I rossi e i neri/Primo volume/XXXVIII
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XXXVIII.
"Amor che a nullo amato amar perdona"
Fornita quella importantissima bisogna, Lorenzo Salvani aveva da tornare a casa, sebbene per pochi minuti. Quel giorno egli fingeva di dover contentare l’amico Assereto, facendo una scampagnata con lui, e non gli rimaneva più altro a fare che accennar la cosa a Maria, perchè non avesse da attenderlo per desinare.
Il pensiero della fanciulla era l’unico rimorso che avesse in cuore Lorenzo. Quando l’angelico sembiante di Maria gli si parava dinanzi agli occhi della mente, egli bene intendeva che il suo disegno, in apparenza così generoso e tale da meritargli lode e rimpianto presso l’universale, era un delitto bello e buono al cospetto della sua coscienza, ch’egli non poteva ingannare. Ed erano allora combattimenti feroci nell’anima sua travagliata. - Ma, infine, dovrò io vivere a questo modo? Sarò io incatenato, come Prometeo, alla rupe dell’esistenza, col rostro dell’avvoltoio nel cuore, e senza il conforto di tornar utile in alcuna maniera ad anima nata? Quella mattina, un poco di calma gli era pur derivato, non sapremmo se più dalla istessa vicinanza della catastrofe, o dal pensiero di aver provveduto, come si poteva meglio, al futuro.
- Vivo, - pensava egli, in quella che uscito dal palazzo Pietrasanta si avviava al basso della città, - non tornavo di alcun giovamento a lei. Morto io, conosciuto l’arcano de’ suoi nascimenti, un nobil parente, se non forse sua madre medesima, oggi vedova, ricca e padrona di sè, avrà cura di lei, tergerà facilmente le lagrime che la perdita di un fratello d’adozione potrà farle versare. Animo, dunque; ciò che importa oggi, è di vederla un’ultima volta, senza balenare; di poter uscire da capo, senza che ella s’insospettisca di nulla. Sicuro; andar tranquillamente a casa, annunziare a Maria che quel giorno egli desinava fuori, star dieci minuti a ragionar di cose da nulla, uscire da capo e buona notte; questo era il disegno, facile a concepirsi, facile a mandarsi ad effetto, tranne i casi imprevisti, od una di quelle cose da nulla, che conducono i casi a farne qualcuna delle loro, come spesso interviene.
Le cose da nulla c’erano, e attendevano in casa sua l’inconscio Salvani.
I nostri lettori non ignorano che il servo Michele era nel segreto della congiura, e rammentano certamente il suo dialogo col Bello nell’osteria della Piccina, nel qual dialogo s’eran fatte allusioni parecchie all’impresa, e alla parte che ci aveva da prendere Lorenzo. Queste cose. Michele non le sapeva soltanto dal Bello, ma dal suo padrone medesimo, il quale non avrebbe onestamente potuto tacerne a quel vecchio commilitone di suo padre, legionario d’America e veterano di Roma. Michele, sebbene in umilissimo stato, era quel che oggi si direbbe un uomo politico; e Lorenzo Salvani, se non era andato tant’oltre da lasciargli intendere che cosa aspettasse per sè dallo scoppio della congiura, aveva pur dovuto chiarire al suo fidato, com’egli ci fosse a capo fitto, per riuscire a raccomandargli di star zitto in casa, ed altresì a persuaderlo che volesse tenersi quella sera in disparte, per custodire la signorina Maria.
A questo non s’era piegato agevolmente il vecchio servitore, Le mani gli pizzicavano anche a lui, e un po’ di governo provvisorio fatto con quelle sue mani, gli sarebbe parso doppiamente gustoso. Ma Lorenzo gli aveva dipinto con tanto vivi colori il pericolo di lasciar sola in casa Maria, e lo sgomento naturalissimo della fanciulla quando ella avesse udito far le schioppettate per le vie, che Michele, il quale amava la signorina quanto il signorino, anzi quanto l’Italia e la repubblica insieme, s’era finalmente rassegnato; e dopo aver promesso di starsene colle mani in tasca, aveva anche giurato di tenersi la lingua tra i denti, per non spaventare innanzi tempo la sua padroncina.
