I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Perduti fra i ghiacci del Polo

Perduti fra i ghiacci del Polo

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Il deserto di ghiaccio Lo schiavo

PERDUTI FRA I GHIACCI DEL POLO


Quella sera la piccola capanna di Maskoe, situata sulle spiagge settentrionali della gelida Lapponia, all'entrata d'uno stretto e profondo canale fiancheggiato da muraglie granitiche, rigurgitava di persone.

La piccola colonia norvegiana, stabilita in quel luogo remoto, perduto quasi ai confini del mondo abitabile, si era tutta riversata nella capanna.

Vecchi pescatori, giovani marinai, cacciatori di lupi e di orsi, parevano tutti commossi, come se un grande avvenimento fosse accaduto.

Non erano che una quindicina fra tutti, perché quella colonia non ne contava di più, eppure, contrariamente alle loro abitudini, piuttosto selvatiche, facevano un chiasso insolito.

Quale era il motivo che aveva spinto quegli uomini verso la capannuccia di Maskoe? Una irresistibile curiosità, perdonabile del resto negli uomini di mare, abituati ad affrontare le pericolose avventure che offre così sovente l'Oceano Artico.

Il vecchio pescatore, tornando dal largo colla sua barca, aveva trovato, galleggiante fra le onde, una botticella avvolta in una grossa tela cerata, ancora incrostata di ghiaccio e che pareva avesse subìto una lunga navigazione.

Quella notizia, subito propagatasi, aveva deciso i coloni a riversarsi nella capanna.

Una botticella raccolta in pieno mare, che presumibilmente veniva dall'Oceano Artico, doveva contenere qualche cosa di grave. Forse annunciava qualche disastro, qualche orribile dramma di mare.

Il vecchio pescatore, aveva deposto sulla sua rozza tavola il barile ma pareva che non si decidesse ancora ad aprirlo.

Più che un barile, era una di quelle botticelle usate dai cacciatori di foche e di morse per chiudervi il sale destinato alla conservazione delle pelli. Non doveva essere stata lanciata da molto tempo, essendo priva d'incrostazioni marine; di certo però veniva da lontano a giudicare dalle profonde incisioni che si vedevano sulle doghe, prodotte indubbiamente dai ghiacci polari.

– Ebbene Maskoe – disse un giovane e robusto garzone, marinaio a bordo d'una baleniera. – Non ti decidi ad aprirlo? Si direbbe che tu hai paura.

– Sì – disse il vecchio. – Io ho realmente paura.

– Non vi sarà già dentro un mostro marino.

– No, ma conterrà di certo una sciagura – rispose il pescatore.

– Vediamo vecchio Maskoe – disse un cacciatore di foche. – Suppongo che non l'avrai pescato per tenerlo eternamente sul tuo tavolo.

– Hai ragione, Makoff – disse il vecchio. – Bisogna aprirlo!

Con un colpo d'ascia il barile fu spaccato per metà.

Tutti si erano curvati ansiosamente per vedere ciò che conteneva. Un tubo di metallo, non ancora ossidato, era caduto sulla tavola con un tintinnìo sonoro.

– Un documento! – avevano esclamato tutti. – Vecchio Maskoe, non indugiare ad aprirlo.

Il pescatore invece di obbedire al consiglio degli amici, era rimasto immobile, pallido, trasfigurato, cogli sguardi dilatati e fissi su alcune lettere che si vedevano incise sul coperchio della scatoletta.

– Amico Maskoe! – esclamò un marinaio il quale si era accorto dell'improvvisa emozione del vecchio. – Cos'hai?

Un grido strozzato era finalmente uscito dalla gola del vecchio:

– La Danae! La Danae!

Poi come se le forze gli fossero venute improvvisamente meno, era caduto fra le braccia d'un cacciatore che gli stava dietro.

Tutti, in preda ad una viva emozione, si erano stretti attorno al vecchio.

La Danae! Cosa voleva significare quel nome? Era impazzito il povero vecchio?

– Amico Maskoe – disse un marinaio, offrendogli una fiaschetta ripiena di ginepro. – Bevi un sorso e spiegaci il motivo di tanta emozione.

Il vecchio con una mano aveva allontanata la fiaschetta, poi senza aiuto si era raddrizzato, esclamando:

– Aprite! Aprite la scatola! La Danae! Mio povero figlio! Sciagura! Sciagura!

Il marinaio che gli aveva offerto da bere, si era impadronito vivamente della scatola e con uno strappo violento l'aveva aperta, facendo cadere sulla tavola un pezzo di carta un po' ingiallita per l'umidità.

