I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/I pescatori di merluzzi

I pescatori di merluzzi

../Negli abissi dell'oceano ../Il naufragio della Dordogna IncludiIntestazione 10 marzo 2018 75% Da definire

Negli abissi dell'oceano Il naufragio della Dordogna

I PESCATORI DI MERLUZZI


Tutti gli anni dai porti della Bretagna e della Normandia, da quelli più piccoli che non sono accessibili ai grandi legni, si radunano delle flottiglie di barche da pesca per attraversare in compagnia l'Oceano Atlantico e recarsi ai banchi di Terranuova, dove i merluzzi abbondano straordinariamente, più che le sardine da noi e le aringhe nel mare del Nord.

Partono lo stesso giorno e tornano pure in patria insieme, se pur tornano tutte.

Il dì prima della partenza, una commozione indicibile regna in tutte le borgate marinaresche delle coste settentrionali della Francia.

La mattina i marinari, indossati i loro vestiti da festa e seguìti dalle loro donne e dai loro fanciulli, si raccolgono nella piccola chiesa della borgata dove un delegato del vescovo li assolve dai peccati ed invoca sopra di loro l'ausilio della Vergine: Ave Maris Stella.

È una delle scene più commoventi, una di quelle scene che strappano lagrime e che rimangono lungamente scolpite nel cuore anche dei non credenti.

Ma il più doloroso è il momento della partenza.

Tutta la folla si stringe intorno a quei poveri marinari, che, per guadagnarsi un tozzo di pane, vanno attraverso l'Atlantico a sfidare sui banchi della lontana Terranuova, le nebbie, i ghiacci galleggianti, le bufere tremende.

Sono tutti là, sulla riva, i robusti giovani della terra di granito; sono là tutte le graziose giovani della vecchia Armorica, e sono pur là i vecchi pescatori trattenuti a terra dall'età e dai dolori; tutte le nonne sono là, raggrinzite, con la testa barcollante e le accorte massaie che allattano l'ultimo nato.

Si contano i sorrisi, ma non si contano le lagrime, tanto sono numerose le palpebre che trattengono, sotto la frangia delle loro ciglia, quelle perle formate dai patimenti umani.

Dove si trovano quei sorrisi? Sulle labbra fresche delle ragazze distratte per natura, ridenti per temperamento di fanciulle, il cui cuore è poco sensibile o non ha ancora palpitato alle dolci promesse degli sponsali.

Dove si troverebbero? Sul viso fiero e alquanto sdegnoso dei giovani che amano anzitutto il loro ruvido mestiere, non vedono che l'oceano, non pensano e non vogliono che lui, e sono sempre pronti ad affermare il famoso motto dei vecchi lupi di mare:

«Sempre con lui; disopra e disotto».

Quelle lagrime si vedono, invece, brillare sotto le ciglia brune o bianche delle fidanzate d'ieri, che aspettano la fine della campagna di pesca per consacrare le loro anime o per piangere il promesso sposo che non vedranno ritornare e che l'oceano non restituirà più mai.

Si vedono sul volto delle massaie, le quali sanno che il marito può ritornare, ma che anche può lasciarle cariche di famiglia, di debiti, addolorate e povere.

Si vedono più brillanti, più grosse, non trattenute, scivolanti tra le rughe delle nonne, che si sentono molto vecchie e temono di non essere più vive quando l'autunno ritornerà. Si scorgono sulla faccia pallida e sofferente delle vedove dei pescatori, morti sul mare, che vanno a benedire il figlio maggiore, che parte per regioni da cui suo padre non è più tornato.

E come piangono quelle vedove! Esse sanno per esperienza quali pericoli vanno ad affrontare quelli che fra un istante l'onda spingerà lontani dalle patrie rive.

Ma quali pericoli vanno a sfidare dunque quei baldi pescatori?

Sono infiniti! Un colpo di vento che rovesci la piccola imbarcazione, quando saranno sui banchi a raccogliere i merluzzi appesi alle lunghissime lenze; un colpo di mare che spazzi la coperta e li porti via tutti o quasi tutti; un piroscafo che nella nebbia tagli in due la loro barca da pesca; una tempesta che li getti sulla costa dove la nave si fracassa; una montagna di ghiaccio, trascinata dalla corrente del Gulf-Stream, che si rovesci su di loro e che li schiacci; lo smarrimento delle notti oscure sul mare tempestoso; i traditori scogli a fior d'acqua; i bruschi incontri con gli scogli emergenti; gli orrori dell'agonia su una fragile trave; le privazioni di tutto, su un isolotto deserto, e la speranza senza tregua perduta nel naufrago, che vede passare una vela sull'orizzonte!

