I rossi e i neri/Primo volume/XIX
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XIX.
Nel quale si fa la spiegazione del proverbio "chi cerca trova"
Maria non aveva risposto nulla a quel discorso di Lorenzo, rimanendo un tratto impensierita, con le mani in mano, in quella che Lorenzo s’era messo a passeggiare su e giù per la camera, a passi concitati, come era sua consuetudine quando i tristi pensieri gli giravano per la fantasia.
Era quella la prima volta che Lorenzo parlava a Maria di un’altra donna, e le dava in qualche modo contezza di ciò che egli faceva fuori di casa.
Chi era la signora del palchetto, accanto alla quale stava seduto Lorenzo? Che dimestichezza era quella, di cui Lorenzo non le aveva mai fatto parola? E perchè, poi, ricordando quella signora, egli metteva fuori tanta amarezza di accento? Questi erano i pensieri della giovinetta, e il cipiglio di Lorenzo non era certamente fatto per discacciarli.
Che cosa, infine, doveva importarne a lei? Essa non lo sapeva, non si fermava a indagarne le ragioni; ma intanto il racconto del giovane l’aveva ferita nel cuore, destandovi arcani dolori non mai sentiti dapprima. Ahimè! proprio dal dolore ci accorgiamo di vivere.
Lorenzo non s’era addato di nulla; passeggiando su e giù per la camera, egli andava in quella vece dicendo a sè stesso:
- Buona fanciulla! Ella s’illude sempre di liete fantasie! E perchè dovrei io beffarmi delle sue illusioni? Forse non ne ho avute io pure di grandissime, l’ambizione, l’amore?... Oh, chi mi terrà conto di quello che soffro, di quello che rispingo a fatica e seppellisco nel profondo del cuore? Ella non si strugge de’ miei desiderii smodati e fatali; ella non ama nessuno. Beata lei! L’amore è la suprema dannazione degli sciagurati. Non basta a questa vilissima creta aver fame, pugnare con tutte le necessità quotidiane della vita; bisogna pure che essa ami! L’amore! Che cos’è l’amore? La poesia dei sensi! Arnese di gala! Ma s’ha a farla finita; s’ha a mettervi rimedio, perdio!...
- Lorenzo! - disse finalmente Maria, con piglio amorevole; - che fate voi ora? Non vi perdete di animo in questo modo! Il vostro dramma sarà applaudito....
- Applaudito! Sì, sta bene; - rispose Lorenzo, ricondotto al suo primo pensiero; - ma oro ci vuole! Qui, dinanzi al mio tavolino, avevo bisogno di fede e di speranza, perchè si trasfondessero nell’opera mia e vi soffiassero dentro l’alito della vita. Ora il mio manoscritto è finito e suggellato, e mi occorre ben altro. Ma perchè sto io qui a rattristarvi colle mie malinconie? Me ne andrò, perdonatemi, buona sorella!...
- Sì, andate, Lorenzo. Un po’ d’aria vi leverà dal capo tanti brutti pensieri. Andate a salutare l’Assereto; ieri è venuto a cercarvi, e si lagna di non avervi più veduto da tre giorni.
- È vero; sono proprio un orso, come voi mi chiamate qualche volta. Andrò a cercarlo a’ Banchi. Povero amico! Anch’egli ci ha le sue, di molestie, e trova sempre il buon umore per consolare i compagni. -
Poco stante, Lorenzo usci, e dopo Lorenzo uscì Michele, per andare col manoscritto al banco delle Messaggerie. Nè l’uno, nè l’altro, scendendo le scale, badarono all’uscio del secondo piano, che era socchiuso, e a due occhi che li avevano spiati da quella breve apertura. Erano gli occhi scerpellini del nostro Don Giovanni da dozzina, del biondo Arturo Ceretti, il quale stava aspettando la partenza del Salvani, per correr su dalla bella Maria.
Quel giorno poi gli cascava addirittura il cacio sui maccheroni. Lorenzo usciva, e gli teneva dietro il servitore. La fanciulla era dunque sola, solissima, e il nostro Arturo poteva spiattellarle l’animo suo.
Corse allo specchio; si ravviò i capegli, si affilettò i baffi, si acconciò per bene le pieghe della cravatta, e, sicuro del fatto suo, infilò speditamente le quattro scale che c’erano tra i suoi penati ed il quartierino dell’ultimo piano. Giunto lassù, tirò discretamente la corda del campanello. La fanciulla venne ad aprir l’uscio, e vedendo il padrone della casa, fece un gesto d’ingrata meraviglia, che a lui non doveva riuscir nuovo, poichè non ebbe aria di addarsene.
- Signora Maria! - balbettò egli. - Domando mille perdoni....
