I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Il faro di Dhoriol

Il faro di Dhoriol

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La capitana della Columbia L'isola di fuoco

IL FARO DI DHORIOL


Annidate talvolta su rupi quasi inaccessibili o affondate nelle sabbie che hanno una consistenza molto problematica, i naviganti che attraversano gli oceani salutano, con una certa commozione, certe torri, spesso informi, che additano loro i pericoli d'un gruppo di scogli traditori o l'entrata d'un porto, dove potranno riposare con piena sicurezza, al riparo dai furori delle onde.

Quelle torri, che si trovano scaglionate lungo le coste dei continenti, sono fari. Di notte una lampada, con riflessi di specchi, che gira ininterrottamente, addita ai poveri naviganti, sbattuti forse dalla tempesta, l'imboccatura d'un fiume, di un porto o di una baia.

Di giorno, invece, è una grande antenna, visibile a distanze considerevoli, o semplicemente la torre che, essendo molto elevata, si può scorgere benissimo.

Su quelle torri vivono alcuni uomini, incaricati di accendere la sera la grossa lampada o di segnalare alle navi i pericoli a cui possono esporsi.

Essi sono gli ammonitori delle perfidie dell'onda, gli esploratori delle nebbie, le vedette delle tempeste, le sentinelle avanzate degli oceani.

Relegati per settimane e settimane e talvolta per mesi e mesi nelle loro torri pendenti sugli abissi del mare; esiliati sovente all'estremità di scogliere remote; prigionieri in quei cupi rifugi eternamente assediati dalle maree, i guardiani dei fari conducono una delle più rudi esistenze che si possa immaginare. Lontani da ogni vita, lontani da ogni società, sospesi continuamente fra i vortici delle nuvole ed i vortici dei flutti, soggetti ad una disciplina di ferro e con nessun'altra voce, nessun'altra canzone che il sibilo delle raffiche ed il lamento o la minaccia dei marosi, essi non sono certo da invidiarsi.

La loro vita, le loro abitudini, le loro funzioni sono per lo più ignorate; si conoscono le ardue fatiche dei marinari, si conoscono tutte le vicende e tutti gli eroismi dei gabbieri, dei piloti, dei mozzi, le imprese dei lavoratori del mare, in genere; ma i guardiani dei fari sfuggono a tutti quelli che non appartengono alla grande famiglia marinaresca, eppure essi sono per eccellenza i solitari del mare, e le loro abnegazioni, i loro sacrifizi, le loro avventure ben a pochi sono note. I fari, anzitutto, hanno per se stessi, alcunché di misterioso e di desolato e assumono spesso, anzi molto spesso, l'aspetto di rovine dimenticate a' confini degli oceani; di ultime vestigia di castelli disabitati, di rifugi eretti da corsari per seppellirvi prede e bottini; di ruderi di torri non più frequentati che da fantasmi.

Ognuno di essi, poi, è circondato da una leggenda ed ha i suoi fasti e la sua storia e dà loro alcunché di solenne e di severo.

La lanterna di Genova, per esempio, ha pure la sua leggenda. Narrano, infatti, le antiche cronache che nel 1318 i Ghibellini, venuti alle prese coi Guelfi, scavarono parte dello scoglio su cui sorge il famoso faro, che vi entrarono per di sotto, e, mettendo la torre sopra puntelli, la minacciarono di rovina se gli assediati, rinchiusi in città, non si arrendevano.

Altra leggenda gode la Gourdonam, la famosa torre che sorge alla foce della Garonna, in Francia, la cui luce, di sera, si scorge alla distanza di trenta miglia marine.

Essa s'innalza sopra una scogliera e serve di guardia alle navi che provengono dall'Atlantico, e che cercano rifugio nel canale di Linguadoca, per isfuggire alle terribili tempeste del mare di Biscaglia.

La leggenda, anzi, dice che se l'architetto volle compiere l'opera sua, dovette fare un patto col diavolo.

Pare che il diavolo abitasse quei paraggi e mantenesse incessantemente le onde agitate.

Luigi de Foix, l'architetto, promise a Belzebù che, se avesse smesso di molestarlo nel suo lavoro, gli avrebbe donato un'anima: quella del primo essere che sarebbe giunto nel faro.

Dicesi che il diavolo acconsentisse, e, infatti, il mare stette calmo finché il lavoro difficile non fu condotto a termine.

L'architetto, allora, sempre secondo la leggenda, trovò il modo di burlare Belzebù, gettando, prima d'entrare nella costruzione terminata, un grosso rospo ed il diavolo dovette contentarsi dell'anima di questo.

