I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Nell'isola delle scimmie
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NELL'ISOLA DELLE SCIMMIE
Avete mai udito parlare di mastro Pipone?
No?... Allora bisogna che ve lo faccia conoscere, perché le avventure toccategli durante i suoi numerosi viaggi sono così straordinarie, che sarebbe un peccato non parlare di lui.
Vi premetto innanzi a tutto, che quel nome di Pipone non era veramente il suo. Lo avevano chiamato così perché nessun marinaio dei due mondi lo aveva mai veduto senza la pipa fra le labbra.
Quanto tabacco avesse fumato nella sua vita, io non ve lo saprei dire: una montagna di certo e molto alta.
Bravo marinaio del resto e brav'uomo, tutto cuore e coraggio. In tutti i porti del Mediterraneo era conosciuto, e quando qualcuno lo incontrava, non si tirava indietro per pagargli un bicchiere e magari una bottiglia, per fargli uscire poi dalle labbra una delle sue meravigliose avventure.
Devo dirlo: mastro Pipone ci teneva a raccontarle; non c'era quindi bisogno di pregarlo. Cosa volete? Amava la popolarità e faceva di tutto per farsi conoscere e un pochino anche ammirare.
Avendo avuto occasione anch'io di conoscerlo, in non so quale porto del Mediterraneo orientale, a Smirne od a Costantinopoli, potete immaginarvi se me lo lasciai scappare.
Me ne avevano raccontate tante sul conto di quel brav'uomo, che mi avrei creduto inferiore agli altri non facendo la sua conoscenza. E poi eravamo compatrioti e fra connazionali ci si trova bene all'estero, specialmente nelle cantine dei porti.
Quando io lo conobbi, mastro Pipone aveva cinquant'anni.
Era un bel tipo di meridionale, bruno come un africano della costa Barbaresca, piccolo, tozzo, peloso come una scimmia e con certe braccia, miei cari, che se vi tirava un pugno vi faceva vedere le stelle e anche la luna.
Era ritornato allora allora da un lunghissimo viaggio a bordo d'un piroscafo della Peninsulare Indiana, cosa veramente straordinaria avendo quel vecchio lupo di mare sempre dimostrato un profondo orrore per le navi fumanti.
Seppi poi che si era imbarcato su quel legno contro la sua volontà o meglio in seguito a circostanze straordinarie.
Figuratevi che era stato raccolto in pieno mare, a circa trecento miglia dalla terra più vicina, mentre era occupato a rosicchiare... una delle sue ciabatte!
Sospettando che sotto ci dovesse essere qualche mirabolante avventura, una sera lo condussi in una cantina e fra due bottiglie di eccellente Cipro lo costrinsi a sbottonarsi.
– Mastro Pipone – gli dissi. – Io vorrei sapere per quale motivo vi hanno trovato così lontano dalle isole e dai continenti con una ciabatta fra i denti. Forse che vi piace il cuoio vecchio?
Il lupo di mare mi guardò sorridendo sotto i suoi lunghi baffi grigi, irti come setole, poi aspirata una boccata di fumo, mi disse:
– L'avrei ben volentieri lasciata a voi la ciabatta, per un biscotto magari ammuffito. Ah! Se mi fossi portato una di quelle dannate scimmie, la ciabatta non l'avrei di certo rosicchiata.
– Avevate delle scimmie voi? – gli chiesi.
– Per Bacco! Venivo allora precisamente dall'isola delle scimmie dove avevo occupato una carica importantissima: ero stato nominato nientemeno che re!
– Mastro Pipone, volete scherzare? – gli chiesi un po' duramente.
– No – rispose il lupo di mare. – Fate portare un'altra bottiglia di questo delizioso vino di Cipro e vi narrerò un'avventura che non ha mai avuto l'eguale.
Punto dalla curiosità, annuii al suo desiderio.
