I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/La capitana della Columbia

La capitana della Columbia

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LA CAPITANA DELLA COLUMBIA


Quantunque la notte fosse scesa da parecchie ore insieme con una nebbia folta, che un vento freddissimo spingeva a ondate immense sulle spiagge della Nuova Scozia, pure nella modesta casetta del vecchio Helen, si vegliava ancora.

Il lupo di mare, a malgrado i suoi settanta e più anni, si era recisamente rifiutato di cacciarsi nel letto e stava seduto accanto alla stufa, prestando attento orecchio agli ululati del vento ed ai formidabili muggiti delle onde, che l'Oceano Atlantico spingeva, con impeto irrefrenabile, nella piccola baia di Selburne.

Eppure, vi era da scommettere che tutti i pescatori dormivano la grossa, giovani e vecchi.

Annie, la figlia del vecchio capitano, vedendo che il padre si ostinava a non coricarsi, s'era seduta presso la finestra, risoluta a tenergli compagnia.

D'altronde pareva che condividesse le inquietudini del vecchio, poiché si alzava di frequente, guardava attraverso i vetri, come se cercasse di scorgere qualche cosa tra le profonde tenebre che avvolgevano la spiaggia, e si curvava innanzi, trattenendo il respiro, per meglio ascoltare i fragori del largo.

Annie Helen aveva allora quarant'anni. Era di statura un po' al di sotto della media, con la pelle molto bruna, con una fisonomia intelligentissima ed energica, rischiarata da due occhioni neri, limpidi, raggianti.

Rimasta orfana della madre in tenera età, suo padre che l'adorava, piuttosto che lasciarla in mani estranee, se l'era portata sulla nave, facendole intraprendere viaggi lunghissimi in Cina, in Australia, nell'India e anche in Europa.

La giovane americana era così cresciuta fra il cullare incessante delle onde e l'odor penetrante del catrame, abituandosi facilmente ai pericoli delle lunghe navigazioni, e dimostrando durante le tempeste un coraggio che gli stessi marinari di suo padre le invidiavano.

Per divertirla, il vecchio capitano le aveva insegnato tutti i termini marinareschi, la manovra delle vele e del timone, i calcoli astronomici e la geografia, dandole tanta pratica che i marinari l'avevano battezzata: la piccola capitana.

Diventato il padre vecchissimo e malaticcio, lo aveva seguito in terra e si erano ritirati insieme nel piccolo porto di Selburne, nella Nuova Scozia, vivendo modestamente dei loro risparmi. Annie, però, non aveva dimenticato le lezioni del padre e in parecchie circostanze aveva dimostrato la sua abilità marinaresca ed il suo coraggio, salvando già non poche barche da pesca, sbattute dalla tempesta contro le selvagge coste della Nuova Scozia.

Quella sera, un po' prima del tramonto, il vecchio capitano, dall'alto d'un promontorio, aveva scorto una grossa nave, che lottava penosamente contro le onde e le correnti, e che non riusciva a rifugiarsi nelle baie della costa.

– Annie – aveva detto, rientrando nella casupola, dove ardeva un bel fuoco. – Temo che quei naviganti abbiano a passare una brutta notte. Sono sicuro che udremo il cannone d'allarme e che qualche tragico avvenimento accadrà.

– Puoi ingannarti, padre – rispose la coraggiosa donna.

– Un vecchio lupo par mio, di rado s'inganna, ed io non andrò a dormire finché non sarò sicuro della sorte di quei poveri marinari. La nebbia cala fitta fitta e quella nave non riuscirà ad entrare nelle nostre baie senza urtare contro le scogliere.

– Ebbene, io rimarrò con te e se udremo il cannone d'allarme, andrò a chiamare i pescatori. Annie Helen anche questa volta si mostrerà degna di suo padre.

