Idilli (Teocrito - Pagnini)/XXVIII
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LA ROCCA
Idillio XXVIII
O rocca, amica della lana, o dono
Della glauca Minerva, alle matrone,
Che della casa han cura, obbietto amato;
Alla città famosa di Nileo
Vien nosco franca, ove a Ciprigna un tempio
Verdeggia sotto un tenero canneto.
Ben noi chieggiamo a Giove un fausto vento
Per navigar colà, dov’io m’allegri
Di rivedere, e ribaciar l’amico
Nicia, germoglio santo delle Grazie
Dolce-parlanti, e dov’io te bel dono
Di ben tornito avorio in man riponga
Alla sposa di Nicia; e tu con lei
Trarrai a fin per gli abiti virili
Molti lavori e molte, che le donne
Di portare hanno in uso, ondate robe.
Ben due fiate l’anno il molle vello
Sveston le madri degli agnei su l’erba
Per Teugenide avente i piè leggiadri;
Tanto è pronta al lavoro, e tanto apprezza
Quel che apprezzan le sagge. E ben mi stava
Fisso nel cuor di non donar te nata
Nel mio paese a pigra casa, e ignava.
Sì, tua patria quella è che Archìa d’Efira,
Eresse un dì, città d’uomini prodi,
Midollo ver dell’Isola Trinacria.
Or in casa d’un uom, che molte seppe
Ritrovar medicine salutari
A disgombrar da’ corpi i tristi morbi,
Abiterai l’amabile Mileto
In mezzo a’ Gionj, onde nel patrio suolo
Teugenide per rocca in pregio ascenda,
E tu mai sempre in mente le rappelli.
Il buon ospite suo de’ versi amante.
E dirà alcun quando ti veggia: È questo
Un gran favore in picciol don; ma tutto
Quel che vien dagli amici è d’onor degno.