I misteri del processo Monti e Tognetti/Capitolo XXVI

XXVI. L'áncora di salvezza

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XXVI.

L’áncora di salvezza.


La sentenza della Sacra Consulta aveva portato un colpo terribile in seno a due famiglie.

Rinunzieremo a descrivere quegli strazj; quando il dolore è giunto a un certo punto, la penna e il pennello sono impotenti del pari a ritrarlo. Per questo il pittore greco coperse con un velo la testa sulla quale doveva essere impresso il colmo dell’angoscia.

Erano sopratutto i cuori di due donne, che sanguinavano atrocemente: la moglie di Monti e la madre di Tognetti.

L’avvocato Leoni, quel giovane generoso, che aveva con tanto coraggio perorato la causa dei due condannati; e che s’era trovato a un punto di salvarli entrambi, volle fino all’estremo compiere la sua missione. Colla pietà del Cireneo nel cuore, si recò nella mattina seguente alla casa di quelle due donne, per dividere le loro lagrime, unico conforto che possa arrecarsi in quei supremi dolori.

Poi non volle limitarsi al sollievo del compianto, ma volle aggiungere un consiglio. Egli non aveva alcuna fede nella clemenza del papa, ma pure comprese che quelle poverette erano in diritto di tentare almeno di appigliarsi all’unica áncora di salvamento che restasse, e questa era appunto la grazia del pontefice.

Egli consigliò dunque a Lucia Monti di tentare ogni mezzo per poter presentarsi al pontefice.

Lucia scosse la testa in atto di sconforto.

Essa avea salite tante scale durante il processo, e aveva trovato il gelo in tanti cuori sacerdotali, che non poteva fondare nessuna speranza sulla compassione di un prete.

Pure ella sentì il dovere di tentare ogni estremo mezzo per la salvezza [p. 111 modifica]di suo marito, e si raccomandò all’avvocato, poichè era tanto buono con lei, che le trovasse egli il mezzo di penetrare nel recinto del Vaticano, sino ai piedi del papa.

Leoni disse che vi avrebbe subito pensato, con quella sollecitudine che richiedeva l’urgenza del caso, e sperava di ritornare con una buona novella.

Come abbiamo detto, egli non fidava nella riuscita di quel tentativo, ma non poteva lasciare quel cuore che stava per spezzarsi, senza consodarlo almeno con un alito di speranza.

Dalla casa di Monti l’avvocato passò in quella di Tognetti.

Maria Tognetti era stata, come vedemmo, duramente respinta da monsignor Pagni nel giorno innanzi nelle sale della Sacra Consulta. Era stata ricondotta a casa a viva forza: e quivi un commissario di polizia le aveva intimato di non recarsi più nel palazzo di Monte Citorio, altrimenti verrebbe arrestata.

La povera donna era quasi demente.

Si può facilmente immaginare l’esacerbazione che aveva prodotto nel suo animo contristato quel trattamento; alla sera poi era sopravvenuta la notizia che suo figlio era condannato a morte: notizia, che le pietose vicine le avevano data con tutti i possibili riguardi, ma che necessariamente aveva portato una trafittura tremenda nel suo cuore di madre.

L’avvocato la trovò dunque in tale stato di esaltazione, che faceva veramente temere della sua ragione.

Ella volle rimaner sola con lui; e con una narrazione, interrotta ad ogni tratto dai singulti e dalle lagrime, le raccontò tutto quanto era passato fra lei, la principessa Rizzi e monsignor Pagni, e come essi per salvare il loro figliuolo avevano sagrificato il suo Gaetano, e come le porte del palazzo Rizzi le fossero chiuse irrevocabilmente, e nel giorno prima fosse stata cacciata a forza dal palazzo di Monte Citorio, dove erasi presentata a monsignor Pagni.

L’avvocato l’ascoltò senza far parola, poi rimase lungamente pensando in silenzio; finalmente levò la testa, e disse alla donna, la quale aspettava ansiosamente ch’egli parlasse:

— Acquietatevi, Maria. Mettete, per quanto potete, in calma il vostro spirito, che in questa storia io travedo un filo di speranza per la salvezza di vostro figlio.

— Davvero? Oh santa Vergine del cielo! gridò la Tognetti, esaltandosi a un tratto, all’idea di quella speranza.