Il mastro bevette a lunghi sorsi un gran bicchiere, poi disse:
– Io non so se voi lo sappiate; l'anno scorso avevo preso imbarco su una nave portoghese che doveva recarsi alle isole Filippine.
«Non avendo mai veduto quelle terre insanguinate di recente dalla guerra ispano-americana, avevo subito accettata la proposta fattami dal capitano di quella nave ed avevo preso il largo, fidente di giungere felicemente in quelle lontane isole.
«Voi sapete però che l'uomo propone e che Dio dispone e Dio aveva realmente pensato diversamente.
«Dopo quattro mesi noi eravamo giunti nei mari dell'India, senza aver mai incontrate burrasche serie.
«Pareva che tutto dovesse andare di bene in meglio, quando presso le isole Nicobar, fummo assaliti improvvisamente da una bufera così tremenda da dover sacrificare l'alberatura.
«La nostra nave era stata ridotta, in meno di dodici ore, in un pontone, senza vele, senza pennoni, senza manovre e quello che era peggio, mezza fracassata.
«Numerose falle s'erano aperte nella carena e l'acqua entrava in così gran copia da rendere inutile il faticoso lavoro delle pompe.
«La nostra nave era ormai irremissibilmente condannata; non era più che questione di tempo.
«Calmatosi un po' il mare, fu deciso di salvarsi nelle scialuppe che ancora ci rimanevano e d'abbandonare il rottame al suo destino.
«Le isole Nicobar non dovevano essere lontane e con pochi giorni di navigazione si potevano raggiungere.
«Mentre l'equipaggio faceva i preparativi, io, vinto dalla stanchezza, mi ero ritirato nella mia cabina per prendere qualche ora di riposo.
«Quante ore invece dormii? Io non lo so.
«Il fatto sta che quando riaprii gli occhi, la notte era caduta e sulla nave regnava un silenzio di morte.
«Stupito e anche molto inquieto, salii rapidamente in coperta e non vidi nessuno.
«L'equipaggio portoghese era partito colle due scialuppe senza avermi svegliato!
«Era stata una dimenticanza, molto discutibile del resto o m'aveva lasciato a bordo per non caricare troppo le due scialuppe, molto piccole per contenerci tutti? Io non lo saprei dire nemmeno oggi.
«Quell'isolamento e quell'abbandono inqualificabile, produsse una tale impressione su di me, che non potei frenare il pianto.
«Mi tenni perduto. A bordo non vi era più alcuna scialuppa e la nave lentamente affondava.
«Già l'acqua lambiva i babordi di poppa e fra qualche ora doveva riversarsi nella stiva e calare a picco il veliero.
«Non vi era un momento da perdere se volevo salvarmi, perciò, passato il primo momento d'angoscia, mi misi alacremente all'opera onde prepararmi una zattera.
«Il legname non mancava di certo. Sulla tolda vi erano pennoni, pezzi d'albero, casse, barili e cordami in grande quantità.
«In meno di mezz'ora gettai in mare tutti quei rottami e costruii alla meglio un piccolo galleggiante, riunendolo solidamente con funi strappate alle manovre.
«Avevo potuto raccogliere anche una cassa di biscotti, un po' di carne salata, una botticella d'acqua ed un fucile dimenticato dai portoghesi.
«Mi ero appena imbarcato, quando udii dietro di me un cupo fragore. L'acqua era giunta ai babordi e si riversava nella stiva e nelle corsie come un torrente impetuoso.
«La nave affondava rapidamente sotto l'immane peso. Ondeggiava da un fianco all'altro come se fosse in piena tempesta e scricchiolava lugubremente.
«Si sarebbe detto che si lamentava.
«A poco a poco l'acqua raggiunse la coperta, invase il ponte, poi il cassero. La nave oscillò un'ultima volta, quindi s'immerse bruscamente, formando un gorgo spumeggiante.
«Alla superficie non erano rimasti che pochi rottami, avanzi di pennoni, di alberi e di murate.