Aveva giurato, diciamo; ma serbava il giuramento a modo suo, sebbene colle migliori intenzioni del mondo, e col più saldo proponimento di non mettere la fanciulla in sospetto. Figuratevi che da parecchi giorni, in casa, mentre accudiva alle sue faccende, non faceva altro che canticchiare le canzoncine spagnuole. Ora, per Maria era segno di guerra, quando Michele cantava spagnuolo, e segno di guerra grossa, imminente, quando erano canzoni di genere gaio e soave. Michele somigliava in ciò a quel gran capitano che soleva dissimulare la gravità dei suoi disegni con qualche facile cantilena mormorata tra’ denti. E più Michele era internamente agitato, più dava nell’arcadico; più era grave il sopraccapo, più gaia la canzone.
Già due o tre volte nei giorni precedenti la giovinetta aveva chiesto a Michele che cosa volessero dire quelle sue insolite riprese di canto spagnuolo.
- Nulla, nulla! - aveva risposto il servitore con aria impacciata. - Canto per distrarmi un tantino, la non ci abbadi! -
E poi, gli uscivano dette, tra una strofa e l’altra, certe frasi di colore oscuro, le quali non aveano nulla a strigare colle canzoni, nè con ciò ch’egli andava facendo. Ed ella ad interrogarlo da capo, ma senza cavarne un costrutto.
- È tempo di finirla! - aveva gridato Michele, proprio la sera innanzi, in quella che stava in cucina a rigovernare il vasellame da tavola, e non s’era addato della presenza della padroncina che passava lì presso.
- Che cosa? - aveva chiesto Maria, fermandosi sull’uscio.
- Nulla, signorina. Parlavo da solo come fanno i matti.
- Non avete detto che è tempo di finirla?
- Ah sì, certo, gli è tempo. Se comandassi io...
- Da bravo, Michele! Sempre colla politica?
- Che vuole, signorina? Il dente batte.... cioè, la lingua duole.... insomma, dico che se comandassi io, la finirei senza tanti discorsi.... Ma già, un giorno o l’altro, l’ha da venire, la resa dei conti; e certi stancapopoli.... Ma basta, acqua in bocca; se no, esco fuori dei gangheri. -
Questi discorsi non erano fatti, come i lettori argomentano, per raffidare Maria; Maria che aveva notato la crescente tristezza di Lorenzo; Maria che lo vedeva taciturno, chiuso in sè stesso, non d’altro sollecito che di sviare il discorso quando ella si faceva a chiedergli la cagione di quel suo umore malinconico; Maria infine che talvolta pregava Michele a volerla aiutare per vincere quella ritrosia di Lorenzo, e non otteneva altro da lui che diplomatici stringimenti di labbra.
Però, argomentate come fosse grande il turbamento della giovinetta, nella mattina del 29 giugno, allorquando Lorenzo fu uscito ed ella passando rasente l’uscio della camera di lui, sentì odore di bruciaticcio, ed entrata prontamente, vide ogni cosa sossopra, minuzzoli di carta ammonticchiati nel cestino, rimasugli di lettere arse in un angolo, le cassette del canterano mezzo aperte e quasi vuote, le poche carte rimaste incolumi accuratamente raccolte e legate, tutti i segni, infine, d’un lungo e paziente riordinamento, che, per la sua novità, non le presagiva nulla di buono.
Il cuore della poverina batteva, batteva forte, come se fosse ad ogni tratto per rompersi. Ella non giungeva a intendere le ragioni di quella lunga e molesta fatica; ma indovinava che una assai grave necessità l’avesse consigliata a Lorenzo.
Credete nei presentimenti? Noi sì, e abbiamo dalla nostra intelletti fortissimi; tanto è vero che al mondo c’è di molte cose oscure tuttavia, e non sempre la nuda ragione è norma ragionevole all’animale che pensa. Ora la povera Maria, alla vista di tutti quegli apprestamenti malinconici, sentì una stretta al cuore, che le diceva esser quel giorno uno dei più gravi, forse il più grave, il più triste, di tutta la sua vita!
Corse difilata da Michele; il quale, come la vide giungere con quel piglio risoluto, fece atto di non aver occhi se non per le sue faccende.
- Non mentite, Michele; - disse ella, guardandolo in faccia e costringendolo a guardarla del pari, - voi sapete qualcosa.
