I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Il naufragio dell'Hansa

Il naufragio dell'Hansa

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La pantera nera La pioggia di fuoco

IL NAUFRAGIO DELL'HANSA


Il buon La Fontaine parla, in una delle sue favole, della città strana di «sorciopoli», ossia della città dei sorci.

Giammai la geografia ha registrato una tale città, eppure «sorciopoli» è dovunque, dove v'è una città, e devo aggiungere anche che la si trova nascosta negli angoli più oscuri delle navi, che solcano gli oceani.

Città misteriosa e singolare, scavata e fabbricata nel sottosuolo, le cui strade sono delle fogne e che non ha altro cielo che l'immensa volta di muratura e l'interminabile distesa dei selciati, sui quali si muovono e vivono gli abitanti dell'alto.

E per quanto siano numerosi gli abitanti dell'alto giammai giungeranno alla cifra spaventosa degli abitanti del basso – razza infernale che cresce e si moltiplica all'infinito, prospera ancora e sempre, e forma come un interminabile nastro nero nei sotterranei da essa conquistati.

Questi conquistatori hanno le loro leggi che, in realtà, si riassumono in una sola: rodere e divorare, minare tutto e dovunque con un accanimento tale che codesta miriade di piccoli corpi vellutati e vischiosi, armati di denti sempre all'opera, finisce per costituire un pericolo pubblico.

È perciò che, di quando in quando, in certe città, bisogna organizzare contro di essi, come si fa per le bestie feroci dei boschi, delle cacce che non si possono condurre a buon fine senza l'aiuto dei cani più specialmente adatti a questo genere di battaglie.

Sono lotte serie, terribili, nelle quali il sangue scorre abbondante d'ambo le parti, ma in cui i cani a ciò addestrati hanno sempre la vittoria.

È soprattutto nelle immense fogne di Londra, di Parigi e di New-York, che si dànno delle battute epiche a quei formidabili roditori, per impedire loro di propagarsi in proporzioni allarmanti.

Si chiudono a tale uopo le uscite principali di quelle cloache tenebrose, poi, dalle estremità opposte, si comincia la battuta da uomini armati di solidi randelli e accompagnati da feroci mastini.

I topi fuggono, finché non trovano preclusa la via. Quando non hanno più scampo, vengono sciolti i cani, i quali fanno degli orribili macelli con molto piacere di certi industriali, che acquistano le pelli dei vinti per fabbricare... dei guanti.

Da quali paesi sono giunti quegli animaletti? Veramente non si sa, quantunque certi scienziati ritengano che abbiano invaso l'Europa, seguendo le orde di quei formidabili barbari, che distrussero la potenza romana.

Ed infatti fu notato che ad ogni invasione di barbari corrispose sempre una nuova occupazione del sottosuolo. Vi è stato così il sorcio de' goti, il sorcio dei vandali, quello degli unni, il normanno e quello tartaro; si potrebbe, anzi, fare il conto delle orde di barbari che si sono sovrapposte, le une alle altre, sul nostro suolo, facendo il conto delle varietà di sorci che questo suolo ha successivamente nutrite.

I sorci sono stati in ogni tempo considerati dai popoli come terribili nemici; spesso come istrumenti d'una vendetta celeste. Infatti, secondo le sacre scritture, furono i sorci che cagionarono la perdita del sanguinario esercito di Senacheribbo, divorando durante la notte le corde degli archi e tutte le corregge degli scudi assiri.

Plinio, nella sua storia naturale, ci racconta la catastrofe d'intere città, distrutte da quei piccoli e formidabili roditori.

Se i sorci si sono straordinariamente moltiplicati nei sottosuoli delle città, non son diventati meno numerosi a bordo delle navi, dove si sono ormai perfettamente assuefatti al beccheggio ed al rollìo.

Una grossa, anzi enorme falange di quei roditori, si è data alla navigazione e ormai non vi è naviglio che non abbia un numeroso equipaggio di quei marinai a quattro gambe. D'altronde la sentina, la cala, le stive si prestano benissimo per servire d'asilo a quei mostriciattoli: che più?... Perfino le alberature servono d'asilo a quei roditori, trovando essi un abbondante alimento nel grasso delle carrucole.

Per lo più sono di razza norvegiana quelli che si sono dedicati alla navigazione. Sono più grossi di quelli comuni, meglio muniti di denti e anche più audaci.