Per essere più pronta, aveva indossato il cappotto di tela incerata da marinaro e si era assisa accanto alla finestra, pronta a sfidare qualunque pericolo, se ve ne fosse stato bisogno. L'animo di quella coraggiosa donna non tremava. Si sentiva capace di tentare qualunque prova.

Come abbiamo detto, la notte era scesa rapidissima e le nebbie, formate dalla corrente del Gulf-Stream, le cui acque conservano ancora un po' di calore anche salendo nelle regioni fredde del settentrione, avevano coperto l'oceano.

La nave, veduta da suo padre, non doveva trovarsi troppo bene, tanto più che ondate immense, sollevate da un vento impetuosissimo, si frangevano contro le spiagge della Nuova Scozia, tutto travolgendo.

Annie ed il vecchio capitano ascoltavano sempre con crescente ansia, credendo d'udire, fra i fragori delle onde, grida lontane invocanti soccorso.

Il vento sibilava furiosamente, sbatacchiando le finestre della casupola, e facendo tremare le pareti di legno, e ululava sinistramente entro la gola del camino, disperdendo le fiamme e le ceneri del focolare.

– Odi nulla, Annie? – chiedeva di quando in quando il vecchio.

– No, padre – rispondeva la figlia.

– Eppure il mio istinto mi dice che quella nave è sempre in pericolo. Le correnti della Nuova Scozia sono troppo difficili a vincersi, quando soffia il vento da oriente, ed i velieri non possono resistere.

– Può essere riuscita a porsi in salvo nella baia di Liverpool.

Il capitano scrollò la testa, poi disse:

– No, è impossibile: nemmeno un pilota della Nuova Scozia vi riuscirebbe. Come vuoi dunque che quei naviganti, che devono venire molto da lontano, forse dall'Europa, e che non conoscono queste spiagge altro che dalle loro carte marine ancora imperfette, vi riescano?

In quel momento, fra i muggiti delle onde ed i fischi del vento, si udì un rimbombo.

– Il cannone d'allarme! – gridò il vecchio, alzandosi. – La nave è in pericolo, Annie!...

– Ed io andrò a salvarla o almeno lo tenterò – rispose la coraggiosa donna, alzando il cappuccio per ripararsi meglio dal freddo.

Una profonda angoscia si era diffusa sul viso del capitano. Guardava sua figlia con ansietà, ed esitava a darle il permesso di uscire.

– Sì, – disse poi – è un dovere. Un uomo di mare non deve rimanere insensibile al grido d'aiuto dei naviganti in pericolo. Va', figlia mia, giacché io nulla posso fare, e che Dio ti benedica.

– Vado, padre! – rispose la donna. – La figlia di Wilson Helen non può mostrarsi meno valorosa del padre.

Si avvolse nel cappotto, baciò il vecchio e uscì dalla casupola, tranquilla come se andasse a compiere una missione qualunque, mentre si preparava a sfidare la morte.

Quando giunse sulla riva della baia, una diecina di pescatori, svegliati dal rombo del cannone, vi si trovavano già.

Erano i giovani più robusti e più intrepidi del piccolo villaggio, eppur si erano fermati esitanti, guardando con ansietà le onde che, sfondando le masse nebbiose, rumoreggiavano sulla spiaggia, schizzando in alto sprazzi immensi di spuma.

– Ebbene, che cosa fate qui? – chiese Annie con voce di comando. – Non avete udito il cannone di allarme? La nave che abbiamo scorta ieri sera fa appello agli abitanti di Selburne.

– Il mare è cattivo, signora Annie! – disse un robusto pescatore che pur passava per uno dei più abili e dei più intrepidi pescatori della Nuova Scozia.

– E poi la nebbia è folta e si fa presto a urtare contro gli scogli – aggiunse un altro.

– Lascerete voi perire, senza soccorso, quei disgraziati? – chiese Annie, con accento di rimprovero. – Mettete in mare la grossa scialuppa: io vi guiderò.