— Ma calmatevi, ve ne supplico! Noi otterremo forse qualche cosa, ma a patto di essere, per quanto è possibile, tranquilli e prudenti. Abbiamo a fare con gente potentissima, e colla violenza e l’audacia non faremmo nulla; bisogna adoperare invece le arti dell’astuzia e della preghiera. [p. 112 modifica]Ascoltate, Maria: la principessa Rizzi è buona; perchè si sia ridotta a chiudervi spietatamente la strada di giungere fino a lei, bisogna dire che vi sia stata astretta da tutto l’esaltamento dell’amor materno, che è il più esclusivo e il più prepotente dei sentimenti. Pietosa per suo figlio, fu costretta ad essere crudele con voi. Voi forse, che tanto amate il vostro Gaetano, al suo posto avreste fatto lo stesso. Ma il suo cuore non è cattivo: io son certo ch’ella sente rimorso di avere trattato con voi a quel modo. Il fatale annunzio della sentenza di jeri deve averle pesato nel cuore. Se voi poteste in questo momento giungere a presentarvi a lei, se voi le parlaste, non già come una donna offesa che reclama giustizia, ma come una povera madre che prega e piange per la vita del figlio, io sono certo che voi arrivereste a toccare le fibre più sensibili del suo cuore. E siccome la famiglia Rizzi è una delle più potenti di Roma, per mezzo di lei non sarà difficile ottenere la grazia di vostro figlio.

— Dio lo voglia esclamò Maria congiungendo le mani, con l’espressione più commovente della preghiera.

— Ora a voi, riprese l’avvocato: mettetevi in calma più che potete. Adesso bisogna pensare al modo d’introdurvi nel palazzo Rizzi. Sarebbe opportuno che io mi trovassi vicino per... Oh! appunto... io non vi pensavo più. Devo averlo in saccoccia... Ecco.

Leoni tolse di tasca il portafogli, lo aperse, e cercò fra le carte che vi erano contenute. Trovò quella che voleva, la svolse, la guardò, poi disse:

— È questa sera!

La carta che guardava era l’invito a un ballo di gala che la principessa Rizzi dava appunto in quella sera.

— Aspettatemi, disse l’avvocato alla Maria, e pregate il Signore. Prima di sera mi rivedrete.

Egli corse al palazzo Rizzi: attraverso l’atrio, salutato dal guardaportone, che lo conosceva; salì le scale. I servi erano tutti affaccendati nei preparativi della festa.

Giunto all’anticamera, l’avvocato Leoni chiese del cameriere Giuseppe.

Giuseppe, antico servitore della casa Rizzi, era un vecchio dai capelli bianchi, padre di numerosa famiglia. Leoni lo conosceva da lungo tempo.

— Giuseppe, gli disse questi, quando furono soli in uno stanzino, bisogna che tu mi aiuti a fare una buona azione.

— Dica pure, signor avvocato, e se posso...

— Sai che io sono il difensore di quei due poveretti, che ieri sono stati condannati a morte. Ebbene, sappi ancora che la madre d’uno di essi vorrebbe pregare la signora principessa, affinchè intercedesse, allo scopo di ottenere la grazia sovrana per suo figlio. Io le ho promesso di trovar modo d’introdurla presso la signora, ed è in questo appunto che ho bisogno del tuo aiuto. [p. 113 modifica]

Giuseppe pensò alquanto, poi disse:

— Si vedrà. Domani...

— Oh no! Vedi bene che è cosa di tale e tanta urgenza, che un’ora

Curzio, colpito da cinque o sei colpi, cadde supino. — Pag. 129.

di ritardo può decidere della vita. È necessario che questa sera Maria Tognetti parli alla principessa.

— Ma questa sera è impossibile! Vossignoria sa bene che vi è il ballo.

— Appunto; non si potrebbe, nella confusione della festa...? [p. 114 modifica]

— Aspetti!... Sì, vi sarebbe un mezzo. Questa sera, oltre alle sale, sarà illuminato anche il giardino, al quale si discende per una scala della loggia superiore, e vi si recheranno gli invitati a passeggiare. La Tognetti potrebbe introdursi per una porticella, che dal vicolo qui vicino mena al giardino, e là potrebbe starsene nascosta fra i cespugli, finchè le capitasse agio di parlare colla padrona.

— Va bene; al rimanente penserò io, disse l’avvocato.

— Or bene, io posso procurarle la chiave della porticina.

— Siate benedetto!

Il vecchio uscì dalla stanza, e ritornò, dopo qualche minuto, con una chiave.

— Ma badi, disse, se qualcuno venisse a sapere che io le ho affidata questa chiave, sarei rovinato.

― State sicuro, buon Giuseppe.

— Io pongo in sua mano l’avvenire della mia famiglia.

Così dicendo, il cameriere porse la chiave a Leoni.

— Queste sono quelle azioni, disse l’avvocato, per cui non bastano i ringraziamenti. Vi ricompensi il cielo della vostra misericordia.

— Così potesse quella poveretta ottenere l’intento!

Leoni strinse la mano al vecchio cameriere, e corse a casa della Tognelli, alla quale consegnò la chiave colle opportune istruzioni.