<dc:title> I rusteghi </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Carlo Goldoni</dc:creator><dc:date>1760</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XVIII.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_rusteghi/Lettera_di_dedica&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20210907111920</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_rusteghi/Lettera_di_dedica&oldid=-20210907111920
I rusteghi - Lettera di dedica Carlo GoldoniGoldoni - Opere complete, Venezia 1914, XVIII.djvu
del consiglio di guerra di sua maestà cristianissima,
e suo ambasciatore presso la sereniss. repubblica
di venezia ecc.
N
ON parrà cosa strana, ch’io dedichi una mia Commedia a V. E.1; poichè Noi Poeti siamo in ciò arditissimi, e non misuriamo nel dedicare le cose nostre, nè la picciolezza dell’opera, nè la grandezza del Mecenate. Sembrerà a taluno piuttosto, ch’io abbia assai stranamente pensato nella scelta della Commedia, presentando a un Cavaliere Francese un opera Italiana non solo, ma scritta in rigoroso vernacolo Veneziano. V. E. ha molto letto del mio; sa ch’io soglio dir sempre la verità, e mi concederà, che anche questa volta la possa dire. So ch’ella ha veduto questa mia Commedia rappresentare; so che n’è rimasta contenta, ed io per ciò l’ho preferita ad ogn’altra. Se quest’opera è cosa buona, sarà maraviglia ch’io l’abbia fatta, ma è bene ancor più maraviglioso, che V. E. l’abbia potuta così perfettamente capire. In ogni nazione hanno le Città tutte i loro Dialetti particolari, ma in nessuna parte più che in Italia parlano diversamente i Popoli delle varie Provincie, talchè molti e molti fra di loro non si capiscono. La Veneta nostra lingua non è la più difficile da capirsi, anzi è quella che di tant’altre si scosta meno dalla Toscana, meno cioè della Genovese, della Lombarda, della Piemontese, della Friulana, pure ha tali termini particolari, e ha certe[p. 12modifica]frasi, e cotal pronuncia, che forastiera la rende anche agl’Italiani medesimi, e non sì facilmente si gusta da chi non l’ha in pratica perfettamente. Pure V. E. l’intende bene, e convien dire che felicemente l’intenda, se arriva ad assaporar la Commedia, scritta coi modi e coi vernacoli più rigorosi della nazione. Questo non può essere che un effetto di mente pronta e felice, che in poco più di due anni ha saputo impossessarsi del costume, delle grazie, e della proprietà del Paese. L’ultima è questa delle ammirabili prerogative di V. E., ma pure è quella che è necessaria in un Ministro, che trattar deve in un Paese straniero gli affari del suo Sovrano. Questo picciol dono della natura, picciolo in confronto di tanti grandiosi pregj, che adornano la di Lei persona e il di Lei talento, la rendono vie più cara dovunque ella soggiorna, ed utile agl’interessi della Monarchia, alla quale ha l’onor di servire. Io credo che l’impegno più malagevole di un uomo grande sia quello di adempiere le commissioni del suo Sovrano, e sostenere il decoro della propria nazione in un Dominio straniero, e credo sia necessario per ben riuscirne conoscer l’indole del Paese, e il rendersi grato e stimabile dov’ei dimora. V. E. ha tutti i mezzi per conseguire un tal fine. Ella prima di tutto è in possesso di un’antichissima Nobiltà di sangue, di