Tutti si erano curvati su quel documento, mentre il vecchio ripeteva con voce angosciosa:

– Leggete! Leggete! Mio figlio!

Una mano aveva vergate alcune righe su quel pezzo di carta, con quella scrittura grossolana che è speciale agli uomini di mare più abituati a stringere le gomene che le penne.

Fra un profondo silenzio, il marinaio aveva letto, spiccando nettamente le parole onde tutti potessero udirle distintamente:


«24 Febbraio 1889 – La Danae, naufragata all'isola degli Orsi – Siamo tutti salvi, ma corriamo il pericolo di morire di fame e di freddo. I ghiacci ci stringono da tutte le parti.

Capitano Frenk».


Il vecchio Maskoe aveva mandato un grido di gioia:

– Salvo! Mio figlio salvo! Dio sia ringraziato!

– Maskoe – disse il marinaio. – Tu avevi un figlio?

– Sì, Harry.

– Imbarcato su questa nave che si chiama la Danae?

– Sì, una nave destinata alla caccia delle foche e che da sette mesi non è più ritornata.

– Dove si era recata?

– Presso i banchi di ghiaccio dell'isola degli Orsi.

– Strana combinazione! – esclamò un cacciatore. – Doveva essere il padre a trovare il barile affidato alle onde dai naufraghi.

– Amici – disse il vecchio pescatore, che s'era rimesso dalla sua commozione. – Quei disgraziati minacciano di morire di fame e di freddo; chi andrà a salvarli? Io metto a vostra disposizione la mia barca e la mia esperienza.

– La stagione è molto inoltrata, Maskoe – disse un cacciatore. – L'Oceano Artico è ingombro di ghiacci e la tua barca è piccola. Rivolgiti al governo onde mandi una nave.

– Ed intanto i naufraghi della Danae avranno tutto il tempo necessario per morire di fame o di freddo – disse un giovane marinaio. – Maskoe, io sono pronto a seguirti pur di salvare tuo figlio.

– Anch'io – disse un robusto pescatore, alto quanto un finlandese.

– E anche noi – aggiunsero due vecchi balenieri.

– Cinque uomini bastano per la mia barca – disse Maskoe. – Grazie amici, noi salveremo i naufraghi della Danae o morremo nell'impresa.

– Urrah pei coraggiosi! – gridarono tutti.

Mezz'ora dopo i cinque marinai lasciavano la capanna e si dirigevano verso l'estremità del canale, dove si trovava ancora la barca del povero padre.

La notte era buia e al largo si udivano a muggire le onde, rompentesi sulle spiagge rocciose della Lapponia.

Maskoe prima di salire sulla sua barca per intraprendere quell'ardita spedizione che poteva riuscire fatale a tutti, si era voltato verso i quattro animosi che si erano offerti di accompagnarlo.

– Prima di partire, pensateci su, amici. Forse mai fu organizzata una spedizione così pericolosa?

– Siamo decisi – risposero i quattro marinai. – Partiamo!

Due ore dopo la barca, che era stata nel frattempo largamente approvvigionata dalla piccola colonia, lasciava il fiord fra i saluti e gli auguri dei pescatori e dei cacciatori.

L'impresa a cui s'accingevano quei cinque animosi, era quanto mai arrischiata.

Da qualche mese i grandi banchi di ghiaccio dell'Oceano Artico avevano cominciato a scendere, costringendo anche le grosse navi da pescatori di balene, a rifugiarsi nei golfi della Norvegia e della Russia.

Voler affrontare le terribili tempeste invernali, le montagne di ghiaccio, i nebbioni ed i freddi intensi con una semplice barca da pesca, priva d'ogni comodità, poteva considerarsi come una pazzia e forse peggio, tuttavia i quattro marinai avevano compassione del dolore immenso del povero vecchio, e non volevano ormai ritirare la loro generosa proposta.

– Faremo quel che potremo, – avevano detto, – e non abbandoneremo il vecchio Maskoe.

Altri marinai avrebbero fatto altrettanto.

E quei valorosi senz'altro avevano sciolto le vele per correre audacemente incontro l'ignoto e salvare quei poveri naufraghi.

La barca del pescatore era un piccolo legno a due alberi, non nuovo alle corse attraverso l'Oceano Polare.

Maskoe l'aveva già condotto altre volte fino nel mar Bianco e anche sulle rive della Nuova Zembla a pescare i delfini gladiatori e le morse e non aveva mai avuto a lamentarsi delle eccellenti qualità nautiche della barca.

Eccoli adunque partiti per la lontana isola degli Orsi, una terra perduta in mezzo all'Oceano Artico, battuta solamente dai venti e dalle bufere e popolata dagli orsi bianchi e dalle foche.

