I naufraghi del Poplador/18. I pescicani

18. I pescicani

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18.

I PESCICANI


Ormai più nessuna speranza restava ai disgraziati naufraghi del Poplador, perduti sull'immenso Oceano Pacifico senza un biscotto, senza un pezzo di carne. La morte si rizzava ormai dinanzi a loro e sotto una forma la più orribile: la morte per fame! Il lungo dramma stava per finire.

Che cosa sarebbe accaduto il domani, il posdomani, se qualche nave non veniva a trarli da quella situazione? O se un'isola qualunque non appariva sull'orizzonte? Avrebbero dovuto ripetere le orribili scene accadute tanti anni prima fra l'equipaggio della Medusa?

Don Guzman, Michele e Josè, divorato l'ultimo biscotto, non ardirono più guardarsi in viso, né parlare. Assisi sui banchi, cupi, affamati, se ne stavano immobili, lasciando correre lo sguardo sull'immensa distesa d'acqua che li circondava. Erano tutti e tre accasciati ed atterriti.

Un funebre silenzio regnò nel gran canotto, durante quella lunga giornata. fu solamente verso sera che Michele uscì dalla sua immobilità. Il genovese, sempre pieno di risorse, voleva ancora tentare qualche cosa. L'oceano era lì, e l'oceano doveva avere dei pesci: si poteva pescare.

Strappò dai banchi alcuni chiodi, coi denti e colle mani li piegò in forma di ami, li rivestì con alcuni stracci rossi onde meglio attirassero l'attenzione dei pesci i, formò delle lenze e le gettò a poppa. Ma passò un'ora, ne passò una seconda, una terza, ma senza alcun frutto. Anche gli abitanti del Pacifico congiuravano contro i superstiti del Poplador.

— Tutto è contro di noi — mormorò il tenente con ira. — Siamo noi maledetti?

Ad un tratto si avvicinò a don Guzman che stava seduto a prua cogli occhi fissi sulla luna che si alzava allora allora, rossa come se fosse insanguinata.

— Capitano — disse.

— Cosa volete, Michele? — chiese don Pablo con voce sorda.

— Navigando tre o quattro giorni verso l'ovest, si potrebbe incontrare qualche isola?

— Chi può dirlo? Sapete voi dove ci troviamo?

— Capitano, finché abbiamo un po' di forza mettiamoci al remo e arranchiamo verso l'ovest. Possiamo incontrare qualche terra.

Don Guzman non rispose.

— Che ne dite, don Pablo? Bisogna tentare tutto.

Questa volta il capitano non rispose. Si era lentamente alzato e curvo sul bordo del canotto, seguiva con occhio ardente un corpo nerastro che nuotava a tre o quattrocento metri dalla prua, sollevando degli sprazzi di spuma.

— Cosa guardate? — chiese Michele.

— Guardate laggiù, tenente — disse don Pablo sottovoce.

— Vedo un grosso pesce, forse un pescecane... ah! Ne vedo un altro più innanzi.

— È la Provvidenza che ce li manda, tenente.

— Lo credo anch'io, capitano.

— Come si potrebbe fare per prenderne uno?

— Abbiamo i nostri fucili, don Pablo.

— Al primo sparo quegli squali si inabisseranno, e poi difficilmente le palle uccidono siffatti mostri.

— Abbiamo un ancorotto. Qualcuno lo abboccherà di certo.

— Resisterà la nostra scialuppa?

— Proviamo.

— Facciamo i preparativi. All'alba getteremo l'ancorotto.

Michele e il capitano si misero all'opera, aiutati da Josè che aveva subito compreso di che trattavasi. Tirarono fuori l'ancorotto che stava chiuso in una cassa, lo copersero di stoffa rossa onde attirasse subito lo sguardo degli squali, e all'estremità superiore vi legarono una solida fune.

— Ci avrebbe voluto una catena — disse Josè. — Se il pescecane riesce a chiudere la bocca, taglierà d'un colpo solo la fune.

— Prima che la chiuda, lo accopperemo a colpi di scure e di fucile — disse Michele. — Ed ora aspettiamo l'alba.

Si assisero sui banchi e non parlarono più, tenendo però sempre d'occhio i due squali che seguivano a breve distanza il gran canotto, ora tuffandosi e ora sollevando colle potenti code delle colonne d'acqua.

