Prologo

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Eschilo - I sette a Tebe (467 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1922)
Prologo
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PROLOGO


eteocle
Cittadini cadmei, chi su la poppa
de la città volge la barra, e regge
lo stato, senza mai sopire il ciglio,
parole acconce deve dir: ché quando
ridon gli eventi ella è mercè dei Numi;
ma se poi, deh!, non sia, male ne incolga,
per la città solo sarebbe Eteocle
con preludi d’obbrobrio altosonanti
e con querele decantato — Giove
che detto è salutar, salute arrechi
alla città di Cadmo. — Or tutti voi,
e quei che al fiore dell’età non giunge,
e quei che lo mirò vizzo negli anni,
riscotendo nei membri ogni vigore,
volgendo alla piú acconcia opra la cura,
date soccorso a Tebe, ed agli altari
dei patrî Numi, che non mai d’onore

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sien privi, e ai figli, e a questa terra madre,
carissima nutrice. Essa, reggendo
dell’educarvi il peso tutto, pargoli
repenti ancora, sul benigno suolo
v’accolse e vi nutrí, ché cittadini
fidi e fidi guerrieri, a tai frangenti
un giorno foste. E insino ad oggi, il Nume
a favor nostro s’inchinò: la guerra,
mercè dei Numi, insino a qui, propizia
volse, gran parte, a noi stretti d’assedio.
Ed ora il vate educator d’augelli,
che, senza fiamma, con l’orecchio, intende
i fatidici alati, e col pensiero,
e con la non mendace arte: costui,
signor di tali vaticinî, annunzia
che notturno concilio gli Achei tennero,
e un grande assalto alla città si trama.
Delle torri alle porte ed agli spalti
dunque tutti affrettatevi, lanciatevi
chiusi nell’arme, empiete i propugnacoli,
piantate il pie’ sui palchi de le torri,
a cuor sicuro delle porte i valichi
sbarrate: troppo una straniera turba
non vi sgomenti: un Dio darà buon esito.
Esploratori io già mandai, che spiino
l’oste nemica: e spero bene ch’essi
non indugin per via. Poscia che uditi
li avrò, veruna insidia potrà cogliermi.
Il popolo si allontana. Dalla via che conduce fuor della rocca, entra un messaggero.

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messaggero
O dei Cadmei signore ottimo, Eteocle,
dal campo io giungo, e a te reco sicure
notizie di laggiú: ché vidi io stesso.
Sette guerrieri, impetuosi duci,
sgozzato un toro dentro un negro ferreo
scudo, e le man tuffando entro quel sangue,
per la Strage, per Marte, pel sanguineo
Terror, la rocca dei Cadmei giurarono
che diroccata avrebbero, spogliata
la città con la forza; o che, trafitti,
questa terra di sangue intriderebbero.
E ciascuno appendea, versando lagrime,
d’Adrasto al cocchio, per i suoi parenti,
per la magione sua, pegni d’affetto1.
Né lagno uscia dai labbri. Pensier’ferrei
spiravan l’alme, di valore ardevano,
come leoni che negli occhi han guerra.
Né tempo andrà che avrai di ciò contezza:
io li lasciai che gittavan le sorti,
a quale porta la sua schiera ognuno
dovesse addurre. E tu, subito eleggi
i migliori di Tebe, e delle porte
ponili ai varchi: ché le schiere Argive,
chiuse ne l’armi, avanzan già, di polvere
si sollevano nembi; e di sue gocciole
candida spuma la pianura spruzza
dal pulmon dei cavalli. Or, come saggio
nocchiero, tu provvedi ad ogni falla,
pria che di Marte la procella infurî:

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ché mugghia il flutto del terrestre esercito.
Quanto puoi prima, a ciò ripara. Ed io
con dïurna pupilla a te del resto
sarò fida vedetta. E tu, sapendo
ciò ch’oprano i nemici, illeso andrai.
Il messaggero esce.
eteocle
O Giove, o Terra, o Numi della patria,
o del mio padre imprecatrici Erinni
possenti, deh! questa città ch’effonde
loquela ellèna, dalle sue radici
non divellete, e i focolari aviti,
preda agl’infesti, all’ultima rovina.
Non sopponete a servil giogo questa
libera terra e la città di Cadmo:
siate sua forza: a comun bene io parlo:
ché prospera città venera i Dèmoni.
Eteocle esce.

Note

  1. [p. 352 modifica]Nelle guerre, i combattenti solevano mandare ai famigliari, per memoria, o tenie, o fibbie, o riccioli. Qui consegnano tutto ad Adrasto perché il profeta Anfiarao aveva predetto che solo Adrasto sarebbe ritornato salvo dall’impreta.