- Entri, signore; - disse Maria; e richiuso l’uscio, precedette il Ceretti verso il salottino.
- No, no; - soggiunse il biondo Arturo, - andiamo pure nella sua camera da lavoro; non s’incomodi per cagion mia. -
Maria non tenne l’invito, ed entrò risoluta nel salottino, dove, come al solito, gli additò il canapè, ponendosi ella a sedere su d’una scranna lì presso. Ciò fatto, la giovinetta incominciò arditamente il discorso:
- Ella è venuta per la pigione?...
- Sì.... no.... - rispose il Ceretti, perdendo la tramontana. - Sono venuto anzitutto per riverirla. A dir vero, il signor Salvani si dimentica un poco di noi, e mio padre da un pezzo aveva ordinato al nostro procuratore di far le pratiche pel pignoramento. Oh, ma non dubiti, io mi sono opposto, e fino a tanto ch’io non tolga il divieto non si farà nulla di nulla.
- Grazie, signor Ceretti, della cortesia che ci usa! - disse Maria, stendendogli la mano. - Ella ha un cuore ben fatto.
- Oh, le pare? Farei ben altro per ottenere la sua benevolenza. Se ardissi dirle....
- Che cosa?
- Che Ella è molto bella, signora Maria, troppo bella, e mi fa dar volta al cervello. -
Come avrebbe dovuto diportarsi la fanciulla a quelle parole? Il piangere, il venir meno, e tutti gli altri accorgimenti della donna impacciata, non erano nelle consuetudini di quella nobilissima giovinetta. Colta così alla sprovveduta, amò meglio simulare una grande serenità di mente: epperò fu pronta a rispondergli, tra adirata e gioconda:
- Eh via, signor Ceretti! Ella vuole pigliarsi spasso de’ fatti miei. Per carità, non si faccia beffe di me! Io le son grata della cortesia che Ella pone ad aspettarci ancora un tratto per la pigione. Che vuole di più? Non guasti il benefizio con le sue celie.
- Non parlo per celia; - gridò il biondo Arturo, senza voler capire che l’accorta giovinetta gli aveva con quelle generose parole offerta un’uscita onorevole; - non ischerzo, in fede mia! Son cotto fradicio di Lei, e per andarle a genio, son pronto ad ogni sacrifizio.
- Non avrà a farne di molti; - interruppe Maria con accento turbato. - Io parlerò oggi al signor Lorenzo, perchè non tardi più oltre a pagare il suo debito.
- Sì, gliene parli pure a quel mobile! O dove l’ha a prendere il denaro, quello spiantato?
- Signor Ceretti!... - esclamò Maria.
- Oh, mi lasci proseguire, poichè ho cominciato. Il bel signorino le fa patire carestia d’ogni cosa. Io so che Ella lavora dì e notte per sostentare la famiglia, e il suo servitore va a vendere i suoi bei ricami qua e là. Le pare strano che io sappia questi segreti? Le voglio un gran bene; perciò ho tenuto dietro al servitore. Probabilmente gli altri non se ne daranno un pensiero al mondo, di queste cose; intenti come sono a fare da cavalier servente e da paladino alle signore d’alto affare. -
Il colpo di messer Arturo andava diritto; senonchè. Maria era d’indole altiera e non voleva lasciar trapelare d’esser toccata sul vivo.
- Orbene? - soggiunse ella, increspando le sopracciglia. - Che male c’è? Il signor Lorenzo fa quello che gli aggrada. Poichè Ella sa che non è mio fratello, consenta che io le aggiunga che egli è libero de’ fatti suoi.
- Sì, sì! - incalzò il Don Giovanni, - ma intanto lascia lei nelle angustie. L’altro giorno, probabilmente perchè Ella non aveva ricami da mandare a vendere, in casa non s’è mangiato altro che pane. Oh, io so tutto; sto attento a tutto; dò un colpo al cerchio e l’altro alla botte. E infatti so che, mentre Ella si affinava la vista sul telaio, mettendo punti su punti, e lagrime su lagrime, egli era là dalle parti dell’Acquasola, con una bella signora bionda.... bella, cioè, intendiamoci! La dicono bella, e non è. Certo io non mi muoverei di qui per andarla a cercare, anche sapendo che dovesse cascarmi poi nelle braccia. -
Arrossì la povera Maria al vedere come quell’uomo sapesse ogni cosa, e rimase a capo chino, pensando a quella dama di cui udiva accennare già due volte nello spazio di un’ora. Certo la signora di cui parlava Arturo Ceretti era quella medesima ricordata pur dianzi nel suo discorso da Lorenzo. Il cuore di rado s’inganna ne’ suoi presentimenti. E Maria, stando seduta, col capo chino, in gran tumulto di pensieri, non si avvide neppure che il Don Giovanni le afferrava la mano, recandosela alle labbra con molta dimestichezza. E come non si avvide della mano, non udì nemmeno il cominciamento del nuovo discorso che le faceva il Ceretti.