cui niuno meglio di noi Italiani può farne certa testimonianza, sendo l’illustre di Lei Famiglia una delle più cospicue d’Italia, originaria d’Orvieto, ov’ebbe ne’ Secoli oltrepassati e titoli, e signorie, ed ampie doviziose tenute; e questa Repubblica Veneziana rammemora tuttavia fra gl’illustri Generali, che ressero un tempo le sue Armate, uno dei valorosi di Lei Antenati. Passata in Francia l’eccelsa di Lei Prosapia, vi recò seco tutto lo splendore nativo, e l’aumentò in ogni tempo con cariche, dignità, e Ministerj, ed ecco l’E. V. arricchita dei primi onori del Regno, insignita dell’Ordine del Cordon Bleu, di quell’Ordine riserbato dai Re di Francia a’ riguardevoli Personaggi, in cui si unisca chiarezza di sangue, e distinzione di merito personale. Se parliamo di merito personale, che è il vero merito, non ereditato dalla fortuna, ma acquistato cogli abiti virtuosi, Ella ne è talmente fornita, che meglio non[p. 13modifica]ponno essere collocati i favori del suo Monarca, e in ogni parte ov’Ella si trova, dovute le sono le ammirazioni e gli ossequj. Quale stima e venerazione non riscosse Ella in Baviera, dove ha sostenuto sì egregiamente il carattere di Ministro Plenipotenziario presso quell’Elettore? Quai memorie di sè onorevoli, eterne, non lasciò ella alla Regia Corte di Portogallo, dove risiedè Ambasciatore di Sua Maestà Cristianissima? E qual uso colà non fece della virile sua intrepidezza nell’orribile scuotimento di quel terreno, che rovesciò di quella Capitale la maggior parte, e serba tuttavia i dolorosi vestigi delle sue fatali ruine?2 qual gloria finalmente non si va ella tuttodì procacciando in quest’Adriaca Metropoli colla comendevole sua condotta, e co’ saggi suoi rispettabili uffizi? Tutto ciò dipende da due cagioni, cioè dal cuor ben fatto, e dai migliori studj, a’ quai si è sempre applicata. Effetti sono del bellissimo di Lei cuore quel tratto amabile con cui è solita di conversare: quella sincerità, con cui condisce ed anima i ragionamenti e i consigli: quella generosità e cortesia, con cui favorisce ed accoglie gli amici e i servidori suoi rispettosi: l’inimicizia giurata alla vanità, alla superbia: la Pietà: la Religione: il costume: l’uso finalmente delle Virtù morali, da Lei conosciute e coltivate, e coll’esempio e colle parole insegnate. Effetti sono delle serie sue applicazioni: L’intelligenza intorno alle scienze e alle belle arti: L’istruzione vastissima nelle Storie antiche e moderne: Il possedimento delle lingue: La cognizion degli Autori: L’esercizio delle lettere umane: L’amor dei libri: Il trattenimento degli uomini: Il criterio: La critica: L’erudizione. Ecco ciò che ha saputo rendere V. E. amabile agli occhi del maggior Re della Terra; ecco la ragione per cui il Sovrano felicissimo delle Gallie l’ha voluta quasi sempre in compagnia ne’ suoi viaggi; ecco il perchè da tutti i Principi, da tutti i Popoli ella è apprezzata; ecco finalmente l’origine dell’ottima educazione de’ suoi Figliuoli, che sono lo specchio della esemplarità, del buon costume, e della più esatta morigeratezza. Iddio[p. 14modifica]ha secondate le di lei savissime inclinazioni, dandole per compagna Madama la Contessa di Lei degnissima Sposa, Dama illustre, ricolma di merito, di talento e di gentilezza.
