un grido
levò, gridò con lui tutto l’esercito,
poi che un prodigio inaspettato vide
d'un qualche Nume, tal, che, pur vedendolo,
incredibil parea. Guizzante al suolo
una cerva giacea, grande, bellissima,
e del suo sangue tutto intorno asperso
era l’altare della Diva. E allora
lieto Calcante — immaginar lo puoi:
«Principi — disse — che in comune queste
schiere d’Achei guidate, or questa vittima
mirate, che la Dea sull’ara pose,
questa cerva montana. Essa gradí

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questa, piú che la vergine, perché
sí nobil sangue non macchiasse l’ara.
Di buon grado l’accolse, e a voi concede
prosperi eventi, e navigar contro Ilio.
Or si rinfranchi ogni nocchiere, e corra
alla sua nave: ché oggi stesso, d’Àulide
abbandonar conviene i cavi anfratti,
attraversare l’estuante Egèo».
E poscia ch’arsa fu tutta la vittima,
su la vampa d’Efèsto, esso invocò
fausto ritorno per le schiere. Adesso,
Agamènnone a te m’invia, perché
da me tu sappia qual sorte dai Numi
ebbe la figlia tua, quale ne l’Ellade
sorte immortale; ed io, che fui presente,
e tutto vidi, a te lo narro. Certo,
volò tra i Numi la fanciulla. Scaccia
la doglia, e il tuo rancor contro lo sposo.
Inopinati mandano sugli uomini
gli eventi i Numi, e quei salvano ch’amano:
oggi la figlia tua fu spenta e visse.

coro

Di tal messaggio quanto godo! Ei dice
che fra i Celesti la tua figlia vive.

clitemnestra

T’ha dunque un Nume rapita, o figlia?
Che debbo credere di te? Che quanto
costui m’ha detto, non è che favola
vana, a placare questo mio schianto?

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coro

Ecco Agamènnone giunge a noi presso
potrà narrarti tutto egli stesso.

agamennone

Donna, felici quanto alla fanciulla
ci possiamo chiamar, ché veramente
ella è dei Numi in compagnia. Tu devi
questo tenero agnello or teco prendere,
e alla patria tornar: poiché l’esercito
si dispone a partir. Pria che da Troia
io torni, e teco parli ancor, dovrà
lungo tempo passar. T’arrida il bene.

coro

Alla terra dei Frigi, Agamènnone,
muovi lieto, e al ritorno la gioia
t’arrida, le spoglie bellissime
recando da Troia.

Note

  1. [p. 321 modifica]In mezzo all’aureo canestro, ove erano le offerte per il sacrificio.