Basta approdare in qualche porto della Svezia o della Norvegia per ripartire con un bel carico di quei passeggieri gratuiti; certe navi ne sono così piene, essendo quei sorci straordinariamente prolifici, da costituire un continuo pericolo pei poveri marinai.

Voglio ora narrarvi una terribile storia, autenticissima, per dimostrarvi quanto possano diventare feroci quei roditori, in certe circostanze, ossia del naufragio dell'Hansa, che mi fu raccontato da un vecchio marinaio mio amico.

Quel legno, un brigantino, era vecchissimo, tanto vecchio che i suoi armatori, temendo che non potesse più resistere al mare, ne avevano decretato già la demolizione. E non era solamente la sua troppa vecchiaia che li aveva decisi a disfarsene, bensì anche la straordinaria quantità di topi che si trovava a bordo e che rendeva l'esistenza insoffribile ai disgraziati marinai.

Ve n'erano dei battaglioni nella stiva che, di notte, salivano perfino in coperta, correndo fra le gambe degli uomini di guardia, spinti da una fame feroce.

Anche il quadro e la camera di prora erano così zeppe che bastava alzare un sacco od una vela per vederne uscire dozzine e dozzine.

Essendosi offerta l'occasione di fare un carico a buone condizioni per le Azzorre e d'imbarcare una famiglia di finlandesi, composta del padre, di tre figli ormai già grandi e d'una figlia che contava solamente tre anni, gli armatori decisero di far fare alla vecchia nave quell'ultimo viaggio.

Sul finire del settembre del 1891 l'Hansa, dunque, lasciava Bergen, avanzandosi lentamente verso l'Atlantico.

La famiglia finlandese era stata allogata nel casotto di poppa, dove erano state poste delle brande, non essendovi posto nel quadro. Essendo stato prima quel luogo occupato dalle provviste di bordo, i topi si mostravano di notte colà così numerosi da non permettere a quei poveri emigranti di dormire.

Appena calato il sole battaglioni di rosicchianti lo invadevano, senza preoccuparsi degli uomini di guardia, correndo all'impazzata, saltando sulle brande e minacciando di mangiare il naso e gli orecchi ai finlandesi. Quindi succedevano là dentro delle vere battaglie e non sempre i bastoni degli emigranti riuscivano ad aver ragione degli audaci invasori.

E poi, appena cacciati, tornavano più feroci che mai, obbligando gli inquilini ad una continua guardia, che impediva loro di chiudere gli occhi.

Invano si lamentarono col capitano, un ruvidaccio che aveva accettato a bordo quegli emigranti perché glieli avevano imposti i suoi armatori e che egli considerava come impicci.

– Non so che cosa farvi – aveva risposto alzando le spalle. – Sbrigatevela come potete.

L'Hansa aveva già lasciato alle sue spalle anche le coste dell'Inghilterra e scendeva verso quelle spagnole, quando un brutto giorno s'aprì, nella vecchia e tarlata carena, una via d'acqua.

Pericolo immediato non vi era, perché la nave aveva un carico completo di doghe da botti, quindi era impossibile che affondasse.

Tuttavia l'equipaggio correva il pericolo d'immobilizzarsi in mezzo all'oceano sino all'incontro, molto problematico, d'una nave, essendosi tenuta l'Hansa lontana dalle linee di navigazione per meglio approfittare dei venti del nord-est.

Fu posto mano alle due pompe e dopo qualche ora i marinai dovettero constatare che l'acqua che entrava dalla falla era di molto superiore a quella che rigettavano le manichelle.

La nave a poco a poco si zavorrava e riempiendosi scacciava i topi dalla profondità della stiva, ed era quello il pericolo maggiore che corresse l'equipaggio.

Un assalto furioso di quei roditori era da prevedersi da un momento all'altro.

Il capitano, temendo di dover cedere il posto alle falangi degli invasori, fece portare una certa quantità di viveri sulle coffe, poi chiudere ermeticamente le porte della dispensa.

Il temuto assalto dei roditori cominciò verso il tramonto, quando la nave calò d'un paio di metri.

I topi, spaventati dall'invasione delle acque, si erano rovesciati a battaglioni sulla coperta impegnando coi marinai, che si erano armati di randelli e di manovelle, una lotta disperata.

Fu una vera battaglia. I topi cadevano a centinaia, ma altri topi uscivano dai boccaporti, dal quadro e dalla camera di prora, costringendo i marinai a retrocedere verso gli alberi.