I guardiani di quel faro, pertanto, asseriscono con tutta serietà, di vedere ancora nelle notti di tempesta un mostruoso corpo fosforescente, più grosso d'una botte, spiccar salti fra le onde e dileguarsi rapidamente fra le tenebre, appena fanno il segno della croce!...

Il famoso faro di Eddystone, invece, che si erge su uno scoglio all'entrata del porto di Plymouth, in Inghilterra, non è circondato di paurose leggende accumulate dagli anni, ma la sua storia – che è quella stessa dell'energia e della volontà umana vittoriosa di tutti gli ostacoli – non è perciò meno interessante.

Intorno e sopra quello scoglio il mare infuria orribilmente durante le tempeste, e molte grosse e solide navi vi si sono infrante come noci.

Da lungo tempo era stata riconosciuta la necessità di costruire un faro su quello scoglio, ma, considerando le immense difficoltà dell'impresa, i più animosi non avevano mai potuto risolversi ad eseguirlo.

Lo scoglio dista da terra oltre dieci miglia e bisogna portare colà con barche, su un mare sempre agitato, tutto il materiale necessario.

Naturalmente non si poteva lavorare che durante i giorni, relativamente scarsi, di bonaccia, e v'era da temere che la notte disfacesse e portasse via quanto vi si era edificato durante il giorno.

Uno dei più ricchi cittadini di Plymouth, certo Winstaley, fu il primo che osò tentare, non ostante tutti gli ostacoli, la costruzione del faro. Egli si era proposto di pagarne le spese, purché si facesse secondo i suoi piani.

La base fu piantata con massi ciclopici e sopra di essa furono erette alte colonne, che sorreggevano la lanterna assieme all'abitazione del guardiano.

Erano state scelte le colonne per lasciar sfogo alle onde sugl'intercolunni e per conseguenza evitare l'impeto dei cavalloni.

L'esito non corrispose all'aspettativa ed in una di quelle notti tempestose, assai frequenti sulle coste inglesi, il faro fu portato via assieme al suo costruttore, che vi si era recato a pernottare.

Ne fu eretto un secondo, tondo come una colonna gigantesca e, per rintuzzare l'assalto dei cavalloni, fu cinto tutt'intorno da robustissimi tavoloni di quercia.

Il faro resistette per ben quarant'anni; finché nel 1755, colpito da un fulmine, non fu completamente diroccato.

Ma più drammatica è la storia del faro di Dhoriol che voglio, miei piccoli lettori, narrarvi oggi.


* * *


L'erezione della lanterna di Dhoriol aveva incontrato difficoltà pari, se non peggiori di quella di Plymouth.

Essa sorgeva all'estremità d'una scogliera, sulle coste del Portogallo, e doveva guidare le navi all'entrata del Tago, il fiume più importante del Regno, sulle cui rive trovasi la bella e opulenta Lisbona.

Quindici anni erano stati impiegati nella sua costruzione, terminata solamente nel 1877.

Essa sorgeva in forma di torre, all'estremità di una rupe che le onde dell'Atlantico percuotevano con furore incredibile e quasi senza posa.

Più che una torre era una colonna immensa, formata di massi enormi, cementati con traverse di ferro e con ramponi d'una robustezza eccezionale.

Intorno vi avevano legato una catena gigantesca di ferro battuto rovente, affinché nel raffreddarsi si stringesse meglio alle pietre.

Sulla cima, ad un'altezza di trenta metri erano stati costruiti gli alloggi pel guardiano e la sua famiglia: quattro minuscole stanzette appena sufficienti a contenere un letto e qualche altro mobile indispensabile. Più in alto sorgeva la lanterna, la cui fiamma doveva essere veduta dai naviganti a grandissima distanza.

Terminata la costruzione, dopo spese enormi e fatiche immense, fu affidato il servizio della lanterna ad un vecchio marinaro della flotta portoghese; ma quindici giorni dopo quell'uomo faceva ritorno a Lisbona, dicendo che gli mancava il coraggio di rimanere là solo, e che non aveva in quelle due settimane quasi mai dormito.

Egli assicurava di aver sentito più volte la torre ondulare sotto l'assalto delle onde, e perciò non voleva esporsi al pericolo di farsi seppellire vivo sotto le macerie o di venire trascinato nell'oceano.

Fu offerto il posto a parecchi piloti e non se ne trovò neppur uno, che avesse il coraggio di accettare.

Già il governo disperava di poter trovare un fanalista tanto coraggioso, quando un giorno si presentò un uomo, offrendosi di diventare il guardiano di quel faro pericoloso.