- Io nulla, signorina, proprio nulla.
- Nulla! di che?
- Ma.... di quello che vorrà dir Lei; - ripigliò impacciato Michele.
- Guardatemi bene in viso, se potete! - soggiunse Maria. - Troppo presto vi siete provato a negare. Stamane c’è qualcosa.
- Stamane? Oh no! che vuole Ella ci abbia ad essere stamane? Di mattina fa un bel dormire per molti, e chi dorme non piglia pesci.
- Suvvia, Michele, non istate a celiare sulle parole. Oggi c’è qualcosa di grave, e Lorenzo ci ha mano. Non mi dite di no; io so tutto.
- O come? - esclamò il servitore, spalancando gli occhi le braccia. - Egli le ha detto?...
- Ah! ci siete caduto?
- Come una bestia! - aggiunse mentalmente Michele. - Maledetta lingua! Ma veda, signorina, io non so niente.... cioè.... qualcosa ci ha da essere, ma ragazzate, cose da nulla; il signor Lorenzo c’entra come c’entro io, che non c’entro affatto; gliene hanno parlato, ed egli ne ha parlato con me.... Ma già, poi, non ne faranno niente.... -
E voleva tirare innanzi su questa solfa; ma la signorina era diventata pallida, si sentiva venir meno, e cadeva su d’una scranna, in quella che colla mano tesa gli accennava di smettere quelle sue invenzioni. Qui il povero servitore perde veramente la bussola.
- Si faccia animo, padroncina! Se il signor Lorenzo giunge a risapere che mi son lasciato cavare il segreto di bocca, povero a me! Sono una talpa; anzi peggio; una talpa si sarebbe avveduta di qualche cosa. Animo, padroncina; non mi faccia quegli occhi!... La cosa non è grave come Ella immagina; neanco il diavolo è così brutto come si dipinge....
- Ditemi tutto, Michele! - gridò la fanciulla, afferrando le mani callose del veterano. - Ditemi tutto, se non volete vedermi morire d’angoscia!
- Oh, per l’anima di.... Morir lei! Ecco, le dirò ogni cosa; tanto ho cominciato, e chi ha fatto il male faccia la penitenza.
Così preso l’aire, il buon Michele ci andò proprio di punta, raccontando ogni cosa per filo e per segno a lei che stava ansiosa ad udirlo; come per quella sera medesima tutti i volenterosi avessero giurato di menar le mani, per metter Genova a tumulto, e così riuscir d’aiuto efficace a Livorno, a Napoli e ad altre regioni della penisola, le quali avevano da sollevarsi tutte, per farne una sola e libera famiglia; come una parte dei congiurati dovessero muovere all’assalto dei forti, altri impadronirsi del palazzo Ducale, costringendo le poche soldatesche del presidio ad uscir fuori le mura della città, altri piombar sulla Darsena, e ghermiti i legni da guerra che erano in porto, dar opera sollecita ad una spedizione navale per altre provincie italiane; e il resto in conseguenza. Ma Lorenzo? chiedeva Maria. Lorenzo doveva capitanare un centinaio d’uomini pronti ad ogni sbaraglio, quelli appunto che dovevano tentare il colpo dalla parte del mare, a mala pena i forti principali fossero caduti in mano del popolo; la qual cosa doveva accadere di prima sera, ed essere annunziata da un colpo di cannone dall’alto del forte Sperone, quindi.... -
Quindi il discorso di Michele fu interrotto sul più bello da una scampanellata all’uscio di casa.
- Poveri a noi! - gridò il servitore, balzando al suono improvviso. - Questi è il signor Lorenzo. Se egli sa ch’io non ho tenuta la lingua a segno, sono un uomo spacciato. Padroncina, mi raccomando.... -
La giovinetta lo raffidò con un gesto, e in quella ch’egli andava ad aprir l’uscio, ella si ridusse nella sua camera da lavoro. Giunta colà, si assise al suo deschetto, nel vano della finestra, e tolse tra mani il suo ricamo; ma la poverina, era cosiffattamente fuori di sè, che non potè mettere un punto, e rimase colla mussolina tra le dita, le braccia prosciolte sulle ginocchia, gli occhi sbarrati, immobile come una statua.