– Voi venite con noi? – chiesero i pescatori, stupiti.

– Vi ho detto che vi condurrò.

– Seguiamo la capitana! – gridarono in coro i pescatori.

La chiamavano tutti la capitana; e non vi era nessuno che non avesse una fiducia illimitata nella figlia di Wilson Helen, che avevano veduta altre volte sfidare le tempeste dell'Atlantico e che sapevano come fosse capace di guidare anche una grossa nave meglio del più abile capitano.

Incoraggiati dalla sua presenza, i pescatori dopo non poca fatica spinsero in mare la scialuppa più grossa che si trovava nella baia, vi saltarono dentro e si spinsero al largo, remando vigorosamente.

Annie s'era messa al timone, dicendo:

– Animo, figliuoli; i naviganti aspettano i bravi pescatori di Selburne.

L'oceano era davvero spaventoso ed i giovani di Selburne non avevano avuto torto d'esitare a prendere il largo, per portare soccorso alla nave pericolante.

Cavalloni immensi si rovesciavano sulle spiagge della Nuova Scozia con fragori assordanti, alzando la scialuppa per poi sprofondarla improvvisamente negli avvallamenti, mentre le nebbie, lacerate dal vento, turbinavano in tutte le direzioni.

Non si poteva scorgere la nave, però dalle cannonate che continuavano a rimbombare, Annie aveva giudicato che dovesse trovarsi a qualche miglio dal capo delle Sabbie, impegnata fra un doppio gruppo di scogliere pericolosissime, contro le quali già molte altre navi s'erano irremissibilmente perdute.

I pescatori lottavano disperatamente per vincere le correnti che, radendo le coste della Nuova Scozia, fanno impeto contro le scogliere, causando dei pericolosissimi sconvolgimenti fra quelle acque profondissime.

Annie, tranquilla, con gli occhi fissi sui cavalloni, dirigeva la barca con una perizia da far stupire i suoi compagni.

Quando una montagna d'acqua minacciava di piombare sull'imbarcazione, con una manovra lestissima la sapeva prendere da prora, evitando così che si rovesciasse sopra i bordi e che cacciasse a fondo tutti.

Quando poi dal fragore dei cavalloni, si accorgeva che dovevano trovarsi presso alle scogliere, si affrettava a girare al largo, gridando ai rematori:

– Forza a dritta o forza a manca.

Erano usciti dalla baia e colà la lotta aveva assunto proporzioni tali da far impallidire tutti, fuorché Annie.

Era un caos di cavalloni, che le correnti costringevano a rompersi, producendo sconvolgimenti formidabili e pericolosissimi fra quelle masse liquide.

Pareva, a momenti, che l'oceano ribollisse come una pentola immane, scaldata da fuochi infernali.

– Capitana! – disse uno dei pescatori, spaventato dall'aspetto tremendo dell'oceano. – Noi corriamo incontro ad una morte più che certa e la nostra perdita non arrecherà alcun giovamento a quei naviganti.

– Annie Helen non torna mai addietro se non ha compiuto il suo dovere! – rispose l'audace donna. – Se tu non ti sentivi abbastanza animo per seguirmi, dovevi rimanere a terra, giovane Jak.

Quel rimprovero aveva chiuso la bocca a tutti gli altri. Se una donna dava simile prova di coraggio, non era permesso agli uomini di mostrarsi da meno della valorosa figlia del capitano Wilson.

Fidando nella loro capitana, si avventurarono sull'oceano, gridando di quando in quando:

– Arriviamo!... Non perdetevi d'animo, marinari!

Il cannone della nave pericolante tuonava ormai vicino e fra la nebbia si scorgeva talvolta la fiamma.

Annie non si era ingannata. Quel veliero si era impegnato fra le scogliere del capo delle Sabbie che formavano come una specie di labirinto, da cui solo un pilota della Nuova Scozia, pratico di quei paraggi, avrebbe potuto trarlo.

