I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Dell'arco trionfale a Traiano/Degli archi onorarii e trionfali

I. Degli archi onorarii e trionfali

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Dell'arco trionfale a Traiano Dell'arco trionfale a Traiano - Notizie intorno al nostro arco e degli scrittori che ne hanno parlato

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i. degli archi onorarii e trionfali


Pria di trattare particolarmente del nostro Arco, credo conveniente dare alcune nozioni intorno a siffatti monumenti in genere, onde meglio se ne comprenda lo scopo da chi non è versato molto negli studii di tal sorta.

Molte città e d’Italia e di altre nazioni hanno di questi monumenti, che consistono in edifizii isolati costituiti di grandi arcate presso l’ingresso delle città, sulle vie principali, sui ponti e sulle pubbliche piazze.1 La più consueta postura, all’ingresso delle città, nei secoli posteriori li fece ritenere fossero porte, anche perchè in processo di tempo a tale uso furono adibiti, quando la cerchia delle mura li strinse più da presso. Forse non è estraneo a questa supposizione il nome affibbiato al nostro Arco di Porta Aurea, dimenticato quasi quello di Traiano. Tale è pure l’opinione di Carlo Nolli.2

[p. 4 modifica]Parimenti per errore vennero tutti appellati Archi Trionfali, mentre havvi di quelli che più propriamente sono Archi onorarii, «consacrati dalla riconoscenza o dalla adulazione alla memoria delle persone che ne formarono l’oggetto.» Così sono della prima specie l’Arco di Traiano in Benevento e di Tito in Roma, per dir di due, mentre sono della seconda quello a Traiano innalzato in Ancona, quello di Galieno a Roma, l’altro di Adriano in Atene.

Si ignora l’epoca prima cui risale siffatto genere di monumenti, che sembra per altro una creazione tutta Romana, non trovandosene affatto indizio presso gli altri popoli antichi nè per vestigie, nè per cenni storici. Quelli conosciuti esistere in tutte le regioni soggette al dominio di Roma incontestabilmente sono opera dei romani.

Forse la loro derivazione devesi agli archi provvisorii di legno che, con uso tenuto anche nell’epoca moderna, si innalzavano sulle vie che doveva percorrere il trionfatore; i quali venivano decorati con pitture, e per quel tempo che durava il trionfo vi si appendevano le spoglie opime proprie di quel trionfo. Mentre prima queste si appendevano nei tempii, costruiti per tal uso, come quello di Giove Faretrio sul Campidoglio,3 nel quale Romolo appese il trofeo riportato nella disfatta dei Ceninesi.

Per tal fine furono anche usati i grandi pilastri, sulle cui facce si appendevano le spoglie nemiche, o le colonne, che si decoravano dei trofei.

Poi l’usanza passò a fregiarne gli archi, stimati più adatti allo scopo. E ciò anche prima, come vuole Canina,4 che essi fossero innalzati sulle vie trionfali. Addita come tali quelli che fece costruire Lucio Stertinio nel foro Boario e nel circo Massimo.

La invenzione di siffatti monumenti, come dissi, sembra tutta romana, e dei tempi della Repubblica. Nell’ordine cronologico vengono prima quelli trionfali, poscia quelli onorarii.

[p. 5 modifica]I primi, però, non furono che semplicissimi, come quello di Camillo, che era di rozze pietre; sotto gl’imperatori soltanto si ebbero i fastosi ornamenti di sculture, perchè Plinio li chiama novitium inventium, il che devesi riferire di certo non alla adozione recente del genere, bensì alla ricchezza delle decorazioni.

Sul principio, furono costruiti d’un arco solo, o fornix, voce che dinotò il monumento stesso quando non era destinato a decorar la via del corteggio trionfale, e che fu cambiata in quella di arcus allorchè l’uso li volle colà innalzati.

Su ambo le facce in cui si apriva l’arcata due colonne per banda la decoravano, sostenendo la trabeazione; al disopra si elevava l’attico, che trasse l’origine da siffatti monumenti,5 portante l’iscrizione dedicatoria, e su quest’ultimo innalzavasi la statua dell’eroe o il cocchio del trionfatore. Ma poichè con tale sistema risultava un edifizio troppo magro, e lo spazio destinato ai bassorilievi era ristretto, si pensò di aumentare la grossezza dei pilastri, aggiungendo altre quattro colonne ai quattro cantoni esterni. Questo fu il più bel tipo degli archi trionfali ed onorarii, come lo attestano quelli di Tito in Roma e di Traiano in Benevento e in Ancona.