I finlandesi, dopo d'averne massacrati moltissimi, furono i primi a rifugiarsi sull'albero di trinchetto, temendo per la piccina.

I marinai, vistisi finalmente impotenti, non avevano tardato ad imitarli, mettendosi al sicuro sulle griselle e sulla coffa dell'albero maestro.

Allora si vide uno spettacolo assolutamente straordinario. Tutta la coperta della nave formicolava di topi, per la maggior parte grossi, con le lunghe code ed i baffi grigi. Saltellavano come se fossero diventati pazzi e si accanivano specialmente contro le porte della dispensa, tentando di aprirsi, coi loro denti acutissimi, un varco. L'odore dei prosciutti salati e della carne li eccitava all'ultimo grado.

Alcuni, invece, davano arditamente la scalata alle alberature, inerpicandosi su pei paterazzi e le griselle per affondare i loro denti nelle gambe dei marinai.

Delle furiose scariche di legnate li rigettavano però mezzi accoppati in coperta, dove i loro congeneri s'affrettavano a divorarli.

Specialmente l'albero di trinchetto, sulla cui coffa si trovavano i finlandesi, era preso di mira da quelle bande affamate. Minie, la sorellina dei tre maschi, eccitava senza dubbio le loro brame, ma i tre garzoni, che erano robusti ed il loro padre, facevano fronte a quei reiterati attacchi, fracassando le costole a quanti tentavano di raggiungere l'aereo rifugio.

– Picchiate! Picchiate! – gridava senza posa il padre, che tremava per la piccina.

E le legnate grandinavano fitte sulle griselle, sulle sartie e sui paterazzi, rovesciando quei minuscoli, eppur pericolosi invasori.

Fortunatamente la nave, quantunque fosse piena d'acqua, galleggiava sempre. Le doghe, che formavano il suo carico, le impedivano di affondare e quella era una vera grazia.

Verso la mezzanotte i topi finalmente cessarono l'assalto all'alberatura, permettendo ai difensori di riposarsi un po'. I finlandesi, che non ne potevano più, furono i primi a dormire dopo essersi legati all'albero per non cadere giù dalla coffa, essendovi appena il posto sufficiente per stare lassù.

Quando si risvegliarono una brutta sorpresa li aspettava. La coffa dell'albero maestro era stata abbandonata dall'equipaggio!

Il capitano, approfittando dell'oscurità, ed i suoi uomini si erano imbarcati sull'unica scialuppa che vi era a bordo, ed avevano abbandonato vilmente i poveri finlandesi.

– Siamo perduti! – aveva esclamato il maggiore dei figli. – Padre, non ci resta che morire.

– Non perdetevi d'animo – rispose il vecchio. – Aspettiamo che qualche nave venga a raccoglierci. Il mare è ampio, questo è vero, ma anche i vascelli che lo percorrono sono numerosi. Confidiamo nella Provvidenza.

– E questi topi non finiranno per divorarci, padre? Non trovando più nulla da divorare, si getteranno su di noi.

– Per ora non credo – rispose il vecchio. – Li vedo accanirsi contro la dispensa ed i loro denti finiranno per aver ragione. Se riescono a entrarvi, per qualche giorno non si occuperanno di noi.

Era vero. Quella moltitudine di topi si era gettata verso il casotto, che serviva da magazzino di viveri, e migliaia e migliaia di denti rosicchiavano con furore le tavole di pino per aprire dei fori.

La fame doveva averli resi furiosi e l'odore dei prosciutti e della carne salata doveva eccitarli sempre.

Le previsioni del vecchio finlandese non tardarono ad avverarsi. Dopo un paio d'ore le tavole, rosicchiate in vari punti, cominciarono a cedere e le prime falangi si gettarono entro la dispensa. Siccome tutti non potevano entrare, s'impegnò una zuffa furibonda intorno al casotto.

Gli ultimi saltavano sopra i primi, mordendo ferocemente quelli che stavano sotto, sicché in pochi minuti una vera montagna di roditori coprì alla lettera il casotto.

Tutto il giorno la zuffa continuò con grande divertimento dei naufraghi, i quali vedevano scemare notevolmente il numero dei loro nemici, perché molti soccombevano in quella lotta disperata.

Il domani i topi gonfi da scoppiare, essendo riusciti ad aprire nuove aperture, sonnecchiavano a gruppi sulla tolda della nave. Nel casotto non doveva ormai essere più rimasto né un prosciutto, né un pezzetto di carne, né una patata, né un biscotto. Tutto doveva essere stato distrutto da quei formidabili roditori.