Come sono diversi e come sono svariati quei pericoli! E come tutti tendono allo stesso scopo: la morte del povero pescatore!

Basta solo aprire gli Annali marittimi per trovare disastri uno più commovente dell'altro.

Ieri, oggi, domani, ogni giorno ha il suo tratto nero, e si è appena commossi da un sinistro che un altro viene a farlo dimenticare.

Quando i pescatori tornano, che festa allora! Appena uno di quei piccoli bastimenti è segnalato in un porto normanno o bretone, tutta la popolazione è sottosopra e trae allegramente al molo. Le cuffie bianche delle donne circondano i vecchi che, competenti, ascoltatissimi, fanno previsioni e commenti sul legno che s'avvicina.

Un'ombra d'ansietà si libra peraltro, fino all'ultimo istante, su tutta quella brava gente che attende il figlio, il marito, il fratello ed il fidanzato.

E torneranno poi tutti? Anche lo scorso anno la flottiglia di Terranuova ha avuto i suoi «morti sul mare». L'Ali Babà è stato gettato coi cadaveri dell'equipaggio sulle rocce di Miquelon; l'Azalea, la Fiona, la Tyrolienne, l'Espoir, la Belle Marie e l'Alphonse non sono più tornati in patria, e duecentocinquanta marinari sono scomparsi!

Povere donne! Povere madri! E poveri orfani! Eppure, a malgrado tanti disastri, tutti gli anni le flottiglie salpano, e salperanno sempre finché vi sarà un solo merluzzo attorno ai banchi di Terranuova.


* * *


La campagna di pesca era finita sul grande banco di Terranuova, e l'incrociatore francese, mandato dallo Stato per guidare e proteggere i pescatori durante la traversata dell'oceano, aveva già radunato buona parte della flottiglia per ricondurla in patria.

La stagione era stata abbastanza buona quell'anno, ed i merluzzi si erano mostrati sul banco così numerosi, che mai se n'erano veduti tanti da parecchie campagne.

Tutte le barche da pesca avevano le stive ricolme, ed i marinari cominciavano a fare i loro calcoli sul ricavato della vendita e sulla parte che spetterebbe loro.

Specialmente la Giuseppina, una grossa barca appartenente al porto di Fécamp, al comando del capitano Durlot, aveva fatto delle pesche miracolose, assicurando così all'equipaggio dei bei guadagni.

Il padrone, messo di buon umore da quel successo, aveva promesso ai suoi marinari che, se il tempo fosse propizio, avrebbe permesso, in attesa dell'arrivo delle altre barche, di pescare per conto loro.

Alzandosi il domani per tempo – doveva essere l'ultimo giorno che si fermavano al banco – aveva osservato con piacere che avrebbe potuto mantenere la parola, assicurando così ai suoi uomini un bel guadagno da aggiungere a quelli già fatti.

Il mare era tranquillo sul banco, ed il vento debole. Solamente verso il nord si mostravano a grande distanza quelle nebbie bianche come il latte, e densissime, chiamate poudrin dai marinari, e che sono il terrore dei poveri pescatori.

Soffiando però il vento dal sud, non vi era pericolo alcuno, almeno pel momento.

Chiamò i pescatori in coperta e disse loro:

– Chi vuol approfittare del permesso, non perda tempo. Tutti i merluzzi non sono partiti e potrete fare ancora una bella pesca col cui ricavato potrete regalare un bell'abito alle vostre mogli ed ai vostri figli. A te, Bauchet, che ti lagnavi della scarsità della mercede, e che sei carico di famiglia!

L'uomo così interpellato si era fatto innanzi, guardando le nebbie.

Era un pescatore robustissimo, cinquantenne, un vero figlio della terra del granito, che da trentacinque anni attraversava, ogni anno, l'Atlantico.

Era seguìto dal figlio, il suo primogenito, che aveva voluto accompagnarlo, a malgrado le lagrime della madre, per apprendere per tempo il «mestiere».

Non aveva che tredici anni, eppure, durante la campagna, si era condotto meglio di un mozzo già navigato, aiutando validamente il padre.

– C'è del poudrin all'orizzonte, che mi è sospetto – disse il pescatore.

– Non aver paura, Bauchet – disse il capitano. – Soffia vento buono dal sud e lo terrà lontano.