Il vecchio Maskoe, uscito dal canale, aveva messa risolutamente la prora verso il nord-ovest.

Il vento era favorevole, quantunque il mare fosse molto agitato e fosse calata una nebbia foltissima.

I quattro marinai, ben coperti dai pesanti gabbani di pelle di foca ed i lunghi stivali da mare foderati di pelle di lupo, manovravano le vele, per doppiare il capo Nord, ormai già non molto lontano.

Il freddo era già intenso, trovandosi in una latitudine molto elevata ed a non molta distanza dai campi di ghiaccio, però quei bravi norvegiani non erano uomini da inquietarsi.

Tutti avevano provato i rigori dell'Oceano Artico chi in qualità di pescatori, chi di cacciatori; e di ghiacci ne avevano veduti tanti e del freddo ne avevano provato allo Spitzberg, a Jan Mayen e perfino alla Terra di Francesco Giuseppe.

Tre giorni dopo la barca di Maskoe lasciava le ultime terre della Norvegia, e si slanciava intrepidamente sulle onde gelide dell'Artico.

Fu forse quello il momento in cui i compagni del pescatore provarono un vago sintomo di terrore.

Sfidare l'immensità con quella piccola barca, affrontare i campi di ghiaccio in così pochi e tuffarsi nei nebbioni orribili, erano cose da spaventare anche i più intrepidi.

– Andiamo incontro ad una morte certa – aveva detto il vecchio Norod, il più esperimentato dopo Maskoe.

– Mettiamoci nelle mani di Dio – avevano risposto i suoi compagni. – Terrà conto della buona azione che ci ha spinti su questo oceano.

La barca s'inoltra sulle onde dell'Artico. Non più terre in vista, non più navi che solchino l'orizzonte. Solamente pochi uccelli, dei gabbiani e delle procellarie, volano per lo spazio.

Ed ecco i primi ghiacci che si avanzano. Sono montagne enormi, di forme strane, che ora rassomigliano a castelli diroccati, tutti irti di punte, di torri rovesciate, di mura che sembrano merlate, o con certe cupole mezze rovinate o con piramidi aguzze.

Sono gli ice-bergs.

S'avanzano spinti dal vento che soffia dal polo e portati dalla corrente. Salgono lentamente le onde capeggiando, s'abbassano negli avvallamenti e si urtano con un fracasso assordante.

Di quando in quando qualche montagna perde l'equilibrio e cade sollevando delle ondate immense e degli spruzzi giganteschi.

Migliaia di uccelli volano attorno a quei colossi scintillanti sotto i raggi del sole e mandano strida di spavento quando qualcuno si rovescia.

Il vecchio Maskoe li guarda senza paura ed incoraggia i compagni, un po' scosso anche lui dall'apparizione di quei giganti che sono il terrore dei balenieri.

– La mia barca passerà fra di loro – grida. – Coraggio, amici! Fra pochi giorni noi vedremo l'isola degli Orsi e salveremo i naufraghi.

La barca veleggia audacemente fra quelle terribili montagne che possono, con un solo urto, sfracellarla.

Scivola destramente fra ice-bergs e banchi, si caccia nei canali, sfugge alle strette, balza e rimbalza sulle onde sollevate dalla caduta di quelle masse enormi e finalmente guadagna il mar libero.

La prima flotta polare è passata, ma quante ne incontreranno ancora prima di giungere alla loro meta?

L'indomani una nebbia foltissima cala sull'oceano tutto avvolgendo. L'oscurità diventa tale che gli uomini di poppa non riescono a vedere quelli che si trovano a prora.

Il vento del nord, sibila furiosamente fra l'alberatura trascinando seco larghi fiocchi di neve, ma la barca guidata da Maskoe continua la sua corsa verso la sua meta, tutto sfidando.

In mezzo alla nebbia si odono i ghiacci ad urtarsi con cupi rimbombi. Da quale parte vengono? Dove vanno? Sono lontani o sono così vicini da minacciare i valorosi norvegiani che affrontano la morte per salvare i loro amici? Anche il vecchio Maskoe è inquieto e sente per istinto che un grave pericolo può minacciare la sua barca.

– Maskoe, – grida il vecchio Norod – dove andiamo noi?

– Sempre al nord – rispose il pescatore.

– Abbiamo dei ghiacci dinanzi a noi. La nostra barca può venire stritolata da un momento all'altro.

– Confidiamo in Dio, Norod!

Per tre giorni, lunghi come tre secoli, la barca continua ad avanzare in mezzo a quel nebbione che non accenna ad innalzarsi.