Era costui un mastro della flotta, Giovanni Magael, un bell'uomo sui quarant'anni, ammogliato con una vezzosa andalusa, figlia di pescatori.

Accettata la sua offerta, Magael partì pel faro di Dhoriol, su una torpediniera dello Stato, conducendo con sé la moglie e il fratello di costei, un robusto giovane di ventidue o ventiquattro anni, che aveva già molto navigato.

Essendo l'oceano in bonaccia – un caso abbastanza raro in quei paraggi cosparsi di scogliere orrende, tagliate a picco, e di banchi di sabbia, sui quali si vedevano ancora le carene di vecchie navi colà naufragate – il fanalista, sua moglie e il cognato presero tranquillamente possesso della torre, punto spaventati della vita di Robinson che dovevano condurre.

Disposero con un certo gusto i mobili che avevano portati, misero al sicuro i viveri sbarcati dalla torpediniera e che non dovevano venire rinnovati che una volta al mese e la sera stessa cominciarono il servizio notturno.

Per parecchi giorni tutto andò benissimo. La signora Magael preparava i pasti e si occupava della pulizia; il marito od il fratello di giorno cacciavano fra le scogliere gli uccelli marini, che erano molto numerosi in quei paraggi e che servivano a variare la minuta del desinare o della cena.

Venne però ben presto la cattiva stagione. L'autunno s'avanzava rapido, le belle giornate si guastavano e l'oceano ingrossava quasi ogni notte sotto i venti dell'ovest, avventando formidabili ondate contro il faro.

Una notte, mentre infuriava nell'Atlantico una tempesta orribile, e che Giovanni e suo cognato Enrico vegliavano presso la lanterna, temendo che le onde, che talvolta si slanciavano fino sulla cupoletta della torre, la spegnessero, sentirono un leggero ondeggiamento.

Giovanni, credendo dapprima che fosse il fragore delle onde che gli producessero quell'effetto, non vi fece caso; ma pochi minuti dopo vide il cognato balzare bruscamente in piedi, col terrore negli occhi e pallidissimo.

– Giovanni, – gli chiese: – hai sentito?

– Una leggera ondulazione? – chiese il mastro, che erasi pure fatto livido.

– Sì, la torre oscilla sotto l'urto delle onde.

– Va' ad avvertire Carmen.

– Che questa notte l'oceano porti via il faro?

Magael aveva ragione quando affermava che la torre, durante il temporale, oscillava.

Mentre Enrico scendeva a svegliare la sorella, Giovanni, molto turbato, aveva sporto il capo fra le colonnine per osservare l'oceano.

Era una notte orribile. L'Oceano Atlantico, tutto nero, muggiva spaventosamente e sui suoi cavalloni non si scorgeva alcun punto luminoso, che indicasse la presenza di qualche nave.

Onde immense balzavano sulla scogliera e salivano fino alle finestre dell'alloggio, avventando nembi di spuma fino sulla cupola della lanterna.

– Si direbbe che io abbia paura e che una terribile disgrazia ci stia vicina – mormorò il mastro.

Vedendo salire Carmen assieme al fratello, cercò di mostrarsi tranquillo per non spaventarli di più.

– Giovanni, – disse la donna, – è impossibile dormire questa notte. Il rombo delle onde si propaga entro la torre con tale violenza da svegliare anche un morto, ed ho sentito le pareti tremare a più riprese. Che la lanterna si sfasci?

– Non vi è pericolo – rispose il marito, forzandosi di sorridere. – I massi sono legati dalla catena e le fondamenta della torre profondissime posano sullo scoglio. Ti ho fatto salire perché, rimanendo sola, potevi spaventarti delle scosse che subisce la torre e non già per paura che io tema una catastrofe.

La fece sedere presso la lanterna, le riparò le spalle con una grossa coperta per proteggerla dagli spruzzi di spuma e si mise in vedetta sul balconcino esterno, assieme al cognato.

Sotto, l'oceano muggiva sempre più tremendamente. Pareva che quella notte volesse spazzar via la scogliera, che da tanti secoli faceva ostacolo alle sue rabbie, ed insieme con quella la torre.

Giovanni affettava sempre di mostrarsi calmo.

Enrico, più giovane, invece, provava già quelle strane allucinazioni a cui vanno sovente soggetti i guardiani dei fari; forse in causa della continuità dell'attenzione, della solitudine, della lunga reclusione e anche del continuo rumoreggiare del mare.

Al pari degli altri, gli pareva ad ogni istante che la torre s'affondasse bruscamente nella scogliera, di sentirsi trascinare via dalle onde, e di vedere anche scorrere sui neri flutti dell'oceano delle navi fantastiche e di scorgere in lontananza il fuoco di altri fari.