– Padre, – disse il ragazzo, – approfittiamo del permesso. Mio fratello Carlo aspetta da più anni un canotto e con un centinaio di lire potremo comprarlo. Quando lo avrà, aiuterà anche lui la famiglia durante la nostra assenza. Tu sai che è bravo pescatore e che sa guadagnare, quando può farsi prestare una barca.

– Andiamo pure, Riccardo – rispose il pescatore. – So dove i merluzzi sono ancora numerosi, e cento lire noi le guadagneremo in due o tre ore.

Nel momento d'imbarcare le lenze sulla scialuppa, ebbe un po' d'esitazione e guardò la pericolosa nebbia, poi scrollò le spalle e prese i remi, dicendo:

– Appena il vento girerà al nord, torneremo subito alla Giuseppina.

Invece di dirigersi sul banco dove si trovavano altri pescatori, Bauchet si diresse verso alcuni bassifondi, che si trovavano assai al largo e che sapeva essere frequentati da merluzzi.

La stagione della pesca era finita; nondimeno di pesci, dei ritardatari, ve ne dovevano essere in buon numero.

Come voi lettori forse saprete, i merluzzi sono pesci migratori.

Si radunano in file immense e, guidati dai più vecchi, si dirigono sempre, durante la buona stagione, l'autunno, nei luoghi dove sono già stati l'anno precedente.

I più vanno sui banchi di Terranuova a deporre le uova. Arrivano a miliardi e miliardi, in schiere fitte, e sono segnalati da stormi infiniti d'uccelli acquatici che si nutrono dei più piccoli. Rimangono due e anche tre mesi, poi scompariscono e non si rivedono più fino all'anno venturo.

Dove si nascondono durante quel lungo tempo? Nessuno è riuscito a saperlo, ma si presume che si tengano in acque profondissime dove non possono giungere né le reti, né le lenze dei pescatori.

È un fatto che dopo la stagione della grande pesca non se ne vedono che raramente e quasi sempre isolati.

Altre bande, invece di dirigersi verso le coste americane, vanno a rifugiarsi nei golfi dell'Islanda e della Norvegia, dove si prendono pure in quantità enormi.

La grande pesca, la più produttiva e che attrae ogni anno delle vere flotte di barche grosse e di navi, si fa però sui banchi di Terranuova.

Bauchet, giunto a tre o quattro chilometri dalla Giuseppina, fermò la barca ed esaminò lungamente le acque, che in quel luogo erano limpidissime e poco profonde, e fece un gesto di soddisfazione.

– Faremo una bella pesca, Riccardo – disse. – Ve ne sono ancora più di quanto credevo.

Svolsero le lenze e cominciarono a gettarle. Erano corde lunghe tre o quattrocento metri, sostenute di tratto in tratto da sugheri e fornite di ami ai quali erano stati appesi dei pezzi di budella di merluzzi.

Terminata la gettata, attesero che i pesci abboccassero. Era questione di soli pochi minuti, essendo i merluzzi dotati d'una voracità incredibile.

Le lenze danzavano e subivano dappertutto degli strappi. I pesci, affamati, accorrevano a battaglioni e rimanevano attaccati agli ami.

– Il battello di Carlo è assicurato – disse il pescatore. – Riempiremo la nostra scialuppa.

Cominciarono a ritirare le lenze. I merluzzi venivano decapitati e gettati sul tavolato.

Ne avevano già preso un'ottantina, quando Bauchet mandò un grido di rabbia.

– Che cos'hai, padre? – chiese Riccardo.

– Il poudrin ci giunge addosso – rispose il pescatore, con voce rauca.

La nebbia, che qualche ora prima era così lontana, s'avanzava con velocità vertiginosa. Il vento era improvvisamente girato a nord, e la spingeva verso il sud. Già l'estremità del banco era scomparsa e con essa parecchie navi da pesca.

– Presto, ritiriamo le lenze – disse il pescatore. – La giornata è perduta.

– Ne avremo il tempo, padre?

– Non possiamo lasciarle qui; appartengono al padrone e valgono danaro. Facciamo presto, Riccardo.

Si misero a ritirarle a precipizio, senza nemmeno occuparsi dei merluzzi appesi agli ami. Ne avevano già arrotolata una, quando una forte ondata sollevò la scialuppa, scrollandola poderosamente, e subito si trovarono avvolti in una nebbia foltissima e bianca come il latte, che non faceva scorgere loro più nulla.