Durand6 si mostra per nulla entusiasta di siffatta combinazione architettonica, quelle colonne gli danno sui nervi: »car on ne nous persuadera jamais (dice egli) que d’inutiles et de froides colonnes puissent dire quelque chose à l’esprit, à plus forte raison qu’elles puissent parler avec plus d’energie que des inscriptions et des morceaux de sculpture dont elles usurpent la place dans les arcs de trionphe» Io non divido l’opinione dell’illustre francese; il mio entusiasmo cresce quando contemplo le stupende colonne, i bellissimi capitelli, la ricca trabeazione del nostro arco, che da quelli assume un aspetto di grandiosità, che non saprei concepire se le pareti fossero decorate solo di sculture e la cima coronata di modesta cornice. Anzi a me sembra che lo [p. 6 modifica]aggetto rilevante del cornicione, che non sarebbe giustificato senza il sostegno delle colonne, garentisca le facce verticali, ornate di sculture, dalla pioggia, e che quindi l’organesimo dell’arco meglio risponda per tal guisa al suo fine.

Anche una modesta cornice di coronamento io non saprei concepire sulla sommità dell’arco, onorario o trionfale, se fosse sorretta da pareti triturate di sculture; sembrandomi grave infrazione delle più ovvie regale di arte.

Se è vero che i Romani, a differenza dei Greci, non fecero servire le colonne che al solo scopo di decorazione, togliendo loro quello meramente di sostegno, credo per contrario che in cotali monumenti esse abbiano un fine meglio giustificato.

Io considero che la maestà, la grandiosità, la bellezza di essi siasi potuta raggiungere soltanto per via di questa combinazione architettonica. E poi aggiungo al Durand che ogni sorta di edifizii, anche trasformati attraverso i tempi, seguendo i buoni principii, conservò sempre però le tracce del primitivo organesimo. Se cosiffatti archi devono la loro origine all’innesto dei trofei, delle sculture, delle iscrizioni, all’arco, all’edifizio che da prima si conosceva e che l’ha preceduto, non v’ha maggiore giustificazione che quella di conservare loro la forma tipica elementare primitiva. La parte architettonica vi doveva avere la sua larga rappresentanza, se vi aveva conferito la maternità; a prescindere che come creazione tutta romana, va intesa nel fine e nelle forme che gli artisti romani concepirono. Dice saviamente Melani seguendo il Selvatico,7 »Gli archi di Trionfo (ei non fa la distinzione fra archi di trionfo e onorarii) vennero decorati con le maggiori pompe dell’arte, essendo riusciti, per la loro struttura, monumenti adattissimi all’ornamentazione della statuaria e dell’Architettura. Anche per questa parte l’Architetto romano aveva la formola prestabilita»

E queste parole di Melani, messe in riscontro con quello che io avevo già detto poco innanzi, mi fanno sovvenire di un’altra osservazione seria sulle parole di Durand, che quelle inutili colonne [p. 7 modifica] [p. 9 modifica]usurpino il posto delle iscrizioni e delle sculture; e l’osservazione al Durand è questa, che egli dimenticava che l’Architetto Greco o Romano considerò la scultura come l’ancella devota dell’Architettura. Il bassorilievo nacque dopo l’Architettura e per l’Architettura.

Ponza di S. Martino8 ritiene che i Romani davano agli Archi (trionfali o onorarii) «per principali caratteri le buone proporzioni, l’ingegnosa disposizione delle parti, la grazia dell’insieme, l’unità, gli ornamenti di buon gusto, non soverchi, sempre allusivi al soggetto, alle volte anche la maggiore semplicità, e le masse sempre in corrispondenza con lo spazio e con gli edifizii circostanti; e gli archi romani servirono poi sempre di modello in tale genere di edifizii, e sempre si è dovuto imitarli, se si è voluto ottenere bellezza, grandiosità e magnificenza.»

L’arco stupendo del Sempione in Milano è una eloquentissima prova dell’asserzione di Ponza.

Accresciuta la larghezza dei pilastri sul fronte, crebbe pure la lunghezza dell’attico, del quale fu riservata la parte centrale, corrispondente al fornice, a contenere la iscrizione, le laterali altre opere scultorie. Sugli stessi fronti, lo spazio tra le colonne, suddiviso in tanti scomparti, venne decorato, nei più grandiosi, con bassi ed alti rilievi, i quali vennero ripetuti eziandio pei laterali interni dei pilastri, al di sotto della imposta dell’arcata. Nel fregio della trabeazione, in giro in giro, venne rappresentato l’ordine della marcia trionfale.

Altri particolari dirò, quando scenderò all’esame del nostro Arco Trionfale.

In processo di tempo, ma in epoca del decadimento dell’Arte Romana, quando la mole soverchiò la purezza dello stile, gli archi furono costruiti con tre fornici, quello di mezzo maggiore, gli altri laterali minori, conservando loro le otto colonne come in quelli ad un sol fornice. Tali sono gli Archi di Settimio Severo e di Costantino in Roma.

[p. 10 modifica]Wey9 osserva a tal proposito che sebbene questa sia l’opinione generale, pur tuttavia egli abbia visto una medaglia dell’anno quattordicesimo del regno di Augusto, sul rovescio della quale è inciso un arco trionfale a tre porte. Ed una medaglia con simigliante arco a tre fornici riporta De Vita10 attribuendola all’Arco Traiano di Roma.