Finalmente spuntò l'alba. Don Pablo, Michele e il vecchio Josè, si alzarono come un sol uomo.

— Prepara un buon laccio, Josè — disse il capitano. — Quando lo squalo avrà abboccato l'amo, glielo getterai attorno al corpo.

— E prepariamo anche i fucili — disse Michele.

In pochi istanti il laccio e le armi furono preparate.

I due squali si trovavano a soli duecento passi dall'imbarcazione e giuocherellavano mostrando però le loro immense bocche armate di più file di acutissimi e bianchissimi denti triangolari.

— Senza dubbio sono maschio e femmina — disse Josè.

— Giù l'ancorotto — comandò don Pablo.

Michele lo gettò a poppa, lasciò filare tre metri di corda e assicurò l'estremità ai banchi.

— Attenzione, — disse, — e badiamo che il gran canotto non si rovesci.

— Ci terremo pronti a tagliare la fune — disse il capitano, afferrando una scure.

I due pescicani non si erano ancora accorti dell'ancorotto. Continuavano a nuotare or qua or là, inseguendosi, soffiando rumorosamente e avventando potenti colpi di coda. Ad un tratto però un di essi si tuffò, dirigendosi verso il gran canotto.

— Eccolo! Eccolo! — esclamò Michele.

— Silenzio! — disse don Pablo. — Non bisogna spaventarlo.

Il mostro ricomparve a pochi metri dalla poppa, poi tornò a tuffarsi. Essendo l'oceano tranquillissimo e l'acqua assai trasparente, don Pablo ed i suoi compagni lo videro nuotare verso l'ancorotto, poi arrestarsi e descrivere attorno ad esso dei grandi giri che però a poco a poco si restringevano.

— Voi, Michele, e tu, Josè, prendete i fucili — disse il capitano. — Appena inghiottirà l'amo fate fuoco.

Lo squalo continuò a girare, fissando coi suoi occhi rotondi coll'iride di un verdescuro, l'ancorotto che doveva sembrargli un bel pezzo di carne sanguinolenta, poi si arrestò e si rovesciò sul dorso mostrando il suo ventre biancastro.

Stette alcuni istanti immobile, poi si precipitò sull'ancorotto, aprì la sua enorme bocca semicircolare e lo inghiottì.

— È nostro! — urlò Michele.

— Fuoco! — gridò don Pablo.

Due colpi di fucile rimbombarono formando una detonazione sola. Il mostro, senza dubbio ferito, fece un balzo verso la superficie dell'acqua, tentando, ma invano, di chiudere le mascelle, entro le quali si erano profondamente cacciate le punte dell'ancorotto.

Il gran canotto provò una scossa così violenta che si abbassò fin quasi al livello dell'acqua.

— Alla fune! — gridò Josè. — Bisogna tirarlo a galla per asfissiarlo.

Si precipitarono tutti e tre sulla fune e si misero a tirare, ma non era cosa facile. Lo squalo, che era gigantesco, si dibatteva con furia estrema. Si tuffava, tornava a galla, si contorceva gettando rauchi sospiri, avventava a destra ed a sinistra terribili colpi di coda che sollevavano vere ondate, saltava innanzi e poi indietro cercando di spezzare la fune o di rovesciare il gran canotto. I suoi occhi mandavano lampi ed i suoi denti stridevano sul tronco dell'ancorotto, lasciandovi profonde impronte.

Ben presto i suoi sforzi divennero così spaventevoli da temere che l'imbarcazione si spezzasse. Michele e il capitano cercarono di stordirlo a colpi di remo, ma era come se battessero una roccia; Josè cercò di gettare il laccio, ma senza riuscirvi.

— Coraggio! — gridò don Pablo.

— Tempestiamolo di palle! — gridò Michele.

In quell'istesso istante il mostro, lacerandosi orribilmente le mascelle contro le punte dell'ancorotto, chiuse i denti. La fune fu troncata di colpo.

— Maledizione! — ruggì don Pablo.

Lo squalo, liberatosi dalla fune che lo teneva unito al gran canotto, si era subito inabissato.

— È perduto! — gridò Josè.