Il freddo aumenta sempre e attraverso la caligine la neve cade con maggior furia. Tutto il ponte del piccolo veliero è coperto e le vele e le funi sono incrostate di ghiaccio.

La paura ormai si è impadronita di tutti. Anche il vecchio Maskoe è inquieto e gli pare di vedere la morte comparire dinanzi alla barca colla sua falce inesorabile.

Al quinto giorno il vecchio Norod ode, a breve distanza, dei lunghi muggiti.

Cosa sono? Forse che le onde si rompono contro una costa o che nuovi ghiacci stanno per circondare la barca?

– Maskoe! – grida. – E dove siamo noi?

– All'isola degli Orsi – rispose il pescatore.

– Non t'inganni tu?

– Il cuore mi dice che mio figlio è vicino.

In quel momento al largo scoppia un colpo di fucile.

Maskoe aveva mandato un grido:

– I naufraghi!

Tutti i suoi compagni si erano precipitati a prora, ma la nebbia era ancora densissima ed impediva di vedere qualsiasi cosa.

Eppure quel colpo di fucile, sparato sull'Oceano Artico, ad una così immensa distanza dalle coste dell'Europa, non poteva provenire che da marinai.

– Rispondiamo? – gridò Maskoe, il quale pareva che impazzisse per la gioia.

I quattro suoi compagni si erano armati di fucili ed avevano fatta una scarica. In lontananza si era subito udito un altro sparo seguìto da alcune grida fioche.

– La terra è dinanzi a noi – disse Norod. – Maskoe, bada di non urtare contro le scogliere.

La barca doveva trovarsi infatti vicina all'isola degli Orsi. La nebbia impediva di scorgerla, però si udivano distintamente le onde a rompersi impetuosamente contro delle scogliere.

L'istinto del pescatore l'aveva guidato verso la terra dei naufraghi nonostante la nebbia che da cinque giorni copriva l'oceano.

Tutta la notte, il vecchio pescatore tenne la sua barca lontana dall'isola quantunque ardesse dal desiderio di approdarvi, essendo ormai certo che i naufraghi fossero ancora vivi.

All'alba un vigoroso colpo di vento, avendo disperso quel nebbione, la terra appariva agli sguardi degli arditi naviganti.

Era proprio quella degli Orsi, una terra perduta sull'immenso Oceano Artico, solo frequentata dai balenieri durante la stagione estiva e dai pescatori di foche e di morse.

Un alto strato di neve la copriva e vasti banchi e montagne di ghiaccio circondavano le sue coste.

– Approdiamo! – avevano gridato tutti. – I naufraghi sono là.

Una specie di baia s'apriva verso le spiagge meridionali, non del tutto ingombre dai ghiacci.

La barca fu spinta in quel rifugio, solidamente ancorata, poi il vecchio pescatore ed i suoi compagni sbarcarono, salendo le rupi gelate.

Che terra di desolazione! Non una capanna, non una pianta, nemmeno dei miseri licheni; non si vedevano che neve e ghiaccio e qualche uccello marino.

– Cerchiamo i naufraghi – disse Maskoe, con voce angosciata. – Forse mio figlio è ancora vivo.

Stavano scendendo un masso di ghiaccio di mole enorme, quando al pescatore parve di udire una voce umana a gridare:

– Aiuto!

– Avete udito? – chiese, volgendosi verso i compagni.

– Sì – disse Norod. – Vi è qualcuno dietro quei cumuli di neve.

La voce, lamentevole e fioca si era fatta udire ancora.

– Aiuto!

I cinque uomini si erano slanciati innanzi a tutta corsa. Sulla cima d'una montagnola di neve era apparso un essere umano coperto di pelli sdrucite e armato d'un fucile.

S'avanzava a stento, traballando come un ebbro o come uno vinto da un'estrema stanchezza.

Di quando in quando alzava le braccia e faceva dei segni ai cinque pescatori come se volesse invitarli ad affrettare la loro corsa.

Il vecchio Maskoe, quantunque fosse il più avanti negli anni, precedeva i compagni. Correva salendo agilmente i blocchi di ghiaccio ed i monticelli di neve, attirato da una forza irresistibile.

Già non distava dal naufrago che pochi passi, quando vide quel disgraziato battere l'aria colle mani e cadere pesantemente al suolo.

Il vecchio Maskoe gli si era precipitato sopra mandando un grido supremo:

– Harry! Mio figlio!

Aveva alzato il povero giovane, stringendoselo fra le braccia.

Sì, era proprio suo figlio, ma in quale stato! Aveva il viso disfatto dai patimenti, gli occhi incavati e semispenti, il naso affilato, la barba incolta ed arruffata.