Annie, a malgrado l'impeto crescente delle onde e l'oscurità, manovrò per modo da evitare le scogliere e di cacciarsi nel labirinto pericoloso.

Essendosi la nebbia un po' diradata, ben presto i pescatori scorsero due punti luminosi, i fanali della nave, poi un'immensa massa nera che le onde facevano sobbalzare come se fosse un giocattolo.

– Capitana, – disse uno dei pescatori, – potremo noi avvicinare la nave? Le onde fracasseranno la nostra barca.

Annie imboccò il portavoce che aveva trovato sotto il banco di poppa e, con quanta forza aveva nei polmoni, gridò:

– Una corda, marinari!

Quindi, volgendosi verso i pescatori, disse:

– Non pensate a me, e mettetevi in salvo sulle scogliere.

La scialuppa si trovava già presso la nave. L'equipaggio, accortosi che si accorreva in suo aiuto, lanciava corde in tutte le direzioni con appesi in fondo salvagente. Una era caduta nella barca e Annie l'aveva afferrata, legandosi il capo attraverso la vita.

– Ritirate! – gridò.

Non aveva ancora terminato la parola, che si trovava in acqua. L'immersione fu però brevissima, giacché i marinari della nave pericolante la traevano rapidamente a bordo.

È impossibile descrivere lo stupore di quei marinari, quando s'avvidero d'aver tratto sulla coperta una donna invece di un pilota.

Annie non si era perduta d'animo e diede subito un saggio della sua audacia e della sua valentia.

– A me il timone! – gridò. – Presto, tutti alle vele se volete trarre la vostra nave dalle scogliere che la circondano!

– Ma, signorina! – esclamò un ufficiale, che era accorso.

– Obbedite, se volete salvarvi! – gridò Annie, con voce che non ammetteva replica.

Ed ecco la valorosa, dietro la ruota del timone, ad impartire comandi a tutti, come un capitano, con voce squillante, che domina i fragori della tempesta.

L'equipaggio, quantunque non si fosse ancora rimesso dallo stupore, soggiogato dalla voce energica della capitana, si era slanciato alle manovre, eseguendo prontamente, quasi macchinalmente, i comandi che Annie continuava ad impartire.

Quella nave, che la tempesta aveva cacciato fra le scogliere del capo delle Sabbie, era la Columbia, un grosso veliero americano, conosciuto in tutti i porti dell'Atlantico e che tornava dall'Inghilterra con un carico di rotaie di ferro, destinate alla Canadian Company.

Il viaggio di quella nave era stato, fin da principio, poco fortunato.

Terribili tempeste l'avevano perseguitata durante la traversata dell'Atlantico; poi nei pressi della Nuova Scozia, essendosi spezzato un pennone, il capitano aveva avuto la spalla fracassata ed aveva dovuto abbandonare il comando al secondo ufficiale, uomo disgraziatamente poco abile, il quale si era lasciato trascinare verso la costa.

Annie appariva dunque come una salvatrice e forse era l'unica persona adatta a trarre ancora la nave dal cattivo passo.

Quantunque la nave si trovasse in gravissimo pericolo, la figlia del vecchio capitano continuava impavida a comandare la manovra.

Strappare però la nave da quelle scogliere, pareva cosa assolutamente impossibile anche ai più vecchi marinari della Columbia, i quali ormai si erano rassegnati alla loro triste sorte.

Già due volte il veliero aveva urtato e si erano aperti due squarci nella carena, lasciando libero il passo alle acque, e l'enorme peso di quelle centinaia e centinaia di tonnellate di ferro rendeva difficile il maneggio della nave.

Nondimeno Annie non disperava ancora. Guidava la Columbia con mano sicura, cercando innanzi tutto di trarla fuori dalle scogliere che la minacciavano da tutte le parti, e che ella conosceva benissimo.