Tralascio per brevità di discorrere di altre forme di Archi, perchè troppo mi discosterei dal mio proposito.

Non posso però trasandare che Vitruvio Pollione, nel suo aureo Trattato su l’Architettura, nulla ci ha lasciato scritto intorno alla costruzione e decorazione di siffatti monumenti, mentre pure ai tempi suoi e in quelli che lo precedettero ne furono costruiti in Roma e fuori; imperocchè Cicerone rammenta quello di Fabio eretto in Roma e quello di Verre in Siracusa; il primo fu eretto nel 634 di Roma, due anni dopo la morte di Caio Gracco11, in onore di Fabio Censore (non eretto da Fabio a sè stesso, come dice Vasi12) per la vittoria che riportò sugli Allobrogi. Si conoscono quelli di Susa e di Rimini, (onorarii entrambi) eretti proprio sotto Augusto, ai tempi di Vitruvio, come si ha notizia di quello di Scipione Africano sul Campidoglio. Ponza13 che ripete le cose anzidette, opina che Vitruvio, amante dei precetti dell’Architettura Greca, non ne abbia fatto menzione, ritenendo questi non compatibili con quelli; e che, invece, come creazione tutta romana, dovessero essere regolati dalle norme del proprio stile.

Senza accennare donde l’abbia tratto, lo stesso Ponza14 dice che quale opera del genio di Vitruvio Pollione «s’annovera, [p. - modifica] [p. 11 modifica] forse con poco fondamento, l’arco trionfale di Verona» conosciuto ancora col nome di Arco dei Gavii, perchè elevato alla famiglia dei Gavii.15

Ma Milizia16 lo attribuisce a Vitruvio Cerdone; e nega potesse ritenersi opera del primo Architetto, dal notarvisi nel cornicione uniti ai modiglioni i dentelli, il cui uso il celebre Vitruvio altamente riprova. Pur tuttavolta Milizia lo dice bello ed erroneamente lo chiama trionfale. Per contrario Selvatico17 ritiene che quell’Arco, i cui pezzi si conservano nell’Arena di Verona, «manifesta poverissima abilità e nella composizione e nelle modanature.» Quanta e quale è la varietà degli umani giudizii!

In onore di Traiano furono innalzati diversi Archi, quello trionfale di Roma, che sventuratamente in momenti di demenza dell’arte venne abbattuto per provvedere di decorazioni, con audace anacronismo, quello di Costantino in Roma; questo trionfale in Benevento, l’altro onorario in Ancona, e varii nella Spagna, nè grandiosi, nè eleganti18 consacratigli dai suoi compatrioti.

Non restano, dunque, che i due importanti di Benevento e di Ancona, che contendono il vanto a quello di Tito in Roma. Occupandomi diffusamente del primo, sarò costretto dalla connessione del lavoro critico di paragonarli sovente, ed il lettore me ne sarà grato.

Note

  1. Dizionario storico di architettura di Quatremère de Quincy, traduz. ital. di Ant. Mainardi, Mantova, fratelli Negretti, 1842, vol. 1.° pag. 131 e seg.
  2. Dell’Arco Traiano in Benevento, inciso e posto in luce da Carlo Nolli nell’anno 1770, in Napoli, pag. 1.ª
  3. Canina — L’architettura Romana descritta e dimostrata coi monumenti, Roma dai tipi dello stesso Canina, 1833 - Architett. Romana parte III.ª pag. 213.
  4. op. cit.
  5. Pietro Selvatico, Le Arti del Disegno in Italia, parte prima, arte antica, pag. 86.
  6. Precis des leçon d’Architecture, Paris, 1817, seconde volume, pag. 25.
  7. Manuali Hoepli — Architettura Italiana, Milano 1884, parte I. pag. 132.
  8. Istituzioni di Architettura Civile, Torino, Gius. Pomba e C. 1836, pag. LXII.
  9. Roma, Descrizione e Ricordi, Milano, Treves, 1879, pag. 73.
  10. Thesaurus Antiquitatum Beneventanarum, Romae MDCCLIV. — Ex typographia Palladis.
  11. Francesco Wey, Roma, Descrizione e Ricordi, Milano, Treves, 1879 pag. 71, capit. IV.
  12. Vasi, Itinerario istruttivo di Roma, Roma 1804 presso Lazzarini, tomo I. pag. 112.
  13. Conte Luigi Ponza di S. Martino, Istituzioni di Architettura Civile, Torino, Pomba e C. 1836, pag. LXII della Storia dell’Architettura Civile.
  14. Opera citata ivi.
  15. Milizia, Memorie degli Architetti antichi e moderni, Bassano, 1785, tom. I. pag. 58.
  16. Op. cit. pag. 57.
  17. Op. cit. lib. 3. pag. 232.
  18. Selvatico, op. cit. vol. I. pag. 210.