«La mia zattera intanto, spinta da una leggera brezza s'allontanava verso oriente.
«Sapevo che le isole dovevano trovarsi in quella direzione e perciò lasciavo che il vento mi trascinasse.
«La piccola vela che avevo spiegata su d'un pennone piantato in mezzo al galleggiante, serviva benissimo. Le mie braccia erano più che sufficienti per manovrarla.
«Per tre giorni continuai a navigare in quella direzione, poi la sera del quinto vidi delinearsi all'orizzonte una terra, certamente un'isola.
«Tutta la notte bordeggiai dinanzi a delle scogliere che riparavano le spiagge di quella terra, poi all'alba, trovato un passaggio, approdai.
«Dove mi trovavo io? Era impossibile a saperlo.
«Legai la mia zattera ad uno scoglio, sbarcai i viveri che mi erano rimasti, presi il fucile e m'inoltrai in mezzo ad un bosco formato di cocchi e di palmizi di varie specie e popolato da miriadi di uccelli dalle penne variopinte.
«Quella prima esplorazione non mi apprese nulla di nuovo. Non avevo veduto né alcuna capanna, né alcun abitante, sicché conclusi che quella terra dovesse essere deserta.
«Se mancavano gli uomini, vi potevano però essere molti animali pericolosi. Avevo udito a raccontare che anche nelle isole dell'Oceano Indiano si trovano tigri e leopardi, quindi dovevo tenermi in guardia per non venire divorato.
«Coi pezzi della zattera mi costruii prima di tutto una capannuccia appena sufficiente per ripararmi, poi con delle spine innalzai una siepe tanto robusta da impedire alle fiere di forzarla.
«Pel momento poteva bastare, più tardi avrei certo pensato a trovarmi un asilo più comodo e più sicuro.
«Per alcuni giorni mi tenni sempre in vicinanza della sponda, limitandomi a percorrere il margine della foresta per provvedermi di banani e di noci di cocco, frutta che crescono in abbondanza e senza coltura alcuna.
«Qualche settimana più tardi, sentendo estremo bisogno di procacciarmi un po' di carne, osai internarmi nell'isola.
«Avevo appena percorso qualche miglio, quando mi trovai improvvisamente sul margine d'una laguna le cui rive erano popolate da migliaia e migliaia di scimmie.
«Ve n'erano di tutte le specie: bertucce, cercopitechi, mandrilli, babbuini, nasilunghi, scimmie ragno, scimpanzé.
«Rimasi di stucco. Cosa facevano tutte quelle scimmie radunate attorno alla laguna?
«Mio primo pensiero era stato quello di tornarmene subito indietro, ma quando volli tentare la ritirata, era troppo tardi.
«Una schiera composta di mandrilli, d'aspetto feroce, m'aveva chiusa la via, costringendomi a retrocedere verso il lago.
«In un baleno anche tutte le altre erano accorse formando dinanzi a me un ampio semicerchio per nulla rassicurante.
«Tutti quei quadrumani non mi levavano di dosso gli sguardi e pareva che spiassero ogni mio minimo movimento.
«Provai alzare il braccio destro e tosto vidi migliaia di braccia fare il medesimo movimento con una precisione stupefacente.
«Alzai il sinistro ed ecco tutte le scimmie imitarmi.
«Mi misi a saltare una tarantella.
«Che spettacolo successe allora! Diecimila scimmie danzavano seguendo tutte le mie mosse, con una forza così indiavolata che non potei trattenere uno scoppio di risa.
«La risata che uscì da tutte quelle bocche fu così formidabile che per poco non diventai sordo.
«La cosa era comicissima; tuttavia cominciavo ad inquietarmi. Cosa sarebbe poi accaduto se a quelle scimmie fosse saltato il ticchio di seguirmi?
«Ero molto perplesso sul da fare, eppure non potevo rimanere in eterno sulla riva di quella laguna.