Intanto la nave, spinta da una fresca brezza, se ne andava lentamente alla deriva, dondolandosi leggermente. L'acqua rodeva i margini della tolda ed entrava liberamente sul ponte, attraverso i fori degli ombrinali, ma la massa galleggiava sempre e non v'era alcun pericolo che affondasse.

Per due giorni i topi si mantennero tranquilli; al terzo la fame si risvegliò e cominciarono ad agitarsi e correre lungo le murate coll'evidente intenzione di tentare la scalata dell'albero di trinchetto.

Vuotata la dispensa, miravano a banchettare con le carni dei naufraghi.

– Padre – disse il figlio maggiore, guardando la sorellina. – Ecco il momento terribile. Riusciremo noi a respingere l'assalto?

– Quanti viveri ci rimangono ancora? – chiese il vecchio.

– Non abbiamo che due bottiglie d'acqua, un paio di chilogrammi di biscotti ed un mezzo prosciutto.

– Ciò basterà per resistere tre o quattro giorni.

– E non pensi all'assalto dei topi?

Il vecchio non rispose. Pareva che meditasse profondamente.

– Si potrebbe tentare – disse ad un tratto fissando i figli che lo guardavano con ansietà. – L'albero resisterà egualmente e la difesa ci sarà più facile.

– Che cosa vuoi dire, padre? – chiese il primogenito.

– Che è necessario d'impedire ai topi d'assalirci da tutte le parti ad un tempo.

– E come?

– Tagliando le griselle, le sartie ed i paterazzi. Se vorranno salire fino a noi, dovranno inerpicarsi su per l'albero e ci riuscirà facile respingerli. Aiutatemi, figli, e non perdiamo tempo.

I primi topi s'arrampicavano già su per le funi, sospinti dagli altri che venivano dietro. I paterazzi, le griselle e le sartie erano ormai coperte da quei famelici mostriciattoli.

Avendo i naufraghi i loro larghi coltelli finlandesi, che non avevano mai abbandonati, si misero subito all'opera.

Le funi, rapidamente recise, cadevano ad una ad una, facendo precipitare sul ponte una vera pioggia di rosicchianti, i quali venivano tosto divorati dai compagni, senza misericordia.

L'assalto tanto temuto fu arrestato per alcuni minuti, poi i topi, che la fame rendeva ad ogni istante più furibondi, si slanciarono verso l'albero, cominciando a salire.

I tre figli del finlandese, strappati alcuni boscelli, si misero al di sotto del pennone di gabbia e di là cominciarono la lotta, massacrando le prime falangi. I topi, nondimeno, non cessavano di salire e riempivano subito i vuoti. Ve n'erano ancora tanti da mettere a ben dura prova la resistenza dei tre garzoni.

L'albero grondava sangue e gli assalitori cadevano a gruppi, pesti o schiacciati alla lettera, dai pesanti boscelli, maneggiati poderosamente dai difensori.

Per due ore la lotta continuò senza tregua, finalmente i roditori, comprendendo l'inutilità dell'assalto, si decisero di lasciarli in pace.

– Era tempo che la smettessero – disse il primogenito. – Non ne potevamo più.

L'assalto non fu ripetuto; d'altronde i topi non erano più affamati, avendo divorato un gran numero dei loro compagni schiacciati dai boscelli, sicché gli assediati poterono riposarsi e fare colazione.

Anche quella giornata trascorse senza che alcuna vela comparisse all'orizzonte. Fortunatamente l'oceano si manteneva tranquillo e la nave, quantunque piena d'acqua, galleggiava sempre.

Sul far della sera però il vecchio finlandese segnalò una nube coi margini assai neri, che si era levata verso il sud.

– Quella verrà a guastare il tempo – disse ai figli, scuotendo il capo. – Miei poveri ragazzi, non so come la finiremo noi.

– Resisterà l'albero? – si chiesero tutti.

– Speriamolo. Lasciate cadere tutte le vele, onde non oppongano resistenza al trinchetto.

I tre garzoni furono lesti a obbedire, tagliando i sostegni della gabbia, del parrocchetto e dei pappafichi, indi attesero con un'apprensione facile ad immaginarsi, che l'uragano si scatenasse.

Fu verso le dieci che cominciò ad alzarsi un vento violentissimo che scosse subito la calma che regnava sull'oceano.