Pochi minuti dopo, Lorenzo entrava nella camera della fanciulla, colle labbra composte a sorriso. Maria non si addiede di quel sorriso, tanto era turbata; ma ben s’avvide Lorenzo del turbamento di lei, e il sorriso col quale s’era studiato d’ingannarla, scomparve d’un subito, cedendo il luogo alla consueta mestizia.
- Maria, - diss’egli avvicinandosi, - oggi sono a pranzo fuori.... -
Voleva aggiungere: con l’Assereto; ma non ardì. Al primo vederla, aveva rapidamente, quasi istintivamente, capito che quello non era tempo da mendicar pretesti, sibbene da disporsi a gravi ragionamenti, con schiette ed aperte parole.
- Lo so; - aveva risposto la giovinetta, crollando lievemente il capo e senza alzar gli occhi verso Lorenzo.
- Come?... sapevate....
- So tutto, io.
- Ah! Michele ha parlato....
- No, non accusate il povero Michele. Ho indovinato, la mercè di questo (e accennava il cuore) che non mi ha ingannata mai. Ditemi ora, Lorenzo, quali sono le vostre speranze? che cosa pensate di fare? -
Il giovine, andato a sedersi su d’una scranna di rincontro alla parete, rimase taciturno guardando il pavimento. La fanciulla non udendo risposta alla sua domanda, incalzò:
- Voi non siete uso a mentire, Lorenzo, fratello mio; vi ho udito sempre a dire la verità, anche se dovesse tornarvi a danno. Parlate dunque; sperate di esser utile alla patria vostra, con ciò che tentate?
- No! - rispose asciuttamente, dopo una breve pausa, il giovine Salvani, senza alzar gli occhi da terra.
- No, voi dite? E allora, perchè tentate? - L’interrogazione della fanciulla, ricisa, diritta, sibilò come uno strale all’orecchio di Lorenzo. Tremò egli, ma non rispose parola, disponendosi a sviare il discorso.
- Non parliamo di me! - disse poscia, - parliamo di voi. Stamane, rassettando le mie carte, ho dovuto aprire la cassettina d’ebano, e leggere il segreto de’ vostri natali. Nè avrei dovuto ragionarvene io, sibbene un altro, stasera o dimani; cioè a dire Aloise di Montalto.... vostro cugino.
- Che dite voi mai? - proruppe Maria, lasciando cadere il ricamo che aveva tra le mani sospeso.
- Sì, vostro padre era un Montalto. Vostra madre, povera donna, ha molto patito, o Maria. Ella vive; è libera, ora, e padrona di sè; quando conoscerà la sua figliuola da tanti anni perduta, l’amerà, l’amerà! -
La sospensione che s’era fatta nell’animo di Maria alle prime parole di Lorenzo, cessò tutto ad un tratto. Un altro pensiero, più grave, più urgente, le ingombrava lo spirito.
- E perchè avete aperta la cassettina? - dimandò ella, piantando gli occhi in viso a Lorenzo.
- Perchè.... perchè non potevo lasciarvi, o Maria, senza prima aver provveduto ai casi vostri.