Tre volte ricacciata entro i banchi, tre volte ne tentò l'uscita, incoraggiando tutti con la voce e con l'esempio, fatta segno di profonda ammirazione fra i più vecchi marinari, i quali stentavano a capacitarsi come una donna possedesse tanta tenacia e fosse così abile nelle lotte marinaresche.

Finalmente la Columbia riuscì a lasciare quei pericolosi paraggi e uscire in mare; ma ecco che un'onda immensa la coglie di traverso e la rovescia su di un fianco.

– Siamo perduti! – gridano tutti.

I marinari e gli ufficiali perdono il coraggio e anche la testa, ma Annie conserva ancora la sua calma.

Fra gli urli delle onde ed i fischi del vento, la sua voce squillante come una campana si fa udire, e domina il fracasso degli elementi scatenati:

– Tagliate gli alberi!

La figlia del vecchio Wilson sapeva che con quell'ordine rischiava di compromettere l'esistenza della nave e anche quella dell'equipaggio, ed aveva pure capito che senza quella mutilazione la Columbia sarebbe stata egualmente perduta.

I marinari, udendo quel comando, si erano fermati, guardandosi con stupore e credendo di aver inteso male.

La voce della capitana vibrò nuovamente, più squillante e più imperiosa:

– Tagliate l'alberatura!...

E come i pescatori di Selburne avevano poco prima subito l'energia suprema di quella donna che li aveva guidati sani e salvi fino alla nave pericolante, anche l'equipaggio della Columbia fu incapace di disobbedire.

D'altronde Annie in quei pochi minuti aveva dato tali prove di abilità marinaresca, da meritare che si avesse completa fiducia in lei.

Senza nemmeno avvertire il capitano che gemeva nella sua cabina, diedero mano alle scuri e, lavorando con lena affannosa, si misero a troncare gli alberi.

La nave, semicoricata su un fianco, minacciava da un momento all'altro di subissarsi e ondate tremende si rovesciavano sulla coperta, minacciando di spazzar via i marinari.

Finalmente l'albero di maestra cadde con fracasso, schiantando parte della murata, poi quello di trinchetto. Non rimaneva che quello di mezzana, ossia quello che è situato a poppa e che Annie aveva giudicato inutile sacrificarlo.

I due alberi erano appena precipitati in mare, che la nave si risollevò, riprendendo subito il suo equilibrio. Vedendola rimbalzare liberamente sulle onde e fuori da quel pericoloso labirinto di scogliere, i marinari salutarono l'eroica donna con un triplice urrah.

– Viva la capitana!...

La Columbia non era ancora salva, anzi!...

Faceva acqua da tutte le parti, obbediva male all'azione del timone in causa della poca velatura rimastale e minacciava di venire spinta verso la costa.

– Ragazzi! – gridò Annie, rivolgendosi ai diciassette uomini che formavano l'equipaggio. – La vostra esistenza e la mia sono ancora in pericolo; adopriamoci tutti alla salvezza comune. Io terrò ancora il comando e se mi obbedite, m'impegno di ricondurvi in salvo.

Elettrizzati da quelle parole e fiduciosi nella capacità della capitana, i marinari si erano messi a sua disposizione.

– Armate le pompe! – gridò Annie.

Poi si fece legare alla ruota del timone per poter meglio resistere ai colpi di mare, che si rovesciavano sulla poppa della nave e minacciavano di portarla via.

Tutti si erano messi alacremente al lavoro. Le due pompe funzionavano senza posa, cavando l'acqua che ingombrava la stiva, mentre alcuni altri si occupavano della manovra delle vele, rimaste spiegate sull'albero poppiero.

La Columbia, travolta dalle onde, faceva balzi immensi, ora accostandosi alle spiagge della Nuova Scozia ed ora allontanandosi.

I pescatori della costa, avvertiti dai loro compagni che erano tornati nella baia, che Annie aveva raggiunto la nave, erano accorsi tutti, accendendo numerosi fuochi sulle scogliere affinché la valorosa capitana potesse meglio evitarle.

