I vasi di porcellana

Giuseppe Gioachino Belli

1834 Indice:Sonetti romaneschi III.djvu corone di sonetti letteratura I vasi di porcellana Intestazione 27 dicembre 2022 75% Da definire

Er linnesto Li Cavajjeri
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834

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I VASI DI PORCELLANA.1

1.

     Firenze, Signor Giacomo Ginori.
Le due casse, condotta Pietro Vico,
Porcellane mi giunsero; ma, amico,
Enormi prezzi e pessimi lavori.

    Tanto in genere. In specie poi vi dico
Quanto ai campioni due, vasi da fiori,
Mal dorati, bruttissimi colori,
Poca solidità, disegno antico.

     Ricevuta la lettera2 vi scrivo,
Ponetene sei scudi a mio dovere
Diffalcando in fattura l’eccessivo!

     E accusandovi ben condizionati
I colli, sono al vostro buon piacere,
Roma 6 Luglio 32. Cagiati.

21 aprile 1834


Note

  1. In questo e nel seguente sonetto ho creduto discostarmi dal solito vernacolo romanesco, onde introdurre due esempi di commerciali contrattazioni, e compier quindi l’idea col 3° sonetto, nel quale tornandosi allo stil consueto si offre un giudizio sulla fede di que’ traffichi.
  2. Sottintendi: che. È superfluo già l’avvertire che questi versi imitano il mercantile epistolare [sic].
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I VASI DI PORCELLANA.1

2.

     Ma llei gli osservi se cche vvasi! Costa
Più il porto a mmé, cche a llei tutto il campione.
Non si lasci sfuggir quest’occasione,
Ch’io glieli do pper acquistar la posta.2

     Colori a ffuoco, ggiàa,3 smalto di crosta:4
Glieli mantengo io, siggnor Barone,
Per porcellana vera del Giappone,
Fabbrica di Pariggi e ffatti apposta.

     Venti scudi, dio mio!, valgono a ppeso.
Che bbei due capi! Lei, caro siggnore,
Bbenedirà il danaro che ccià5 speso.

     Mi maraviglio. Io glieli mando a ccasa,
E llei dopo a ssuo comodo... Ho l’onore:
Servitor suo: mi favorisca spesso.6

21 aprile 1834


Note

  1. A differenza del sonetto 1°, si è in questo adottata la ortografia usata pel dir romanesco. Quello però non era che una rappresentanza di una lettera scritta: ma dovendo il presente porre sott’occhio la pronunzia romana (che di pochissimo diversifica dalla romanesca; malgrado la miglior correzione del dire), abbiamo stimato di non abbandonare il nuovo nostro sistema ortografico.
  2. L’avventore.
  3. Già. Lo abbiamo scritto con due a, onde esprimere il suono prolungato di questa vocale nella parola già; allorchè serve essa di approvazione a ciò che si ascolta obiettarsi da alcuna persona.
  4. Smalto profondo, spesso.
  5. Ci ha: che si pronunziano in una sola emissione di voce.
  6. [Manca, come si vede, la rima.]
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LI VASI DE PORCELLANA.1

3.

     Jjeri er padrone mio crompò2 ddu’ vasi
Dipinti a ttinta verde e oro ggiallo,
Che ssenza le campane de cristallo
Je sò ccostati venti scudi o gguasi.3

     Anzi li chiama lui rari sti casi,
Ché vventi scudi vale uno a bbuttallo:
Quantunque er conte Rubbi e ’r dottor Gallo4
Nu' ne pàreno troppo perzuasi.

     Tu ssai si5 ppe' ccontratti sce so'6 ometti
Da mett’appetto7 a cquelli du’ siggnori,
Che rraschierìeno8 er lustro a li papetti.9

     Dicheno dunque che sti vasi iggnudi,
Ciovè10 ssenza campanee ssenza fiori,
Ponno ar giusto valé ttredisci scudi.

21 aprile 1834


Note

  1. Vedi la nota 1 del sonetto primo.
  2. Comperò.
  3. Quasi.
  4. Personaggio famoso in Roma, che da servente di ospedale è passato a forza d’ingegno ad avere titolo, e sostanza di marchese. A nessuno meglio che a lui può addirsi il romano termine di lesto-fante.
  5. Se.
  6. Ci sono.
  7. Da mettere appetto.
  8. Raschierebbero.
  9. Moneta papale di argento, da due paoli. La lira romana.
  10. Cioè.