- Ai casi miei! è presto provveduto, - soggiunse ella, con accento di profonda intenzione. - La mia sorte non si dipartirà dalla vostra. Senza voi, senza la casa vostra, che sarebb’egli avvenuto della povera bambina?... Ricordo, - proseguì con tono solenne, - ricordo i primi anni della mia infanzia, e un uomo dai capegli neri, dal viso pallido e severo, che mi teneva sulle sue ginocchia, e mi baciava e piangeva, ed io, aggrappandomi a lui, gli gridavo: «babbo, non piangere!» Vedete, Lorenzo, questo ricordo d’infanzia era il mio segreto, il mio unico segreto, che ho custodito gelosamente dentro di me, senza mai farne parola ad alcuno; un ricordo che spesso mi assaliva, e che, fatta più grandicella, mi stemperava in lagrime, nella solitudine della mia cameretta. Ricordo altresì che fui posta un giorno, non so il come nè il quando, in compagnia d’una vecchia dama, e che io dimandavo del babbo e piangevo. Ella mi rispose che mio padre era in cielo, e m’insegnò a giungere le mani, e a pregare per lui. Io non so molte orazioni; ma questa preghiera non l’ho mai dimenticata. Da quel tempo, ogni mattina, ogni sera, ho giunte le mani ed ho pensato a mio padre, la cui faccia pallida, severa, lagrimosa, mi stava davanti agli occhi. Poi, venne un signore che sulle prime mi parve mio padre, e rammento che corsi ad abbracciargli le ginocchia, chiamandolo babbo. - Sì, bambina, chiamami con questo nome! - mi disse egli con una voce soave, che voi conoscete, o Lorenzo; - d’ora innanzi io sarò veramente tuo padre. - E andai con lui di buon grado, come se lo avessi conosciuto ed amato da un pezzo. Ed egli mi fu padre davvero, e mi diede anche una madre; la vostra; quell’angelica donna, sulla tomba della quale egli è andato a morire, amante disperato; accanto alla quale egli riposa, da due anni, nel camposanto di Montobbio. Perdonatemi, Lorenzo, se io turbo l’anima vostra con queste dolorose ricordanze. Esse sono, come per voi, sacrosante per me; ho vissuta la vostra medesima vita; sono cosa vostra, io, e i vostri son miei. Così ha voluto il cielo; così voglio pur io. Il passato non si distrugge, Lorenzo; esso è la catena che ci lega al futuro. Una nuova famiglia! Una madre che mi amerà!... Ma io l’ho avuta, una madre; ed era Luisa Salvani. La nuova, di cui mi parlate, mi darà essa un fratello? Mi darà essa colui che correva gaio al mio fianco? colui che bambina mi baloccava colle sue arti fanciullesche? colui che più tardi ha patito per me e con me? colui che fu la mia guida, la mia salvezza, la mia vita? Andate, Lorenzo; fate ciò che vi consiglia il cuor vostro; ma non chiedete a Maria di strapparsi il cuore dal petto, e di vivere, quando tutto il passato, tutto il suo dolce passato, dintorno a lei fosse morto! -
E pronunziate queste ultime parole, la povera fanciulla diede in uno scoppio di pianto. Lorenzo Salvani pallido, ansante, non aveva potuto interromperla; non sapeva che risponderle. L’animo suo durava una guerra la quale ai lettori sarà più facile argomentare, che non a noi raccontare.
- Maria! Maria! - gridò egli perduto. - voi mi straziate l’anima con queste parole. Abbiate pietà di me, ve ne supplico. Lorenzo, il vostro povero fratello, non è più buono a nulla su questa terra. Non vedete? Il destino mi perseguita, m’incalza; la mia vita è senza luce di allegrezza presente, senza un barlume di speranza lontana. Ella è buia buia, paurosa, come un sogno d’infermo, trabalzato senza posa di dolore in dolore, di sgomento in sgomento. Siate pietosa, o Maria, a un uomo il quale non ha più coscienza di sè; lasciate che il mio fato si compia!
- Quanto dolore. Dio santo! - proruppe Maria in un impeto di angoscia prepotente, suprema, che le tolse ogni misura, ogni rispetto di sè: - quanto dolore, per una donna che non vi ama! Ma che ho fatto io a quella donna, perchè ella abbia da uccidermi in tal guisa? -
Sussultò Lorenzo a quelle parole, che il soverchio dell’amarezza dettava a Maria; ma egli era tuttavia lontano dallo intenderne il perchè.
- V’ingannate, sorella; - rispose con accento sicuro; - io non amo quella donna che voi dite: non la ricordo nemmeno.
- Giuratelo!
- Per tutto quanto ho di più sacro al mondo; per la memoria venerata dei miei parenti, che voi avete invocata testè, per voi medesima, lo giuro; quella donna mi ha fatto del male, ma da gran tempo io la ho dimenticata, e dimenticati i dolori che mi vennero da lei; ella ora è per me come non fosse vissuta mai.
- E perchè dunque volete morire? Perchè, - soggiunse con piglio deliberato la fanciulla, - io vi ho inteso, Lorenzo. Voi avete dato sesto a tutte le cose vostre, come un uomo che si dispone ad uscire di vita. Perchè dunque volete morire?
