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i divoratori 279


D’aritmetica Anne-Marie capiva poco. Di geografia niente.

Con occhi vacui accennava a due punti sulla carta geografica e diceva: «Skagerrack e Kattegat».

Queste erano le uniche due parole che voleva tenere a mente.

— Ma insomma, — diceva Fräulein, — sei ridicola col tuo Skagerrack e Kattegat. Questa è la Gran Bretagna....

— Perchè è la Gran Bretagna? — chiedeva Anne-Marie distratta, guardando fuori dalla finestra.

E Fräulein, molto depressa, diceva a Nancy:

— No, no. La tua figlia non è niente affatto un genio.

Un giorno George e Peg vennero a trovar Nancy nella pensione di Lexington Avenue. Condussero con loro anche il signor Markowski, timido e unto, col suo violino.

Nel salone, dopo il thè, Nancy pregò il violinista di suonare. Questi si alzò subito; andò ad aprire la cassetta del suo violino e tolse teneramente dal giaciglio di felpa grigio-perla il suo istrumento.

Markowski era polacco, e giovane, e lacero, ma il suo violino era italiano, e vecchio, e prezioso. Markowski aveva un fazzoletto sudicio, ma il violino ne aveva uno pulito, morbido, di seta bianca. Markowski pose un cuscinetto di velluto nero sul collo spelato della sua giacca; vi poggiò sopra il violino, alzò l’arco e chiuse gli occhi: allora Markowski divenne un dio!

Conoscete l’angoscia affrettata della «Sonata in fa» di Grieg? Conoscete le strillanti e scoppiettanti risate della «Ronde des Lutins» di Bazzini? Il lamento ululante e nostalgico dei non scritti canti tzigani? Il battito di piedini alati nel «Moto perpetuo» di Ries?

Tutto ciò avvolse nel suo turbine di note la piccola Anne-Marie.