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Striscia dal ciel precipitando in mare,
E de’ nocchieri alcun grida ai compagni:
Amici, alzate i lini; è fausto il vento.
Le Ninfe avendo il garzoncel piangente
Su le ginocchia gli porgean conforto
Con blande parolette. Alcide allora,
Turbato pel garzon, l’arco ritorto
All’uso degli Sciti, e in un la mazza,
Ond’ei sempre la destra empiea, si tolse
Per girne in traccia. Ila chiamò tre volte
Quant’ei potè dalla profonda gola.
Tre volte udì il fanciullo, e fuor dell’onde
Gracile suono uscì. Benchè vicino,
Parea da lungi. Or qual lion barbuto,
Crudivoro lion, che di lontano
La voce di cervetta ode pe’ monti,
Al preparato pasto esce correndo
Dal covo; tale Alcide disïoso
Del suo garzon per inaccessi dumi
Si raggirava, e gran paese intorno
Prendea. Miseri amanti! Oh! quanto errando
Per monti, e selve a soffrir ebbe, e tutte
Pose in non cale di Giason le cure.
Ferma si stava con le antenne alzate
La nave, e i navalestri a mezza notte
Le vele sventolavano aspettando
Ercole pur, che furibundo gìa
Dove condotto era da’ piè; chè un Nume
Spietato sotto il cor lo lacerava.
Così il bellissim’Ila infra la schiera
Entrò degli Immortali. Ercole intanto
Schernian gli Eroi qual disertor di nave,
Perch’Argo abbandonò ben allestita
A trenta banchi; e fino a Colco, e a Fasi
Inospitale a piè fornì ’l viaggio.