Si trovavano colà da qualche ora quando parve loro che la torre ondeggiasse nuovamente e con maggior violenza di prima.

– Giovanni – esclamò Enrico con accento spaventato.

– Zitto, non gridare così – rispose il guardiano. – Non svegliare Carmen.

– La torre oscilla ancora. La senti?

– Sì, ondeggia.

– Cadrà?

– Non ne so nulla, ma posso dirti che comincio ad aver paura. E non si vede alcuna nave!

– A che servirebbe? Con queste onde nessuno oserebbe accorrere in nostro aiuto.

In quel momento, dopo l'assalto di una montagna d'acqua che aveva lanciato la sua spuma fino addosso ai due uomini, udirono un fracasso metallico, come se delle masse di ferro fossero cadute sulla scogliera.

Enrico non aveva saputo frenare un urlo di terrore:

– La catena si è spezzata!

Carmen, svegliata bruscamente da quel grido, si era slanciata verso i due uomini e aveva dovuto appoggiarsi alla parete, tanta era forte l'oscillazione del faro che le onde non cessavano di percuotere.

– Mio Dio! – esclamò Giovanni.

Il guardiano aveva sorretto la moglie. Era livido come un morto e guardava, con gli occhi smarriti, le creste delle onde che apparivano dinanzi al balconcino.

– Rifugiamoci più sotto, nei magazzini o sotto ancora – disse con voce spezzata.

– Crolla la torre? – chiese la donna.

– È la catena che se n'è andata.

– Notte terribile!

– Non spaventarti, Carmen – disse. – Forse abbiamo torto di sgomentarci. I massi sono enormi e agganciati fortemente.

La prudenza li consigliava ad abbandonare quel posto. La cupola, da un momento all'altro, poteva venire portata via dai cavalloni.

Regolarono i lucignoli della lanterna affinché non si spegnessero, poi scesero nel piano inferiore. Una scaletta conduceva nei magazzini, i quali si trovavano a quindici metri d'altezza ed erano cinti da una robusta gabbia di ferro.

Colà si trovavano i barili d'olio per la lanterna ed i viveri.

Sedettero in mezzo ai barili, muti, pallidi, ascoltando con terrore i cupi muggiti delle onde. Le pareti della torre continuavano a tremare e pareva che da un momento all'altro dovessero aprirsi.

Giovanni teneva stretta la moglie come se avesse voluto proteggerla contro la rabbia dei cavalloni, mentre Enrico si teneva aggrappato alla gabbia di ferro.

Erano trascorsi pochi minuti da che si trovavano rifugiati in quel luogo, quando udirono le pietre precipitare sulla scala.

Carmen aveva mandato un grido d'angoscia.

– Giovanni! La cupola della lanterna rovina!

Nel medesimo istante sul lontano oceano udirono alcuni colpi di cannone.

Dovevano essere stati sparati da qualche nave pericolante.

Il mastro, conscio del proprio dovere, si era staccato da sua moglie, gridando:

– Enrico, alla lanterna! Se si spegne, quella nave è perduta!

Carmen aveva cercato di trattenerlo, ma il valoroso l'aveva respinta con dolce violenza, dicendo:

– Il mio dovere innanzi tutto! Il governo me l'ha affidata per la sicurezza dei naviganti e mi parrebbe di commettere un tradimento esecrando.

– La torre crolla, Giovanni!

– Mi metto nelle mani di Dio.

E risalì la gradinata, sordo alle chiamate disperate della moglie, seguìto subito dal cognato, che voleva dividere con quel prode i pericoli.

I mattoni continuavano a cadere dall'alto e i due guardiani avevano un gran da fare per evitarli.

Le onde che avevano raggiunto un'altezza spaventevole, avevano cominciato la loro opera di distruzione.

La cupoletta era stata diroccata e anche la balaustrata di pietra aveva ceduto all'assalto incessante e furioso dell'oceano.

La lanterna, però, non era ancora stata danneggiata e fiammeggiava fra le tenebre, additando ai poveri naviganti il pericolo.

Giovanni Magael aveva lanciato uno sguardo sul tempestoso oceano.

Una nave, che pareva molto grossa e che la tempesta spingeva verso le coste del Portogallo, era comparsa alla luce d'un lampo.

Se la lanterna si fosse in quel momento spenta, non avrebbe certo potuto accorgersi, con quell'oscurità, della presenza di quelle temute scogliere e vi si sarebbe infallibilmente sfracellata contro.