Anche gli abitanti di Liverpool, un altro villaggio di pescatori, situato in prossimità del capo delle Sabbie, avevano fatto altrettanto.

La scarsa velatura e lo stato del mare impedivano però ad Annie di condurre la nave entro quelle baie.

Se si fosse provata, l'avrebbe infallibilmente mandata a fracassarsi contro le spiagge e ci teneva a mantenere la sua promessa di condurre in salvo l'equipaggio.

I marinari, intanto, non cessavano di pompare a malgrado le frequenti ondate che spazzavano la coperta da un capo all'altro, trascinando via e sbattendoli contro le murate.

Già parecchi erano stati feriti e anche Annie aveva i polsi insanguinati, rosi dalle corde, eppure nessuno si lagnava.

Vedendo di non poter entrare nella baia di Selburne, Annie tentò di spingere la nave in quella di Liverpool, più ampia e meno ingombra di scogliere.

E fu qui che si manifestò l'abilità marinaresca della figlia di Wilson. Sebbene la nave fosse quasi totalmente disalberata, con una manovra splendida riuscì a raggiungere il capo delle Sabbie e alle nove del mattino, con grande stupore degli abitanti, la Columbia gettava le sue ancore all'estremità del canale, al sicuro dalla furia delle onde e dei venti scatenati.

Si era appena ancorata, quando il capitano comparve sulla coperta, sorretto da due marinari.

– Signora, – disse, volgendosi verso Annie, che era calma e sorridente, – a voi dobbiamo la salvezza delle nostre vite e quella della nave. Marinari, tre urrah in onore della capitana della Columbia.

Ed un urrah immenso s'alzò dalla nave e dalla spiaggia, salutando l'eroina.

Annie fu condotta a terra in trionfo, mentre il fortino sparava in suo onore le sue artiglierie.

Annie Helen, che era d'una modestia senza pari, si sottrasse ben presto all'entusiasmo delirante dei suoi compatrioti e si fece ricondurre a Selburne, dove suo padre l'aspettava fra mille ansie, credendo che l'oceano l'avesse inghiottita.

– Padre! – disse, entrando. – Ho compiuto il mio dovere. La nave è salva!


* * *


Quindici giorni dopo, riparata l'alberatura, la Columbia riprendeva il mare al comando di Annie Helen. Gli armatori riconoscenti, col consenso del Ministero della marina, gli avevano affidato la direzione della nave.

Il giorno stesso della partenza il governo, per dimostrarle la sua ammirazione, le faceva rimettere uno splendido cronometro d'oro con una ricca catena pure d'oro.

Annie Helen non si mostrò mai da meno della sua fama e della sua valentia.

Fu veduta in molti porti dell'Europa, dell'America e dell'Asia, ovunque salutata con entusiasmo e dovunque ammirata.

A sessant'anni, molto invecchiata, abbandonava la carriera marittima e quello che è peggio, in tristissime condizioni finanziarie, avendo perduto in un drammatico naufragio tutti i suoi risparmi.

I suoi amici, in riconoscenza dei numerosi salvataggi fatti durante i suoi viaggi, s'interessarono per farle avere dal governo americano un posto, ed ora è direttrice d'uno degli uffici della dogana degli emigranti di New-York.

Il signor Commettat, un distinto ufficiale che la visitò alcuni mesi or sono, interrogato sull'impressione riportata da quella intervista, ha detto:

– Annie Helen è una donnina dolce, modesta, semplicissima, che parla poco, quasi a voce bassa e che non sembrerebbe, a vederla, una donna capace dell'energia di cui ha dato prove in tante circostanze nelle quali molti uomini di mare avrebbero perduto la testa.

«È la forza d'animo che ne ha fatto un'eroina, e gli americani hanno diritto di andare superbi della capitana della Columbia