<dc:title> I fioretti di Sancto Francesco </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Anonimo</dc:creator><dc:date>XIV secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Anonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XLI&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240702225515</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XLI&oldid=-20240702225515
I fioretti di Sancto Francesco AnonimoAnonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu
ntorno allo prencipio dell’Ordine, vivendo sancto Francesco, venne all’Ordine uno giovane d’Ascesi, il quale fu chiamato frate Simone, il quale Iduro adornò e dotò di tanta grazia e di tanta contemplazione et elevazione di mente, che tutta la sua vita era uno specchio di santità, secondo coloro che lungo tempo furono con lui. Costui radissime volte era veduto fuori di cella; se alcuna volta istava co’ frati, sempre parlava di Dio. Questi non avea mai apparato grammatica, e nondimeno sí profondamente e sí altamente parlava di Dio e dello amor di Cristo, che le sue parole pareano parole sopranaturali. Onde una sera, essendo nella selva con frate lacopo da Massa per parlare di Dio, e parlando dolcissimamente dello divino amore, istettono tutta una notte in quello parlare; e la mattina pareva loro essere istato pochissimo ispazio di tempo, secondo che mi recitò il detto frate lacopo. Il detto frate Simone avea in tanta soavità e dolcezza di Spirito sancto le divine illuminazioni e vicitazioni amorose di Dio, che ispesse volte, quando elli le sentiva venire, elli si poneva in sullo letto; [p. 150modifica]imperò che la tranquilla soavità dello Ispirito santo richiedeva in lui non solo il riposo della mente, ma eziandio quello dello corpo. Et in quelle cotali visitazioni divine elli era molte volte ratto in Dio, e diventava tutto insensibile alle cose corporali. Onde una volta ch’elli era cosí ratto in Dio et insensibile al mondo, ardeva dentro dello divino amore e non sentiva niente di fuori co’ sentimenti corporali, uno frate, volendo avere isperienzia di ciò, e vedere se fosse come pareva, prese uno carbone di fuoco e poseglielo in sullo piede ignudo; e frate Simone non lo sentí niente, e non gli fece niuno segnale in sullo piede, bene ch’elli v’istesse su per grande ispazio, tanto ch’elli si spense da sé medesimo. Il detto frate Simone, quando si poneva a mensa, innanzi ch’elli prendesse il cibo corporale, prendeva per sé e dava il cibo ispirituale, parlando di Dio; per lo cui parlare divoto si convertí una volta un giovane da San Severino, il quale era nello secolo uno giovane vanissimo e mondano, et era nobile di sangue e molto dilicato dello corpo suo. E frate Simone, ricevendo il detto giovine all’Ordine, si riserbò i suoi vestimenti secolari appresso di sé, et esso istava con frate Simone per essere informato da lui nelle osservanze regolari. Di che il dimonio, il quale s’ingegna di sconciare ogni bene, gli mise adosso sí forte istimolo e sí ardente tentazione di carne, che per niuno modo costui poteva resistere. Per la qual cosa elli se n’andò a frate [p. 151modifica]Simone e dissegli: — Rendimi i miei panni, i quali io recai dallo secolo: imperò ch’io non posso piú sostenere la tentazione carnale. — frate Simone, abbiendogli compassione, gli disse: — Siedi qui un poco, figliuolo, con meco; — e cominciava a parlargli di Dio, et ogni tentazione si partiva; e poi a tempo ritornando la tentazione, et elli richeggiendo i panni, frate Simone la cacciava collo parlare di Dio. E fatto cosí piú volte, finalmente una notte l’assalí sí forte la detta tentazione, piú ch’ella non soleva, che per cosa dello mondo non potendo resistere, se n’andò a frate Simone, radomandandogli al tutto i panni suoi secolareschi; ché per niuno partito elli ci potea piú istare. Allora frate Simone, secondo ch’era usato, il fece sedere allato a sé, e parlandogli di Dio, il giovane inchinò il capo in grembo a frate Simone, per malinconia e tristizia. Allora frate Simone, per grande compassione ch’egli gli avea, levò gli occhi in cielo, e pregando Iddio divotissimamente per lui, fu ratto et esaudito da Dio. Onde, ritornando elli in sé, il giovane si senti al tutto liberato da quella tentazione, come se mai non l’avesse sentita; anzi, essendo mutato l’ardore della tentazione in ardore di Spirito sancto, però ch’elli s’era accostato allo carbone affocato, cioé a frate Simone, tutto diventò infiammato di Dio e dello prossimo, in tanto che, essendo preso una volta uno malfattore, a cui dovieno essere tratti amendue gli occhi, costui per compassione [p. 152modifica]se ne andò arditamente allo Rettore in pieno Consiglio, e con molte lagrime e prieghi divoti addomandò che a sé fosse tratto l’uno occhio et al malfattore l’altro, acciò ch’elli non rimanesse privato al tutto della vista. Ma veggendo il Rettore collo Consiglio il grande fervore della carità di questo frate, sí perdonarono all’uno et all’altro. Istandosi cosí il sopra detto frate Simone nella selva in orazione, e sentendo grande consolazione nella anima sua, una ischiera di cornaccie col loro gridare gli cominciarono a fare noia; di che elli comandò loro nello nome di Gesú ch’elle si dovessono partire e non tornarvi piú; e partendosi allora i detti uccelli, da indi innanzi non vi furono mai piú veduti né ivi né in tutta la contrada d’intorno; e questo miracolo fu manifesto a tutta la custodia di Fermo, nella quale era il detto luogo. A laude di Cristo. Ammen.