I divoratori/Libro secondo/XXVIII

XXVIII

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XXVIII.

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«Caro Selvaggio, diletto amico mio,

«Il tuo richiamo mi scuote il cuore. Tutti i miei desideri, tutti i miei sogni uniscono le loro voci alla tua, gridandomi di andare da te.

«Ahimè! Una piccola preghiera che la povera Fräulein mi faceva dire quando ero bambina mi sussurra il puerile ritmo nell’orecchio; e quella voce piana vince e affoga le grida dei miei disperati desideri. La conosci tu, la piccola orazione dei tre angeli che la notte stanno intorno al nostro letto?

Angelo bianco (angelo di Dio!)
Deh, stendi l’ali sopra il capo mio.

Angelo azzurro (angelo di Maria!)
Tieni la mano sulla mano mia.

Angelo d’oro (angelo di Gesù!)
Tienimi il cuore e non lasciarlo più!

«Per tanti anni ho ripetuto quella preghiera che forse gli angeli l’hanno udita. Ed ora, come posso io venire da te così legata? [p. 396 modifica]

«La Chiesa e la Legge, come i due primi angeli, mi tengono prigioniera; e tu sai che la mia piccola anima convenzionale rifugge da ciò che è irregolare e vietato. Ma fossi io libera come l’aria per accorrere a te — il Terzo Angelo rimane. E il Terzo Angelo mi tiene il cuore.

«Anne-Marie è il terzo angelo. Anne-Marie mi tiene il cuore nelle manine candide. Come potrei strapparlo a lei?

«Dimmi tu, dimmi tu! Come potrei lasciarla?

«O allora, come potrei condurla con me? Pensa — pensa e rispondi.

«Caro Selvaggio, io sono una delle «divorate». Non esisto più. La mia piccola Anne-Marie mi ha divorata. Ed è giusto, ed è bello, ed è santo che sia così. Essa mi ha consumata, e io ne sono lieta. Essa mi ha annichilita e io ne sono riconoscente.

«Poichè è questa l’eterna legge, inesorabile e magnifica: che a queste vite date a noi, la nostra vita devo essere data.

«Ed io — come tutte le madri — estasiata e a ginocchi, dò la mia vita alla creatura inconscia che la esige.

«Ecco: io ricado nell’ombra: la mia corsa non finita, la mia méta non raggiunta, la mia missione non compiuta. Che importa? Ciò che a me fu negato, sarà dato ad Anne-Marie. Mia figlia raggiungerà le vette ch’io non ascesi. Per lei sarà la Gloria ch’io non conquistai.

«O amico e amato mio, alla cui tetra sorte io debbo aggiungere questo dolore: comprendimi e perdona! Nella mia vita non vi è posto per l’amore. La mia vita è tutta turbine ed agitazioni, tutta fretta e furia, tutta ansia e febbri, e treni che corrono, e voci che gridano, e mani che applaudono...

«Non vedi tu la nostra esistenza come in un quadro? Il Pifferaro della Leggenda che turbina, suonando e [p. 397 modifica] danzando, davanti a noi. E via, per vette e balze e precipizii, gli vola dietro la piccola Anne-Marie, ebbra di musica, folle di gloria... ed io li seguo, correndo, ansando, palpitando, perdendo nella folle corsa tutto ciò che una volta fu mio, lasciando tutto, tutto dietro di me — i sogni, le speranze, l’Amore...

«L’Amore! l’Amore in questo quadro non è un giovinetto nume, radioso e ridente, coronato di rose e di passione. No. L’Amore è una figura austera, e triste, e solitaria... Oh, caro Selvaggio, io so quanto triste, e quanto solitario tu sei!

«Ma tu comprendimi e perdona! E di’ addio. Addio a Nancy».


E il Selvaggio comprese. E perdonò. E disse addio a Nancy.

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