Delle grosse ondate si formavano, scuotendo violentemente la nave. Se era un male era per altro anche un bene, perché quelle montagne d'acqua, rovesciandosi sulla coperta del legno, spazzavano via battaglioni di roditori, annegandoli miseramente.

Tutta la notte i finlandesi vegliarono per paura di precipitare in coperta e quando l'alba sorse videro l'albero maestro coperto di roditori. I furbi si erano messi in salvo al pari degli uomini, ma un gran numero di loro, anzi i più, erano stati spazzati via.

L'uragano non si era calmato, anzi minacciava di diventare più violento. Tuonava fortemente e masse di vapori nerissimi correvano pel cielo, come cavalli sbrigliati.

Il brigantino, sollevato dai cavalloni, scricchiolava sinistramente come se dovesse da un momento all'altro aprirsi, poi affondava pesantemente e allora tutta la coperta scompariva sotto quei colpi di mare.

La situazione dei poveri finlandesi diventava sempre più critica e maggiormente lo divenne quando videro i topi slanciarsi sulle funi degli stragli e raggiungere le crocette dell'albero di trinchetto.

Nessuno aveva pensato a tagliare quelle funi, non immaginandosi che quei maledetti roditori pensassero ad assalirli dall'alto.

– All'armi! I topi! – aveva gridato il vecchio prendendosi fra le braccia la piccina. – Su, ragazzi. Calano su di noi.

I mostriciattoli che avevano già compiuto in buon numero quell'audace manovra, scendevano lungo l'albero e altri, incoraggiati dall'esempio, sgombravano frettolosamente il maestro per invadere quello di trinchetto.

I tre giovani avevano raccolti i boscelli, nondimeno si trovavano a mal partito, correndo il pericolo, con quelle scosse incessanti, di cadere giù dalla coffa e di sfracellarsi in coperta.

Già la lotta era cominciata, quando il vecchio mandò un grido:

– Una nave! Una nave!

Infatti una vela era comparsa e pareva che si dirigesse verso il brigantino.

– Coraggio, ragazzi! – urlò il vecchio. – Vengono in nostro aiuto!

I tre robusti garzoni non risparmiavano i colpi. Picchiavano disperatamente, tentando di respingere gli affamati, i quali spiccavano dei lunghi salti cercando di gettarsi sulla piccina, che il vecchio teneva stretta fra le braccia.

Intanto la nave ingrandiva a vista d'occhio. Quantunque l'oceano fosse sempre burrascoso, s'avvicinava all'Hansa, correndo bordate.

I suoi ufficiali dovevano essersi accorti che v'erano delle persone da salvare e che il brigantino stava per affondare.

Intanto i tre garzoni lottavano furiosamente contro i topi, i quali, quasi si fossero accorti che la preda stava loro per isfuggire, raddoppiavano gli sforzi.

Ad un tratto udirono un urlo terribile, seguito da un grido straziante. Si voltarono ed ebbero appena il tempo di vedere il povero vecchio e la piccina cadere dalla coffa e sfracellarsi sul ponte della nave.

Lo credereste? Tutta quell'orda famelica di rosicchianti, vedendo precipitare quelle due prede, si lasciò cadere giù.

I tre garzoni, pazzi di dolore, si erano lasciati scivolare lungo l'albero con la speranza di ritrovare ancora vivi il padre e la piccina.

Quando toccarono il ponte, un orribile spettacolo s'offerse ai loro sguardi. Il vecchio e la piccina erano coperti da una moltitudine di topi, che li divoravano ferocemente.

Le legnate, i calci, non riuscirono ad allontanarli. Fortunatamente la nave che accorreva in loro aiuto aveva messo in mare una grossa scialuppa, montata da sedici marinai, e non ostante le ondate, era riuscita ad abbordare il brigantino.

Ahimè! Giungevano troppo tardi! Quando i roditori furono massacrati, del povero vecchio e della piccina non rimanevano che due scheletri.

I marinai dovettero impiegare la forza per strappare quei tre poveri giovani dai miserandi avanzi e fecero appena a tempo, giacché l'Hansa cominciava a sfasciarsi sotto l'incessante assalto delle ondate.

La nave che li aveva salvati era una fregata da guerra spagnola che si recava appunto alle Azzorre.

I tre giovani furono ricevuti cordialmente dal comandante e condotti a destinazione. I due scheletri invece affondarono con la nave assieme coi feroci roditori.