«Mi ero spinto fino là per cercarmi della selvaggina e non già per far ridere delle scimmie.
«Decisi quindi di tornarmene nella foresta per cercare qualche cervo o qualche cinghiale.
«Armai per precauzione il fucile e mi diressi verso la foresta.
«Le scimmie vedendomi a muovermi, aprirono il semicerchio, poi si misero a seguirmi, camminando parallelamente a me.
«Ogni mossa che io facevo, era puntualmente imitata. Mi fermavo e anche i quadrumani si arrestavano; mi mettevo in marcia e subito facevano altrettanto; raccoglievo una pietra e migliaia di pietre venivano raccolte.
«La cosa cominciava a diventare estremamente noiosa.
«Finalmente potei giungere alla spiaggia, sempre seguito da quell'esercito codato.
«Quelle migliaia di quadrumani si accamparono sul margine della foresta formando un immenso cerchio attorno alla mia capannuccia.
«Avendo molta fame, mi arrampicai su un cocco e mi misi a raccogliere le noci.
«In meno di cinque minuti tutti gli alberi dei dintorni furono presi d'assalto e spogliati delle loro frutta.
«Ve n'erano delle montagne dappertutto: banani, cocchi, manghi, aranci, durion ecc.
«Mi misi a mangiare una noce e tutte le scimmie mi imitarono divorando ingordamente quella raccolta prodigiosa.
«In un attimo non rimase più nulla.
«Povera foresta! Era rimasta spogliata completamente.
«Cominciavo a pentirmi d'aver sciolta la zattera per costruirmi la capanna. Se non l'avessi fatto avrei approfittato della notte per andarmene lontano da quelle noiose scimmie. Seccato mi cacciai nel mio tugurio, colla speranza di vederle finalmente partire.
«Fu peggio che peggio. Quelle curiose aprirono cento buchi nelle tavole, per vedere cosa io facevo.
«Mi provai a cacciarle, minacciandole col fucile. Fatica vana. Appena rientravo eccole ancora attorno alla mia povera casetta pigiandosi contro le pareti in modo tale da metterle in serio pericolo. Il tetto ben presto fu scoperchiato e cinquanta musi s'introdussero facendo ogni sorta di sberleffi.
«Era troppo! Afferrai un bastone e mi misi a percuotere a destra ed a manca senza misericordia fiaccando le costole a mandrilli, a cercopitechi, a scimpanzé, a bertucce.
«L'idea era stata buona perché quelle curiose finalmente si ritirarono lasciandomi in pace. Il tetto però non era stato rimesso a posto sicché quella notte fui costretto a dormire a ciel sereno.
«L'indomani quando uscii, con mia grande meraviglia mi vidi circondato da capannucce simili alla mia.
«Durante la notte i quadrumani, gelosi del mio ricovero, avevano distrutta mezza foresta e con rami, foglie e spine avevano costruito centinaia di ricoveri.
«Capii che non mi avrebbero più lasciato e vi lascio immaginare se le mie inquietudini non aumentarono in proporzione.
«Quei quadrumani fino a quel momento non si erano mostrati cattivi verso di me, anzi, mentre se lo avessero voluto mi avrebbero facilmente fatto a pezzi.
«Un paio di mandrilli sarebbero stati bastanti per ridurmi all'impotenza, mentre ve n'erano per lo meno un tre o quattrocento.
«Però trovarmi prigioniero o quasi di quei quadrumani, mi dispiaceva immensamente. Mi pareva che la mia dignità di uomo fosse stata abbassata fino al livello di quei bruti.
«Mi venne subito l'idea di approfittare del primo buon momento per andarmene; ma come? La mia zattera non l'avevo più e se mi fossi provato a costruirmene un'altra chissà cosa avrebbero fatto quelle scimmie.
«Era certo che ne avrebbero fabbricate delle centinaia e che mi avrebbero seguito anche in mare.
