Idillio III. Canto funebre di Bione, buccolico amatore

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Mosco - Idilli (II secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini (1827)
Idillio III. Canto funebre di Bione, buccolico amatore
II IV
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CANTO FUNEBRE DI BIONE

BUCCOLICO AMATORE


Idillio III

 
Alto gemete, o poggi, e doric’onde;
     L’amabile Bion piangete, o fiumi;
     Piante, or in lutto vi sciogliete, e in lai,
     Selve; e su i tristi rami, o fior, languite;
     5Or anemoni e rose, v’ammantate
     Di porpora lugubre, e tu, giacinto,
     Tue note parla, e d’un ai ai maggiore
     Verga le foglie. Il buon Cantore è spento.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     10O rosignuoi ploranti in dense frasche,
     Alle sicule fonti d’Aretusa
     Ridite, che il pastor Bione è spento,
     E il suon dorico, e il canto è con lui morto.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     15Strimonj cigni, in riva all’onde un suono
     Funebre fuor della gemente bocca
     Armonizzate pari al suon, che un giorno
     Ei modulava con le vostre labbra.
     Alle Bistonie Ninfe, ed all’Eagrie
     20Dite, ch’è morto il dorïese Orfeo.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Ei sì caro agli armenti, or sotto querce
     Romite assiso ah! non più dolce canta;
     Ma presso Pluto or move un suon letèo.
     25Son muti i poggi, e intorno a’ buoi le vacche
     Giran piangendo ed obblïando il pasco.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Il tuo morir sì ratto Apollo stesso,
     O Bion, pianse, e i Satiri, e i Priapi

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     30In negre vesti lagrimaro. I Pani
     Sospirano il tuo canto, e per le selve
     Fan le Najadi ognor di pianto fiumi.
     Duolsi nelle caverne Eco, che tace,
     Ne più il tuo labbro imita. Al tuo morire
     35Scosser gli arbori il frutto, e i fior languìro.
     Non più venne dall’agne il dolce latte,
     Nè il mel dagli alveari. Entro la cera
     Per duol si strusse. E già non è più d’uopo
     Altro mele raccor, se il tuo ne manca.
40Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Non mai delfin sì pianse in marin lido,
     Nè sì cantò usignuol sopra gli scogli,
     Nè sì rondine strise in alti monti,
     Nè sì d’Alcione il duol seguìo Ceice.
45Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Nè Cerilo cantò sui glauchi flutti,
     Nè di Mennon l’augello alla sua tomba
     Volando pianse in orïente il figlio
     D’Aurora sì, come Bione estinto.
50Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Gli usignuoli e le rondini da lui
     Già dilettate, ed a parlare instrutte,
     Sovra i rami posando un pianto alterno
     Destavano fra loro, e gli altri augelli
     55Rispondean: voi, colombe, ancor piangeste.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Chi, o caro, sonerà la tua sampogna?
     Chi fia che appressi alle tue canne il labbro?
     Chi fia sì ardito? Elle respiran’anco
     60L’odor delle tue labbra, ed il tuo fiato.
     Eco pur di tue note infra le canne
     Si pasce. Io reco a Pan la tua siringa:
     Fors’ei pur temerà di porvi il labbro,
     Per non restar nel suono a te secondo.
65Sicule Muse, incominciate il pianto.

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     Piange ancor Galatea, cui già sedente
     Vicino a te sulle marine piagge
     Il tuo suon dilettava, che non era
     Come quel del Ciclope. A questo il tergo
     70Volgea la Bella; ma dal mar girava
     A te soave il guardo. Ora scordate
     L’onde si sta sulle romite arene,
     E i bovi tuoi pur anco al pasco mena.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     75Tutti i don delle Muse perir teco,
     Pastor, delle donzelle i cari baci,
     E de’ garzon le labbra. Al tuo sepolcro
     Van gli Amori iterando un tristo pianto.
     Venere stessa più del bacio t’ama,
     80Ch’ella già diede al moribondo Adone.
     Questo è per te, sovra ogni fiume arguto
     Melete, un altro affanno, affanno nuovo.
     Omero in prima ti morì, quel dolce
     Di Calliope labbro, ed è pur fama,
     85Che con le flebil’onde il tuo gran figlio
     Piangessi, e di tue voci empiessi il mare.
     Altro or ne piangi, e in grave duol ti struggi.
     Ambo fur cari ai fonti. Ad Ippocrene
     L’uno beveva, e l’altro ad Aretusa.
     90Quei la figlia di Tindaro vezzosa
     A cantar prese, il gran figlio di Teti,
     L’Atride Menelao. Questi non guerre
     E non affanni modulò, ma Pane;
     Pastor cantava, e in un pasceva armenti;
     95Mungea l’amate vacche, e le sampogne
     Ordiva, e i baci dei garzon vantava.
     Nudrissi Amore in seno, e a Vener piacque.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Ogni città famosa, ogni castello
     100Per te, Bion, s’affligge. Ascra te piange
     Ben più ch’Esiodo, e la beotich’Ile

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     Non tanto cerca Pindaro, nè tanto
     La ben difesa Lesbo Alceo, nè plora
     Tanto la Ceja gente il suo Cantore.
     105Paro te più d’Archiloco desìa,
     E invece ognor di Saffo i carmi tuoi
     Ripete Mitilene. Ogni pastore
     Qual più fervido ha il labbro, in versi piange
     Il tuo fato crudel. L’onor di Samo
     110Sicelida sospira, e fra i Cidonj
     Quel già sì gajo pe’ ridenti lumi
     Licida in mesto pianto or si discioglie.
     Fra i Triopidi suoi d’Alente in riva
     Il buon Fileta, e fra i Siracusani
     115Teocrito si lagna. Un mesto carme
     Ausonio per te sciolgo, io non ignaro
     Del buccolico metro, il qual mostrasti
     Ai discepoli tuoi, ch’eredi festi
     Per sommo onor del doriese canto.
     120Altrui gli aver lasciasti, a me la Musa.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Poichè le malve son negli orti spente,
     O il verde appio, o il fiorente e crespo aneto,
     Rivivono e fioriscon un altr’anno.
     125Ma noi, uomini grandi, e forti o saggi,
     Come pria siam morti, in cava fossa
     Lungo, infinito, ineccitabil sonno,
     Ahimè! dormiamo. Or in silenzio avvolto
     Starai sotterra; e pur perenne canto
     130Le Ninfe non dinegano alla rana;
     Cui però non invidio il rozzo metro.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Rio veneno, o Bion, ti venne in bocca,
     E tu il provasti. E come alle tue labbra
     135Il venen s’accostò, nè si fe’ dolce?
     Chi mai sì crudo, e de’ tuoi carmi schivo,
     Mescè il veneno, o a te di darlo impose?

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Sicule Muse, incominciate il pianto.
     Ma tutti n’han la pena; ed io piangendo
     140Nel comun lutto il duro fato accuso.
     E s’io potessi, com’Orfeo, che scese
     Fino all’Inferno, o come Ulisse, o come
     Prima di quegli Alcide, ah! certo anch’io
     A casa di Pluton dicenderei,
     145Per veder se tu ancora a Dite canti,
     E per udir che vai cantando. Or tempra
     Sicule note e boscherecci suoni
     A Proserpina pur, che sull’etnèo,
     E sul Siculo lido ai giochi intenta
     150Dorici accenti modulò. Non senza
     Premio il canto sarà. S’ella concesse
     Al dolce sonator di cetra Orfeo
     Euridice menarne, ella sui monti
     Te pur rimanderà. Che s’io potessi,
     155Sonar l’avena a Pluto anch’io vorrei.