Fra i benefizi, ch’io ho conseguito dalla Fortuna, reputo per me il maggiore l’onor concessomi della protezione di Loro, e la tolleranza che hanno di me benignamente, ammettendomi spesso al sommo bene della loro amabilissima conversazione, da cui non si può che apprendere massime di prudenza, ed insegnamenti di retto vivere. Fra le infinite cognizioni, cui V. E. possiede, avvi quella della Poesia Teatrale. Ella conosce perfettamente il Teatro, e non solo il Francese, ma l’Italiano ancora. Non è picciola la differenza che corre in tal proposito fra il genio e il sistema delle due Nazioni; ed ella, che n’è egualmente in possesso, sa gustare una Commedia in Italia, di cui non sarebbe contenta in Francia. Io sono vicinissimo al gran passaggio. Dopo di aver composte cento e venti Commedie pe’l mio ’Paese, deggio andare a provarmi nella gran Città di Parigi3, nella Città della colta letteratura, degl’ingegni felici, e del purgato Teatro. Confesso il vero, nulla ardisco di compromettermi in avvantaggio di quest’impresa, che sempre più sembrami pericolosa, e quasi direi temeraria. È vero che la Natura da per tutto è la stessa, ma da per tutto non è egualmente modificata. È vero che io ho la sorte di essere in qualche buona opinione in Francia, ma le cose si mirano in lontananza con una vista, e con un’altra si osservano da vicino; quindi e ch’io spero pochissimo, e quanto più si avvicina la mia partenza, si aumenta sempre più il mio timore. Ciò non ostante io vado in Francia col maggior piacere del mondo. Son prevenuto del godimento estremo che mi si appressa in una Città magnifica, in mezzo ad una nazione colta, erudita, gentile, sicuro, se non di essere colà sofferto, di partire almeno istruito.
Bella consolazione è per me l’andarvi dalla di Lei protezione decorato e munito. Ecco il grande interesse, che mi ha condotto a dedicare all’E. V. quest’operetta, e porre il [p. 15modifica]venerabile di Lei nome tra’ miei Fogli stampati. Il credito ch’ella ha in Francia, può avvantaggiare moltissimo la riputazione di un uomo da Lei protetto; e le illustri di Lei Parentele, e le amicizie sue decorose ponno molto contribuire al mio desiderato compatimento. Non dirò già, come dir sogliono alcuni, che il nome del Mecenate vaglia a difender le opere dalle critiche, e sia bastante per farle stimabili e rispettate; so che il Pubblico vuol giudicarne liberamente, e non crede di far verun torto al merito del Protettore, trattando come più gli piace l’Autore. Mi lusingo bensì ragionevolmente, che veggendo i Francesi le opere mie dall’E. V. aggradite, diranno: Costui, che non è niente in Francia, sarà qualche cosa in Italia. Chi sa che ciò non mi giovi per essere anche colà in miglior opinione? Una sì onorevole scorta mi fa essere un poco più coraggioso. Molte cose ch’io non sapeva, ho imparate dalle salutevoli benigne istruzioni di V. E., e s’io avessi talento bastante per porre le di Lei insinuazioni a profitto, tanto è grande la benignità ch’Ella ha usato meco, ch’io partirei di buoni lumi e di utilissime cognizioni arricchito. Ma tardi è per me arrivata sì buona sorte. Ho consumata l’età migliore tra le fatiche. Torno scolare allor ch’io dovrei aver finito di scrìvere. Lo studio e la fatica non mi rincresce; vorrei saper profittare, e crederei bene sparsi i sudori, e ben vegliate le notti. Ma ora mi accorgo quanto soverchiamente ho abusato della di Lei tolleranza, formando un sì lungo foglio niente per altro che per presentarle una mia Commedia. Veda V. E. da ciò, quant’io vo lungi dallo stil de’ Francesi. Non s’usano fra di loro queste sì lunghe dedicatorie. Hanno il dono di restringere il molto in poco; e sono migliori economi del tempo, e più discreti colle persone. Vorrei pure difendermi. Vorrei dir le ragioni, perchè mi sono lasciato trasportare dall’animo a dir quanto ho detto, ma tutto ciò si può dalla lettera stessa conoscere e rilevare; sarebbe un maggior difetto il ripeterlo, e chiuderò il presente umilissimo foglio, protestandomi ossequiosamente di Vostra Eccellenza
Umiliss. Devotiss. e Obbligatiss. Serv. Carlo Goldoni.
↑La presente lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia nella primavera del 1762, nel t. III dell’ed. Pasquali di Venezia.
↑Alludesi al terremoto che distrusse Lisbona il primo giorno di novembre del 1755.
↑Il Goldoni allude alla sua prossima partenza da Venezia per la Francia, che avvenne il giorno 15 aprile 1762.