«Finsi quindi di rassegnarmi alla loro poco piacevole compagnia e me ne andai sulle spiagge per cercare delle ostriche, unico cibo che potevo trovare, non potendoci essere un solo frutto in tutta quella foresta.
«Lo credereste? Mi ero appena mosso che vidi l'intero esercito mettersi dietro a me saltando, scodinzolando e gridando.
«Alcuni mandrilli, brutti come orchi, mi si erano stretti intorno e pareva che volessero impedirmi di accostarmi al mare.
«Gridavano a piena gola mandando delle urla strazianti e mi sembravano in preda alla più violenta disperazione.
«Anche tutte le altre scimmie davano segni di viva commozione.
«Stupito da quello strano caso, mi era arrestato.
«Cosa volevano quelle scimmie? Impedirmi forse di nutrirmi?
«Mi feci largo respingendo brutalmente i mandrilli senza che quegli scimmioni osassero ribellarsi e non ostante le loro grida mi spinsi fino alla spiaggia, mettendomi a raccogliere ostriche e piccoli crostacei.
«Allora assistetti ad una scena curiosa.
«Tutte quelle scimmie come se avessero ricevuto un ordine, si dispersero per la spiaggia dando la caccia ai crostacei, ai gamberetti e raccogliendo conchiglie a piene mani.
«In capo a dieci minuti attorno a me vi erano degli ammassi di crostacei, bastanti per nutrire cento uomini.
«I quadrumani, compiuta la raccolta, venivano a versarla attorno a me, minacciando di seppellirmi addirittura sotto quella valanga di frutta di mare.
«Feci una scorpacciata, poi me ne andai a passeggiare nel bosco colla speranza di poter scovare qualche capo di selvaggina.
«Tempo perduto! I quadrumani mi avevano seguito correndo attraverso le piante, sicché fui costretto a rinunciare all'arrosto.
«I porci selvatici, i cervi, le lepri vedendo avanzarsi quelle legioni di scimmie fuggivano prima che io avessi potuto scorgerli.
«Ero desolato. Come fare per sbarazzarmi di quell'esercito che non mi lasciava un istante di libertà?
«Pensai di rinchiudermi nella mia capanna e di non uscirne più per una settimana.
«Raccolsi delle frutta, mi provvidi d'acqua dolce e di crostacei arrostiti, poi rinforzai le pareti ed il tetto della mia abitazione, onde le scimmie non potessero entrare.
«Io credevo che non vedendomi più uscire, si sarebbero finalmente decise a tornarsene nelle boscaglie dell'interno.
«Tappai tutte le aperture e mi rinchiusi, risoluto a non rompere la mia volontaria prigionia.
«Le scimmie non vedendomi più, si erano radunate presso la mia dimora mandando acuti lamenti e picchiando contro le pareti ma io feci il sordo.
«La prima giornata trascorse senza incidenti. I lamenti però erano diventati così seccanti, da farmi perdere quasi la testa e non cessarono che dopo il tramonto del sole.
«Solamente allora aprii una finestra per respirare un po' d'aria pura e per vedere anche cosa facevano quelle legioni di quadrumani.
«Manco a dirlo! Non mi avevano abbandonato, anzi alcuni mandrilli si erano accampati attorno alla mia casa, forse per timore che io avessi approfittato dell'oscurità per andarmene.
«Li mandai al diavolo e rinchiusi la finestra, sdraiandomi sul mio letto di paglia secca.
«All'alba fui svegliato da un baccano infernale. Le scimmie urlavano come se fossero impazzite ed in mezzo a quel baccano udiva i singhiozzi, quasi umani, dei mandrilli.
«Le pareti della mia casa poi, urtate da centinaia di mani, minacciavano di cedere e di rovinarmi addosso.
«Era impossibile rimanere più a lungo nascosto. Se avessi insistito, la mia dimora sarebbe stata atterrata.