- Veda, signora Maria. I suoi begli occhi non sono fatti per piangere, nè per guastarsi sul telaio. Non rovini la sua gioventù per un uomo come quello, che la nutre di malinconia, e che fra pochi giorni, solo che io voglia, sarà senza tetto e senza letto. Io non lo odio se non per il male che egli le fa; del resto son pronto anche a condonargli il fitto di casa. Faccia a modo mio; lo mandi a quel paese! Io sono giovane come lui, e non fo per dire, ma ci ho le mie quattrocento mila lire al sole, e v’ha chi afferma, non senza ragione, che ce ne siano altrettante all’ombra, nei forzieri di mio padre, di cui sono io l’unico erede. Che cosa ne dice?
- Di che cosa? - domandò la fanciulla, rientrando in sè medesima.
- Della mia proposta. Non le pare uno zucchero, al paragone della vita che fa con quel figuro? Andremo a viaggiare; ci daremo bel tempo....
- Signor Ceretti! - esclamò Maria, strappando la mano dalle strette del Don Giovanni e balzando in piedi con aria di sdegno. - Io non la intendo.... -
E gli stette dinanzi, guardandolo, smorta nel viso, ma con gli occhi che mandavano lampi.
Il biondo Arturo rimase un tratto dubbioso, ma non sbigottito da quel piglio. Quella era una donna, finalmente, e nessun altri era in casa.
- Dunque non accetta? - chiese egli sogghignando. - vuol farmi la schizzinosa, signora Maria!
- Esca di qui! - gridò la fanciulla. - E benedica la sua fortuna di aver trovato qui solamente una donna.
- Sì, sì! - rispose l’altro, sempre con la stessa aria, ma con la schiuma alle labbra. - E nemmeno una santa innocentina, in fede mia....
Disse proprio: in fede mia? Non metterei pegno che egli pronunciasse la frase intiera; perchè mentre parlava ed era per avvicinarsi a lei, si sentì una mano ferrea pesar sulle spalle, un’altra agguantarlo alla nuca, senza alcuna misericordia pei solini insaldati che gli adornavano il collo.
Il giovine Ceretti, colto in quel modo alla tagliuola, si diede, come gli consentiva la stretta dell’ignoto, a gridare:
- Tradimento! tradimento! -
E mentre gridava, si faceva pavonazzo nel volto: gli occhi pareano volergli schizzare dalle orbite sanguigne, e le braccia gli si dimenavano pazzamente in aria come quelle di un antico telegrafo.
- Lasciatemi andare! - disse allora con voce più supplichevole. - Lasciatemi andare! -
Ma quella mano stringeva sempre, e gli dava per giunta certi scrolli a dritta e a mancina, che gli facevano scricchiolare tutte le giunture. Ci fu un momento in cui il mal capitato Don Giovanni non vide più altro che bagliori rossastri, e pensò che la fosse finita per lui. Infatti era ad un pelo di morir soffocato, allorquando intese la voce di Maria che gridava:
- Lasciatelo stare! Non vedete com’è diventato?... - La preghiera di Maria fu esaudita, ma soltanto a mezzo.
Il biondo Arturo sentì allentarsi un tratto quelle morse di ferro, e gli parve di tornare da morte a vita. Ma ad un tentativo che egli fece per disvincolarsi del tutto, si accorse che il padrone del suo collo non era punto disposto a lasciarlo andare. Infatti, come a confermazione della stretta, il prigioniero udì queste parole:
- No, padroncina! Non le sappia male se la disobbedisco. Questo pendaglio da forca si ha da buttar ginocchioni a’ suoi piedi per dimandarle scusa dell’ingiuria che ha fatto alla più virtuosa delle donne. In ginocchio in ginocchio!
- No! - rispose furibondo il Ceretti, che aveva riconosciuta la voce di Michele. - Voi mi avete còlto a tradimento, è una vigliaccheria!...
- Ah! così tu parli? - gridò Michele, dandogli superbamente del tu. - Va! Eccoti libero! -
E con una spinta gagliarda lo sbalestrò contro la parete. Poi, incrociando le braccia sul petto, ripetè:
- In ginocchio, mascalzone! In ginocchio!
- Io? - gridò il Ceretti, a cui la recuperata libertà e la rabbia profonda facevano credere che avrebbe potuto lottare con quell’uomo. - Io inginocchiarmi?...
E inarcando le spalle come una tigre, si scagliò contro il suo avversario.