Il banco, le montagne di Terranuova e le navi erano spariti d'un colpo solo.

Bauchet era diventato pallidissimo. Come avrebbero potuto tornare alla nave con quelle masse di vapore che non permettevano più di dirigersi? Avessero almeno avuto una bussola! Ed invece non ne avevano presa alcuna con sé.

– Abbandoniamo le lenze e cerchiamo di dirigerci verso il banco – disse Bauchet, che cominciava a sentirsi invadere da sinistri presentimenti. – Se non potremo giungere alla Giuseppina, troveremo rifugio su qualche altra nave.

Tagliarono le lenze, misero mani ai remi, e si diressero velocemente là dove supponevano si trovasse ancorata la flottiglia dei pescatori.

Il vento era improvvisamente diventato forte e anche freddissimo, e dall'Atlantico giungevano di quando in quando delle grosse ondate, le quali scuotevano brutalmente la scialuppa.

I due disgraziati remarono parecchie ore, facendo sforzi disperati, mandando di quando in quando qualche chiamata.

Ad ogni momento credevano veder comparire fra la nebbia lo scafo di qualche nave, invece nulla, sempre nulla.

Cominciava ad annottare, ed il freddo era diventato così intenso, che Riccardo si sentiva raggrinzare la pelle, non ostante la faticosa manovra del remo.

Bauchet ad un tratto cessò di dirigere la scialuppa e fissò sul figlio uno sguardo smarrito, pieno di terrore.

– Che cos'hai, padre? – chiese il giovane.

– Temo che noi ci siamo ingannati sulla vera direzione del banco – disse con voce soffocata. – A quest'ora noi dovremmo aver raggiunto non solo le navi della flottiglia, bensì le rive dell'isola.

– Vuoi concludere, padre mio, che noi ci siamo smarriti fra la nebbia?

Bauchet non ebbe il coraggio di confermare quella verità.

– Padre, – disse finalmente il ragazzo, dopo un lungo silenzio, – che noi siamo stati spinti al largo dalle onde, invece che di accostarci al banco?

– Temo che noi, involontariamente, senza poterlo nemmeno supporre, abbiamo compiuto un giro, voltando le spalle alla flottiglia dei pescatori.

Quasi nello stesso momento, come a confermare quella supposizione, udirono in lontananza un colpo di cannone, e quel rombo proveniva di dietro a loro.

Era l'incrociatore del governo, incaricato di vegliare sulla flottiglia dei pescatori, che chiamava a raccolta le scialuppe ritardatarie, smarritesi fra la nebbia.

– Che sia stato sparato per noi? – chiese Riccardo.

– Certo – rispose il padre. – Il capitano della Giuseppina avrà avvertito il comandante dell'incrociatore della nostra scomparsa.

– Dobbiamo essere molto lontani dal banco. La detonazione era debole. Che cosa faremo, padre?

– Aspettare l'alba. Il vento può girare ancora e ricacciare il poudrin verso settentrione.

– E passeremo la notte sull'oceano con questo freddo?

– Proviamoci ad avanzare in direzione della cannonata, finché avremo forza.

Ripresero nuovamente i remi, cambiando direzione.

Ora sulle creste delle onde, ora nelle pieghe profonde, Bauchet e suo figlio cercavano di discernere qualche cosa fra l'oscurità che li aveva già avvolti, e non vedevano altro che acqua e nebbia e poi acqua e nebbia ancora.

L'infinito stava dinanzi a loro e sotto di loro.

Le ore passavano una dopo l'altra, lentamente. L'oscurità diventava sempre più fitta, ed il mare non cessava di avventare ondate sempre più alte.

Le udivano giungere senza poterle vedere, con muggiti prolungati; poi si sentivano lanciati improvvisamente in alto, per poi ripiombare.

Avevano cessato il vogare. Riccardo, meno resistente del padre, si era rannicchiato sotto il banco di prora. Batteva i denti pel freddo, e mormorava di quando in quando:

– Mamma, mamma! Dove sono? Dove vado?

Poi richiamato alla realtà dalla vibrazione della propria voce, congiungeva le mani, lanciava in alto uno sguardo molle di lagrime e, con voce dolce e tremante, innalzava al buon Dio le preghiere semplici ed ingenue che il curato gli aveva insegnate nella piccola chiesa del villaggio natìo.