— Che il diavolo se lo porti — disse Michele coi denti stretti. — Non abbiamo fortuna noi.

— Ma c'è l'altro pescecane! — esclamò Josè.

— Ma non abbiamo altri ancorotti — disse don Pablo.

— Capitano, — disse Michele, — io non ho paura dei pescicani.

— Che volete dire?

— Ci sono degli africani che non temono di affrontare con un coltello simili mostri. Perché non potrà fare altrettanto un genovese? Bisogna tentare tutto, don Pablo; ci va di mezzo la nostra salvezza.

— Ma volete esporvi voi...

— Sono un buon nuotatore, capitano, e del coraggio credo di averne. Dammi la tua navaja, Josè.

— Posso tentarlo anch'io il colpo — disse il lupo di mare. — Son vecchio, ma le braccia sono ancora robuste.

— Né l'uno, né l'altro — disse don Pablo. — Che la sorte decida.

Tagliò tre fili, due eguali e uno più corto, li chiuse nel suo pugno e li presentò ai compagni.

Michele né strappò uno. Subito mandò un grido di trionfo.

— Il filo più corto — gridò. — Il pescecane è mio.

Si spogliò rapidamente, si cinse i fianchi con una fascia e in questa cacciò una lunga e solida navaja spagnola, colla quale contava di squarciare il ventre allo squalo.

— Sono pronto — disse, quand'ebbe terminato.

— Michele, — disse il capitano con voce commossa, — non avete proprio paura?

— No, don Pablo.

— Abbracciamoci, amico.

L'intrepido tenente si gettò fra le braccia del capitano, poi in quelle di Josè.

— Coraggio, signore — disse il vecchio lupo di mare.

— Non temere, mio buon Josè. Oggi faremo un copioso pasto.

— Prepariamo i fucili noi — disse il capitano. — E voi, Michele, tenetevi presso il canotto affinchè possiamo, in caso di pericolo, portarvi soccorso.

— Non mi scosterò, don Pablo. Avanti!

Alzò le mani e si precipitò in acqua. Subito il pescecane, avvisato dal suo delicatissimo odorato, della presenza di una buona preda, alzò la testa e aprì la sua enorme bocca.

— Vi ha sentito — disse don Pablo, che era diventato pallido.

— Tanto meglio — rispose Michele con voce ferma. — La cosa sarà più spiccia.

— Avete paura?

— No, don Pablo.

— Ecco lo squalo! — gridò Josè. — State in guardia, tenente.

Il pescecane, che trovavasi allora a una gomena dal gran canotto, aveva fatto un balzo innanzi. Michele, che lo teneva d'occhio, si mise fra i denti la navaja e si diede a nuotare vigorosamente descrivendo un cerchio assai allargato.

— Attento, Josè — disse don Pablo. — Il fucile in mano!

Lo squalo si avvicinava con rapidità fulminea. In pochi istanti fu presso a Michele. Faceva paura; aveva la bocca aperta e i suoi occhi mandavano lampi.

— Michele! — gridò don Pablo.

— Silenzio, capitano — disse l'intrepido genovese, che si era arrestato e che aveva impugnata la navaja.

D'improvviso il pescecane fece un balzo contro la preda e si rovesciò sul ventre per mozzarla in due. Michele attendeva quella mossa; pronto come il lampo si gettò da un lato, immerse la navaja nel ventre del mostro e con un colpo vigoroso glielo squarciò orribilmente. Subito rimbombarono due fucilate seguite dalle grida:

— A bordo, Michele! A bordo!

Il tenente con quattro vigorose bracciate raggiunse il gran canotto. Don Pablo lo tirò a bordo.

— Bravo Michele — gridò, abbracciandolo.

— Il pranzo è assicurato — rispose il coraggioso genovese, ridendo.

Il mostro intanto, colpito mortalmente, dibattevasi furiosamente fra le acque arrossate dal suo sangue. Balzava innanzi e indietro, si tuffava e tornava a galla, agitava terribilmente la coda, mandava sordi brontolìi, digrignava i denti.

Ma la sua agonia fu breve. Dopo dieci minuti galleggiava immoto sulle acque insanguinate.

Josè e don Pablo spinsero il gran canotto verso l'enorme preda e la legarono saldamente al tribordo.