Ma Michele sapeva il fatto suo. Un veterano di America, marinaio e soldato, non aveva a lasciarsi sopraffare da quel bellimbusto del Ceretti. Innanzi che questi si fosse avventato, una improvvisa e maestra pedata lo colse a mezzo lo stomaco; di guisa che, dopo aver barcollato un tratto, andò a ruzzolare da capo sul pavimento.
Michele era sempre ritto al suo posto, con le braccia incrociate sul petto, come Napoleone il grande.
Il Ceretti quella volta non tornò all’assalto. Aveva avuto il suo resto; tutto indolenzito e pesto com’era, non aveva più forza di muoversi.
- Michele! - disse allora la fanciulla con aria di rimprovero al domestico, - avete fatto assai male.
- Male, io, padroncina? La non m’entra. Ho dunque a sentirle dire delle impertinenze e star cheto? Delle impertinenze alla signorina Maria! Ah cane! ah briccone! ah villano rifatto!... -
E giù una dozzina di questi epiteti. Come ebbe snocciolato la sua coroncina, proseguì, volgendo il discorso a Maria:
- Quando si dice il destino! Tornavo di là, dove mi ha mandato il signor Lorenzo, ed ecco m’imbatto in un vecchio compagnone, il quale m’invita ad andare insieme con lui per centellarne un bicchierino di quello che pizzica. Il diascolo mi tentava; ma mi ricordo che per non recarle molestia avevo preso la chiave di casa, e che Ella avrebbe potuto accorgersi che la non c’era più nella toppa. Dico di no, e corro difilato a casa. Entro appena in sala, odo parlare nel salottino, e mi pare di riconoscere la voce di questo signore. Non per ispiare, veh! ma perchè, tant’è, non l’ho mai avuto in buon concetto, mi avvicino all’uscio, e per l’anima di.... non lo sento a dirle villania?... In ginocchio, triste furfante! Insultare una santa!...
- Michele!
- Sì, mi lasci dire, padroncina; una santa! E costui ha l’ardimento di dire.... di credere.... che.... Insomma, o ch’io non mi chiamo più per nome Michele, o ch’io l’ho a fare a pezzetti, come uno spezzatino di vitello! -
Ed era per far venire i fatti dopo le parole, quando Maria s’intromesse, e accennando con la mano al fiero Michele che stesse cheto, disse con accento deliberato al Ceretti:
- Se ne vada di qua!
- Sì, me ne vado; - rispose il biondo Arturo, mentre cercava di racconciarsi alla meglio le vestimenta sgualcite, - me ne vado.... Ma costerà salata! Se quest’oggi non entra in casa la pigione, andranno presto a dormire su d’una strada. Ah, signori miei, sanno il proverbio: chi cerca trova.
- Sicuro; - disse di rimando Michele. - Chi cerca trova.... e qualche volta anche quello che non aveva cercato! Intanto La cerchi il suo cappello, che è rotolato sotto la sedia. -
Il Don Giovanni, turbato com’era, si chinò a raccattare il cappello, e col capo basso, i pugni chiusi, e i denti stretti, passò in mezzo a quei due. Se gli antichi Romani non fossero gente da rispettarsi, anche nella sconfitta, diremmo che egli pareva un Romano il quale passasse sotto le forche Caudine.
Appena fu giunto all’uscio, si volse e con un gesto di minaccia ripetè:
- Vi costerà salata!
- Sì, sì! Aspetta a me! - gridò Michele, in atto di scagliarsi sul fuggente. Ma la fanciulla lo trattenne da capo.
- Michele, per amor mio, fermatevi! Ora bisognerà fare avvisato d’ogni cosa Lorenzo.
- No, padroncina! Ci pensi due volte, innanzi di farlo. Egli è così latino delle mani....
- E voi! - interruppe Maria.
- Io? Gli è un altro paio di maniche. Io posso dar liberamente due golini a quel figuro, senza che alcuno ci trovi a ridire. Il signor Lorenzo non potrebbe cavarsene il ruzzo, senza aver pagato prima la pigione. La gente potrebbe dire che egli mena le mani per pagare i debiti. Io me ne intendo un poco, delle leggi della cavallerizza! -
Michele voleva dire cavalleria; ma è già noto ai nostri lettori che Michele, in materia di lingua, pigliava spesso dei granchi.
- Sta bene, - disse sorridendo la fanciulla, - ma appunto per questo negozio della pigione bisognerà parlargliene.
- No, no, padroncina! Lasci fare a me!
- E che cosa potreste far voi, mio povero Michele?
- Io? La non mi conosce ancora. Ci ho un disegno in capo, e chi sa che non n’abbia a venir fuori un costrutto! Ella mi prometta di non dir nulla fino a domattina....
- Ve lo prometto, e il cielo vi assista!