- Perchè? Ve l’ho detto. Perchè la vita m’è in uggia, non potendo io quind’innanzi esser utile ad alcuno; perchè v’hanno nella vita gradi di decadenza, sotto i quali non c’è più altro che l’abbiettezza; momenti in cui il soffrire pazienti, il volere aggrapparsi all’esistenza, sarebbe viltà senza pari. Voi siete giovine, bella, soave; voi dovete essere felice, se Dio è giusto con anima nata. Perduto me, non rimarrete già sola; che anzi, rotto il legame di una oscura e turpe miseria, il segreto svelato dei vostri natali vi condurrà ad un’altra e più lieta, quanto più vera famiglia; dove sarà altissimo conforto alla mia tomba se ricorderete con memore affetto i Salvani, e penserete che valevano assai più del loro miserando destino; dove, povera colomba raccolta finalmente sotto l’ala materna, riposerete le membra e lo spirito affaticato dal turbine che vi aveva divelta dal nido. Ora sapete tutto, Maria; lasciate che il vostro fratello di adozione se ne vada con Dio, a cercare egli pure, ma in una mareggiata di sangue, il riposo che non ha avuto e che non potrebbe trovare sulla terra. -
In quella che Lorenzo parlava, il volto della giovinetta si andava facendo cupo sotto l’impressione d’un fiero disegno, come il mare s’infosca sotto il riflesso di un temporale che si addensi nell’aria.
- Andate, Lorenzo; - diss’ella con voce lenta ma risoluta, mentre si alzava dalla scranna, quasi volesse rendere le sue parole più solenni col gesto; - andate a cercar quella morte che vi è tanto cara. Io pregherò per voi, quando uscirete di qui: vi aspetterò fino a domani, e poi, ve lo giuro innanzi a Dio che ci ascolta, vi seguirò nella morte.
- Ma voi.... - soggiunse titubante Lorenzo: - voi avete una madre....
- Che importa, - gridò la fanciulla (e così parlando apparve come trasfigurata agli occhi di lui) - se non avrò più voi sulla terra, voi, Lorenzo, mio sole, mia luce, mia vita?
- Maria!... Maria!... - esclamò il giovine, balzando in piedi a sua volta, e guardandola in viso trasognato, come uomo che non sa se debba aggiustar fede a’ suoi sensi medesimi.
La fanciulla sostenne animosa lo sguardo, quasi volesse dirgli ch’egli si apponeva al vero, e, quantunque il volto fosse tutto una fiamma, proseguì con sublime ardimento:
- Orbene, morite adesso, se vi dà l’animo di farlo, e uccidete me pure. Io v’ho detto ogni cosa. -
Fatta questa confessione, si mosse dignitosa come una regina, per uscir dalla camera.
Lorenzo rimaneva tuttavia al suo posto, incerto, quasi istupidito, a guardarla; ma come la vide già presso l’uscio, mosso da uno di que’ pensieri che, ratti a guisa d’un lampo, illuminano d’un guizzo i più oscuri recessi dell’anima umana, non corse, precipitò a’ suoi piedi, le afferrò la mano e la baciò.
- Vi amo. Maria, vi amo! -
Qual foste allora, o divina fanciulla, e che arcano struggimento fu quello del vostro nobilissimo cuore, quando udì, diciam male, quando bevve la confessione dell’uomo diletto? Come v’hanno parole che tolgono, così ve n’hanno altre che dànno la vita.
Pallida in quel momento quanto s’era fatta rossa dapprima, ansante, tremebonda, chinò gli occhi a guardarlo. Nuovo, insolito, era lo stato dell’animo, com’era insolito e nuovo quello stato di cose tra essi, vissuti fino a quel giorno nella inesplorata tranquillità di un affetto fraterno. La faccia del giovine era rivolta a lei, e lo sguardo fiso, fiammante, le diceva, le ripeteva «vi amo» dimostrandole che un amore profondo, immenso, era balzato fuori, aveva rotta ed invasa quella calma superficie della tenerezza fraterna, in quella medesima guisa che dagli occhi e dalle parole di lei, in un momento di angoscia suprema, erasi sprigionato il suo, con tutto l’impeto di un vergine cuore. E il capo di Maria si chinò allora sul capo di Lorenzo, e le sue labbra attratte da un’arcana virtù, sfiorarono i capegli dell’amato.
- E adesso andrete, Lorenzo, poichè avete promesso....
- Andrò.... andrò.... ma non ho più nessuna voglia di morire. -
FINE DEL PRIMO VOLUME.