«Aprii dunque la porta e uscii portando con me il fucile. Era così arrabbiato da non temere di dare battaglia a quelle legioni.
«Appena mi videro, vidi tutte quelle scimmie cadere al suolo, battendo la fronte nella polvere. Piangevano, ridevano, si contorcevano e talune si erano appressate a me lambendomi le scarpe.
«Dinanzi a quell'inaspettata e commovente dimostrazione d'affetto, la mia collera svanì!
«Come pensare a prendere a colpi di fucile quei quadrumani che piangevano di gioia nel vedermi a comparire? Sarebbe stata una inumanità!
«E d'altronde quella situazione non poteva durare. Non era già sbarcato in quell'isola per diventare re di un popolo villoso e codato.
«Bisognava andarsene a costo di farmi seguire da tutti quei quadrumani.
«Il legname non mancava ed avevo conservato le corde che mi avevano servito alla costruzione della prima zattera.
«Farne una seconda non era cosa difficile.
«Cominciai quindi col demolire la mia capanna per avere il legname necessario, senza ricorrere alla foresta.
«Le scimmie vedendo che io atterravo la mia dimora, non esitarono a fare altrettanto colle loro, accumulando le canne, le spine e le foglie sulla spiaggia.
«Mi bastarono quattro ore per ricostruire la zattera, fornendola dell'albero e della vela.
«I quadrumani non avevano cessato dall'imitarmi. Dapprima però si erano trovati molto imbarazzati, non avendo materiale adatto a quel genere di costruzioni.
«Eppure, lo credereste? Riuscirono a costruire anche loro delle piattaforme, con alberi formati da bambù strappati nella foresta e con vele formate di foglie di banani. Che zattere, mio caro! Non dovevano galleggiare un solo istante.
«Quando spinsi la mia in mare, dopo d'averla provvista di frutta, di ostriche, di gamberetti e d'acqua dolce, le scimmie si credettero in dovere di fare altrettanto.
«Fu un vero disastro. Appena in acqua, con grande stupore dei miei sudditi, le loro piattaforme colarono a picco e si disgregarono.
«Che scena! E che urla e che pianti scoppiarono quando videro la mia zattera prendere il largo e allontanarsi velocemente sotto i soffi del vento allora favorevolissimo!
«Le povere scimmie erano in preda alla più violenta disperazione. Mi chiamavano con alte grida, dimenavano le braccia, correvano lungo la spiaggia supplicandomi, a loro modo, di tornarmene a terra.
«Restai sordo alle loro preghiere e lasciai che la zattera continuasse la sua corsa. Tre ore dopo l'isola delle scimmie scompariva sotto l'orizzonte.
«Per quattro giorni continuai a spingermi verso l'ovest, colla speranza di trovare qualche altra terra. Invece nessuna appariva ai miei sguardi.
«Navigavo in pieno Oceano Indiano, senza sapere ove andassi.
«Al quinto giorno avevo terminate le mie provviste.
«La paura cominciò a prendermi ed ebbi la debolezza di rimpiangere l'isola delle scimmie.
«Quando volli tornare verso oriente, il vento era cessato ed una calma ostinata regnava sull'oceano.
«Quanti giorni trascorsero ancora? Io non ve lo saprei dire.
«Mi ricordo vagamente d'aver veduto un grosso vapore, muovere verso la mia scialuppa, poi più nulla.
«Seppi più tardi che quando fui raccolto stavo rosicchiando ferocemente una delle mie ciabatte e può essere vero, perché morivo di fame.»
Mastro Pipone tacque. Si riempì il bicchiere, riaccese la pipa, poi, dopo d'avermi guardato per alcuni istanti, mi disse:
– Potrà sembrarvi strano; eppure, volete che ve lo dica? Ancora oggi talvolta rimpiango quei giorni passati in mezzo a quelle povere scimmie.