araldo
Tutta la verità, regina mia,
ben chiara tu saprai, se la memoria
non mi deluderà, se ai detti miei
inciampo non porrà. Come d’Artèmide
giungemmo al tempio ed ai fiorenti prati,
la tua figliuola conducendo, súbito
s’adunò degli Achei la turba. E come
Agamènnone vide a morte muovere,
al bosco sacro, la sua figlia, gèmiti
levò, la faccia indietro volse, lagrime
versò, del manto fece agli occhi velo.
Ed ella, stando presso al padre, disse:
«O padre, eccomi a te: questo mio corpo
io per la patria mia, per tutta l’Ellade,
volonterosa dò, ché l’adduciate,
della Dea presso all’ara, e l’immoliate,
se pur questo è il destino. E la fortuna,
per quanto è in me, v’arrida, e la vittoria
dell’armi, ed il ritorno al patrio suolo.
Ed ora, niuno degli Argivi appressi
la mano a me. Volonterosa e muta
la mia gola offrirò». Furono queste
le sue parole; e udendole, stupirono
tutti l’ardir, la forza della vergine.
E in mezzo stando allor Taltibio, a cui
tal cómpito incombea, silenzio impose
alle turbe, e formâr prosperi auspici.
E Calcante indovino, un ferro acuto
tratto dalla guaina, in mezzo all’aureo
canestro19 lo depose, e della vergine
il capo ghirlandò. Preso il canestro,