Oh, quelle preghiere dell'infanzia, come se le ricordano i marinari! Come le mormorano nelle ore del pericolo! Come hanno fede nella loro efficacia, per quanto induriti, per quanto scettici siano!

Erano passate altre ore, quando il ragazzo, che si sentiva gelare le membra da quel vento taglientissimo e freddissimo che turbinava fra le nebbie, disse:

– Padre, non reggo più. Mi pare di avere un pezzo di ghiaccio al posto del cuore.

Bauchet, che era seduto a poppa, lanciando all'intorno sguardi disperati, prese la sua fiasca che conteneva ancora poche gocce di rhum, e l'accostò alla bocca del figlio, dicendogli con voce spezzata:

– Bevi, mio povero Riccardo. Ti darà animo e ti riscalderà.

Poi si levò la grossa casacca di panno e gliela gettò sulle spalle, aggiungendo:

– Io sono abituato al freddo, e posso resistere. Cerca di riposarti qualche ora.

Il ragazzo si era assopito.

Bauchet, invece, vigilava e ve n'era bisogno. Le onde aumentavano, lanciavano entro la scialuppa degli sprazzi d'acqua, che flagellavano il viso del pescatore e che aumentavano il peso della scialuppa.

Era necessario vuotare quell'acqua.

Il pescatore si moltiplicava, timoroso che la scialuppa a poco a poco si riempisse e affondasse.

Si era levati i calzoni, li aveva legati all'estremità inferiore delle gambe con una cordicella e, munito di quei due secchi gemelli, levava l'acqua imbarcata.

Quando cominciò a farsi un po' di luce, Bauchet s'accorse che il povero Riccardo delirava.

– Madre mia, – mormorava – Fécamp... vedo il campanile... ecco i fratelli... Presto, preparate una zuppa con le cipolle pel babbo... portiamo danari tanti... Carlo, la tua scialuppa... l'abbiamo guadagnata sui banchi.

Bauchet lo guardava con le lagrime agli occhi.

– Povero figlio mio! Povero figlio mio! – esclamava. – Chi sa se noi rivedremo mai più il nostro villaggio!

In quell'istante Riccardo si alzò, fissando sul padre due occhi smarriti.

– Dammi da bere... da bere! – gridò.

– Che cosa vuoi che ti dia, mio povero ragazzo? – chiese Bauchet, che si sentiva schiantare il cuore.

– Sì... hai dell'acqua...

– E dove è?

– Là... là... a poppa... nel carratello...

– Nel carratello! Tu deliri, non ci vedi più!

– Oh, sì, ci vedo... Mamma... Mamma... da bere...

Poi cadde in ginocchio, mettendosi a pregare con fervore per rialzarsi poscia, e lanciare frasi sconclusionate al vento che gli flagellava il viso e alle onde che lambivano i bordi della scialuppa. Finalmente esausto, ricadde in un profondo torpore.

– Acqua! Acqua! – ripeteva.

Bauchet aveva ripreso il duro lavoro. Le onde giungevano sempre più alte e più impetuose, e spingevano la scialuppa or qua ed or là, senza alcuna direzione.

Dove andavano quei miseri, immersi sempre in quel nebbione che li avvolgeva, senza accennare a lasciarli? Dio solo poteva saperlo.

Dovevano essere ormai molto lontani dal banco di Terranuova; diversamente all'alba avrebbero udito ancora il cannone che suole sparare l'incrociatore del governo.

Fu solamente verso mezzodì, dopo un buon sonno riparatore, che Riccardo tornò in sé.

– Padre, – disse – dove siamo noi?

– Mi è impossibile a saperlo – rispose il pescatore.

– Siamo sempre lontani dal banco?

– Non pensarci più. Le onde ed il vento devono averci spinti in mezzo all'Atlantico.

– Allora noi siamo condannati a perire.

– Possiamo incontrare qualche nave, e poi mi pare che la nebbia, finalmente, accenni a sollevarsi. Guarda, l'orizzonte si allarga.

– Ho fame, padre.

– Abbiamo i merluzzi.

Riccardo ne afferrò avidamente uno, e vincendo la ripugnanza che gl'ispirava quella carne cruda e punto gustosa, ne ingollò alcuni bocconi. Bauchet lo aveva imitato, volendo conservarsi in forze.

Si erano rimessi in osservazione. Il mare si stendeva infinito dinanzi a loro, da che le nebbie erano state respinte verso settentrione.

Dove si trovavano? Quale via avevano tenuta in quelle lunghissime ore? Erano vicini ai banchi e alle spiagge in Terranuova, oppure si trovavano lontanissimi?

