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agitato, più dava nell’arcadico; più era grave il sopraccapo, più gaia la canzone.

Già due o tre volte nei giorni precedenti la giovinetta aveva chiesto a Michele che cosa volessero dire quelle sue insolite riprese di canto spagnuolo.

- Nulla, nulla! - aveva risposto il servitore con aria impacciata. - Canto per distrarmi un tantino, la non ci abbadi! -

E poi, gli uscivano dette, tra una strofa e l’altra, certe frasi di colore oscuro, le quali non aveano nulla a strigare colle canzoni, nè con ciò ch’egli andava facendo. Ed ella ad interrogarlo da capo, ma senza cavarne un costrutto.

- È tempo di finirla! - aveva gridato Michele, proprio la sera innanzi, in quella che stava in cucina a rigovernare il vasellame da tavola, e non s’era addato della presenza della padroncina che passava lì presso.

- Che cosa? - aveva chiesto Maria, fermandosi sull’uscio.

- Nulla, signorina. Parlavo da solo come fanno i matti.

- Non avete detto che è tempo di finirla?

- Ah sì, certo, gli è tempo. Se comandassi io...

- Da bravo, Michele! Sempre colla politica?

- Che vuole, signorina? Il dente batte.... cioè, la lingua duole.... insomma, dico che se comandassi io, la finirei senza tanti discorsi.... Ma già, un giorno o l’altro, l’ha da venire, la resa dei conti; e certi stancapopoli.... Ma basta, acqua in bocca; se no, esco fuori dei gangheri. -

Questi discorsi non erano fatti, come i lettori argomentano, per raffidare Maria; Maria che aveva notato la crescente tristezza di Lorenzo; Maria che lo vedeva taciturno, chiuso in sè stesso, non d’altro sollecito che di sviare il discorso quando ella si faceva a chiedergli la cagione di quel suo umore malinconico; Maria infine che talvolta pregava Michele a volerla aiutare per vincere quella ritrosia di Lorenzo, e non otteneva altro da lui che diplomatici stringimenti di labbra.

Però, argomentate come fosse grande il turbamento della giovinetta, nella mattina del 29 giugno, allorquando Lorenzo fu uscito ed ella passando rasente l’uscio della camera di lui, sentì odore di bruciaticcio, ed entrata prontamente, vide ogni cosa sossopra, minuzzoli di carta ammonticchiati nel cestino, rimasugli di lettere arse in un angolo, le cassette del canterano mezzo aperte e quasi vuote, le poche carte rimaste incolumi accuratamente raccolte e legate, tutti i segni, infine, d’un lungo e paziente riordinamento, che, per la sua novità, non le presagiva nulla di buono.