– Padre! – mormorò il giovane, cercando di abbracciarlo. – Padre! Là... i compagni... muoiono... fame... fame... Grazie!

– Dove sono gli altri? – chiese Norod, il quale aveva raggiunto Maskoe ed il giovane.

– Là... dietro quella collina... – balbettò il naufrago.

– Tutti vivi? – chiese Maskoe.

– Non lo... so... padre... Da due giorni... cerco della selvaggina...

Norod si levò dalla cintura una fiaschetta ripiena di ginepro e l'accostò alle labbra del giovane, il quale ne bevette avidamente parecchi sorsi.

– Grazie – disse poi. – Mi pare di rinascere.

– Figlio mio, puoi reggerti? – chiese Maskoe.

– Mi proverò, padre.

– Guidaci fino ai tuoi compagni.

Maskoe e Norod lo presero sotto le braccia ed il drappello si rimise in cammino per raggiungere l'accampamento dei naufraghi.

Giunti su di una collina coperta d'un alto strato di neve gelata, il giovane Harry indicò a loro due tende semicrollate e sormontate da un'antenna, sulla quale sventolava ancora uno straccio rosso:

– Là! I compagni! – balbettò.

Norod e gli altri si erano fermati con il cuore stretto da un'angoscia inesprimibile.

– Non si vede nessuno – disse Maskoe.

– Che siano tutti morti? – chiese uno dei pescatori.

– Accorriamo – dissero tutti.

Lasciarono il giovane sulla collina e scesero di corsa, avanzandosi verso le tende.

Quando vi giunsero, retrocessero spaventati.

In una tenda, la maggiore, dodici uomini giacevano l'uno sull'altro, rigidi come se la morte li avesse sorpresi nel sonno.

In un angolo terminavano di bruciare alcuni pezzi di pennone ed in una caldaia cucinavano alcuni lembi di pelle di foca, ultimi avanzi d'un pasto nauseante.

I cinque pescatori, dopo una breve esitazione si erano curvati su quei disgraziati.

– Vivono! – aveva esclamato il vecchio Maskoe. – Siamo giunti in tempo!

Sì, quegli uomini non erano ancora morti, ma un ritardo di alcune ore ancora e nessuno sarebbe certamente sopravvissuto al disastro.

Urgeva soccorrerli prontamente se si voleva salvarli.

Fu riattizzato il fuoco per rialzare un po' la temperatura siberiana che regnava ormai sulla tenda, poi i pescatori si misero a strofinarli gagliardamente con stracci di lana inzuppati nell'acquavite.

Qualche ora dopo i dodici disgraziati erano fuori di pericolo. Alcune sorsate di ginepro avevano ridato a loro un po' di energia ed un po' di calore. Erano però tutti morenti di fame e così sfiniti da non potersi reggere.

Furono mandati due pescatori alla barca a prendere dei viveri e della legna e fu allestito un pranzo, non copioso, onde quei naufraghi non abusassero.

Alla sera, attorno ad un allegro fuoco, Harry narrava l'istoria del naufragio a suo padre ed ai suoi valorosi compagni.

Da sette mesi, la Danae, dopo essere giunta all'isola degli Orsi, era andata a picco, spaccata da una montagna di ghiaccio che le era piombata addosso.

I tredici uomini dell'equipaggio avevano però potuto rifugiarsi sull'isola, portando con loro alcuni fucili, dei rottami e viveri per poche settimane.

Disperando di poter venire raccolti da qualche nave, stante i ghiacci che già erano discesi dal polo, avevano affidato alle onde il barile contenente un documento.

L'inverno era stato terribile e la fame non aveva tardato a piombare sull'accampamento. Come erano vissuti tanti mesi? Nemmeno Harry aveva saputo dirlo.

Avevano divorato delle foche, poi le viscere di quegli anfibi, quindi le pelli, poi tutti erano caduti in un profondo torpore che somigliava alla morte.

Un giorno ancora ed i pescatori non avrebbero trovato che tredici cadaveri...


Due giorni dopo, la barca di Maskoe riprendeva il largo, portando con sé i tredici naufraghi, così miracolosamente salvati, e tre settimane più tardi gettava l'àncora sulle coste della Norvegia fra gli urrah della piccola colonia.

Il governo norvegiano, non ha dimenticato di ricompensare il coraggio dei cinque pescatori.

Il vecchio Maskoe ha avuto in regalo una nuova barca, ben più grossa della prima ed i suoi compagni hanno ottenuto una piccola pensione annua, che permette a loro di vivere agiatamente.