Oramai non contavano che sul passaggio di qualche nave di ritorno dall'Europa e diretta agli stabilimenti inglesi o francesi dell'isola. Ma invano scrutavano l'orizzonte infinito. Non vedevano che onde e poi onde ancora e qualche uccello marino che, invece di accostarsi, fuggiva come se avesse paura di quei disgraziati, perduti sull'immenso oceano.

Un altro giorno trascorse, poi un'altra notte.

Il delirio aveva ripreso il ragazzo, causato dalle continue paure, dal freddo e soprattutto dalla sete che lo travagliava.

Parecchie volte aveva tentato di gettarsi nell'acqua, credendo che fosse dolce, e suo padre aveva faticato assai per trattenerlo.

Ed intanto la loro situazione si aggravava sempre, e l'oceano non accennava a calmarsi. Il cielo era plumbeo, il freddo sempre intenso, e le onde scuotevano senza posa la scialuppa.

Il povero pescatore sentiva che anche la sua ragione si smarriva.

La notte del terzo dì, anche Bauchet, vinto dalle sofferenze e dal sonno, si era assopito, raggomitolato presso il banco di poppa.

Dormiva da parecchie ore, mentre la scialuppa vagava fra la nebbia che era tornata ad avvolgere i due abbandonati, quando il pescatore credette di udire un fragore che non pareva prodotto dalle onde.

Intuendo che qualche nave stava per accostarsi, balzò in piedi, guardandosi intorno.

Non si poteva distinguere nulla, perché la nebbia era foltissima, eppure quel fragore diventava sempre più distinto.

Ad un tratto, gli parve di vedere una massa nera passare a breve distanza, e la scialuppa subì un'oscillazione violentissima.

Lanciò un grido disperato, poi, vinto da un'improvvisa debolezza, cadde come morto in fondo alla scialuppa.

Quando tornò in sé non si trovava più sulla sua barca. Era coricato su un comodo lettuccio, illuminato da una lampada elettrica.

Credette di sognare e fece atto di gettarsi giù dal letto, quando una voce gli disse in puro francese:

– State tranquillo, povero uomo. Siete fra amici.

Un ufficiale, con una lunga barba nera, era entrato in quel momento nella cabina, portando un punch fiammeggiante.

– Dove sono? – chiese Bauchet, stupito di non trovarsi più in mezzo all'oceano.

– A bordo del Rodano, un piroscafo francese diretto a Bordeaux.

– Quando mi avete raccolto, signore?

– Ieri sera, fra le undici e la mezzanotte. Eravamo già passati presso la vostra scialuppa senza scorgervi, quando udimmo il vostro grido.

– E mio figlio? – chiese Bauchet con angoscia.

– Ah! – disse l'ufficiale. – Quel ragazzo è vostro figlio? Non inquietatevi per lui; sta bene quanto voi, e domani lo vedrete. Il piccino è robusto e diverrà un giorno un bravo marinaro.

Il domani padre e figlio, rimessi in gambe, passeggiavano insieme sulla coperta del Rodano, festeggiati dai bravi marinari del piroscafo, ben lieti di aver sottratti ad una morte più che sicura quei due camerati.

Quindici giorni dopo il Rodano gettava l'àncora a Bordeaux.

Il capitano ed i marinari fecero una colletta che fruttò centosessanta lire, somma più che sufficiente per tornare a Fécamp.

La mattina seguente Bauchet e suo figlio, vivamente commossi, prendevano imbarco su una barca da pesca che faceva ritorno in Bretagna.

Nel momento in cui entrava nel piccolo porto di Fécamp, Bauchet vide un numero infinito di vele che imboccavano la Manica, precedute da un incrociatore che sparava di quando in quando delle cannonate.

Era la flottiglia dei pescatori di merluzzi, che rientrava nei suoi porti dopo una felice traversata.

Bauchet ebbe la sua parte di pesca, rappresentata da due biglietti da mille, e dal capitano della Giuseppina gli fu condonata la perdita delle lenze.

Oggi Bauchet, diventato proprietario d'una piccola barca da pesca, batte solamente le acque irrequiete, ma pur ricche di pesci della Manica, in compagnia del suo secondogenito, diventato uno dei più valenti pescatori della Bretagna.

In quanto a Riccardo, continua le sue traversate dell'Atlantico. Egli è uno di quei marinari che o sotto o sopra non lascerà più l'oceano.