Magael, aiutato dal cognato, rialzò i lucignoli onde la luce si potesse scorgere più facilmente dai naviganti, ma le onde, a volta a volta, coprivano i vetri, intercettando ogni chiarore.

In preda ad un'ansietà, facilmente immaginabile, Giovanni Magael, non badando alla propria vita, seguiva attentamente le manovre della nave, temendo che corresse addosso alla scogliera.

Ed intanto, la morte lo minacciava da tutte le parti. Le onde demolivano pezzo per pezzo la torre, strappando ora una pietra ed ora un arpione od un'asta di ferro. Solo la lanterna, essendo situata nel mezzo, resisteva ancora.

Finalmente vide i due punti luminosi della nave scomparire verso il sud.

– Enrico – disse. – La nave è entrata nel Tago e non corre più alcun pericolo. Pensiamo ora alla nostra salvezza, se ne avremo il tempo.

Scesero a precipizio la scala per rifugiarsi nei magazzini.

Vi erano appena giunti, quando udirono un fracasso orrendo.

Le pareti della torre, già minate da tanti urti, avevano ceduto all'impeto delle onde, e tutta la parte superiore del faro era stata demolita come se fosse stata di carta pesta.

Per un caso inaudito, però, i massi, invece di cadere verticalmente e schiacciare i due guardiani e Carmen, spinti dai cavalloni, erano caduti per modo da precipitare sulla scogliera. Tutti avevano mandato un urlo orribile, credendo che fosse giunta la loro ultima ora, e tre grida erano echeggiate tra il fragore delle onde:

– Giovanni!

– Carmen!

– Enrico!

Come si trovavano ancora riuniti e per di più incolumi? Nessuno di loro lo seppe mai dire. La torre di Dhoriol si era sfasciata proprio all'altezza dei magazzini, là dove gl'ingegneri avevano fatta costruire la gabbia di ferro per dare alle pareti una maggior consistenza.

Probabilmente senza quella gabbia la signora Carmen e i due guardiani sarebbero stati subito spazzati via dalle onde, le quali ormai percuotevano liberamente le sbarre di ferro, passandovi attraverso.

Giovanni Magael, che non aveva perduto completamente la testa, aveva afferrato la moglie e si era rincantucciato in un angolo fra i barili e le ferramenta, per poter meglio resistere ai colpi di mare. Enrico lo aveva imitato.

Tutta la notte quei disgraziati rimasero esposti alla rabbia dell'oceano. Le onde, a volta a volta, li coprivano, minacciando di soffocarli e portavano via viveri e barili che fracassavano prima contro le sbarre della gabbia.

L'avanzo della torre fortunatamente opponeva ancora una resistenza incredibile, quantunque, di quando in quando, qualche masso o qualche arpione venissero portati via.

Il domani si trovarono ancora riuniti e ancora vivi. Le traverse della gabbia erano state qua e là piegate, eppure non avevano ceduto.

L'oceano s'era pure calmato, ma i due guardiani e Carmen si trovavano prigionieri, essendo stata demolita la scala esterna che metteva sulla scogliera.

– Dio ci ha protetti! – aveva detto Giovanni Magael, quando vide riapparire l'alba e scorse l'oceano più tranquillo. – Attendiamo fiduciosi che qualcuno venga a trarci da questa situazione.

E quella situazione non era certo molto lieta per quei disgraziati, che avevano perduto ogni cosa e che potevano trovarsi alle prese con la fame.

Le onde avevano frantumato tutte le casse e nel magazzino non rimaneva più nulla, nemmeno una briciola di pane e nemmeno un sorso di acqua.

Fortunatamente alcuni pescatori della costa, non scorgendo più la cima del faro ergersi all'estremità della scogliera e temendo qualche disgrazia, ne avevano dato avviso alle autorità portoghesi.

Prima che il sole tramontasse, una torpediniera dello Stato, approfittando d'un po' di calma dell'oceano, venne spedita allo scoglio di Dhoriol, per informarsi di ciò che era accaduto dei due guardiani e della coraggiosa donna. Giovanni Magael, suo cognato e la moglie erano ancora là, entro la gabbia, sulla torre demolita.

Furono tratti dalla loro prigione e condotti a Lisbona.

L'eroico coraggio del mastro non andò perduto. La nave che aveva salvato da un certo naufragio era un incrociatore dello Stato.

Il Ministro della marina, per compensarlo, lo ha nominato capo sorvegliante d'uno dei cantieri governativi e lo ha decorato d'una medaglia d'oro.

In quanto al faro, fu completamente abbandonato e fu una fortuna: due mesi dopo un'altra tempesta spazzava via quanto ne era rimasto.