I briganti del Riff/15. Un supplizio spaventevole

15. Un supplizio spaventevole

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15.

UN SUPPLIZIO SPAVENTEVOLE


Una ventina di banditi, seguiti da parecchie donne seminude e di forme splendide, si erano affrettati a muovere incontro al nuovo sceicco. Il cadavere della Pantera del Gurugù, ben legato ad un cavallo, era già giunto poco prima, guidato da quattro guerrieri, provocando un gran scoppio di dolore e d'indignazione.

Infatti le donne, vedendo i prigionieri, avevano subito cercato di assalirli, armate di coltelli, e la scorta aveva avuto un bel da fare a respingerle.

La Jena del Gurugù si diresse verso il centro del duar ove sorgeva la tenda del defunto capo, assai più alta delle altre e lunga ben dodici metri, e comandò l'alto.

I due studenti furono subito staccati dai cavalli e portati nella tenda dove già si trovavano sei riffani dalla barba bianca che funzionavano da giudici, e sei guerrieri che avevano le alte cinture piene di pistole, di yatagan e di pugnali.

Zamora invece era stata condotta in un'altra tenda, dove forse dovevano trovarsi la Strega dei Vènti ed il traditore.

Il nuovo sceicco accomiatò i guerrieri, intimò alle donne ed ai ragazzi di non mandare alcun grido se volevano evitare venti colpi di canna alle piante dei piedi, e raggiunse i giudici i quali fumavano tranquillamente i loro cibuc.

— Ora che la Pantera è morta son io che la sostituisco — disse. — Quindi mi dovrete tutti assoluta obbedienza.

Dopo quelle parole pronunciate in lingua spagnola, perché anche i prigionieri potessero comprenderle, prese una stuoia e si sedette di fronte ai sei vecchi, impegnando con loro una vivissima discussione in lingua araba.

Che cosa diceva? Era quello che si chiedevano con una viva angoscia i due prigionieri, i quali non conoscevano una sola parola dei figli della lontana patria di Maometto.

Dopo un quarto d'ora di discussione lo sceicco si era alzato e si era avvicinato ai due prigionieri, dicendo loro: — I vecchi della tribù vi hanno condannati.

— E per quale motivo, signor brigante? — gridò Carminillo, tentando, con uno sforzo disperato, di rompere i legami per balzargli alla gola e strangolarlo.

— Prima di tutto perché siete spagnoli. È una settimana che i vostri compatrioti ci attaccano a colpi di cannone, distruggendo le nostre arche e rovinando i nostri duars. Poi perché avete ucciso dei nostri, ed il sangue chiama altro sangue.

— Hai finito?

— Non ancora. Aggiungerò che siete cristiani e che quindi come tali vi era assolutamente interdetto il nostro territorio.

— Sicché verremo fucilati — disse Pedro, tentando di sputargli addosso.

— Fucilati!... — rispose il bandito con un sogghigno. — Uh!... Non si usa nemmeno nel vicino Marocco.

— Scannati, allora — disse Carminillo.

— Uh!... Sarebbe una morte troppo rapida.

— Infame assassino, che cosa vuoi fare dunque di noi?

— Le barbe bianche hanno deciso. Possiamo andare.

— Dove? — chiesero i due disgraziati giovani, con voce alterata.

— Lo saprete più tardi. Fra tre ore il sole tramonterà e non sarebbe prudente per noi, fermarci qui, quando la notte ha steso il suo nero manto.

— Non è qui dunque che ci ucciderai? — chiese Carminillo che pensava alla gitana.

La Jena del Gurugù, senza rispondere, gli voltò le spalle, per prendere una tazza di caffè fumante e profumato che una giovane aveva offerto. Il miserabile lo sorseggiò lentamente, poi quando l'ebbe vuotata battè le mani.

Subito otto robusti uomini entrarono nella tenda.

— Prendete i prigionieri e legateli ai cavalli.

I due studenti furono sollevati di peso e, non ostante la loro disperata resistenza, furono trascinati fuori della tenda.

Un drappello composto di ventitré cavalieri e di due grosse vacche, le quali non portavano sul loro dorso assolutamente nulla, li aspettava al di fuori.

I due studenti furono rilegati come prima ai cavalli, ed il drappello partì mentre le donne urlavano forsennatamente: — A muerte!... A muerte, cristianos!...

La Jena del Gurugù passò in rivista i guerrieri fra i quali si trovavano anche le sei barbe bianche che avevano pronunciata la sentenza di morte, poi dette il segnale della partenza.

I ventitré cavalli e le due vacche si misero subito in moto ridiscendendo verso la gola, mentre le donne del Riff urlavano un'ultima volta: — A muerte!... A muerte!...

Il drappello attraversò tutta la gola, poi entrò in una folta boscaglia e dopo aver percorsi tre o quattro chilometri ad un ordine del capo si fermarono.

Vi era uno spazio sgombro di piante ma coperto invece da una fitta erba assai dura, che anche i cammelli avrebbero rifiutata.

I cavalieri smontarono, legarono gli animali gli uni agli altri, formarono un gran cerchio e caricarono i fucili.

Uno di loro, armato d'un enorme coltellaccio, si avvicinò alle due vacche che erano state legate, e con due colpi ben assestati le scannò. Le povere bestie non avevano mandato nemmeno un muggito. La morte era stata fulminante.

— Carminillo — chiese Pedro, il quale cercava invano di padroneggiarsi. — Perché hanno ucciso quelle bestie? Che cosa possono entrare nella nostra morte, se sarà proprio vero che noi dovremo, fra poco, salpare pel mondo misterioso da cui nessuno è mai tornato?

Il giovane ingegnere non rispose. Era diventato livido ed i suoi occhi, dilatati dal terrore, facevano paura.

— Parla, Carminillo — insistette il chitarrista impressionato pel silenzio del compagno. — Che ci leghino a quelle due vacche per farci poi divorare dai leoni che in questa boscaglia non mancheranno?

Anche questa volta l'ingegnere non aprì bocca. Pareva che avesse la lingua paralizzata.

— Orsù, amico, dimmi di quale morte noi dovremo finire.

— Non oso, Pedro.

— Io non ti ho veduto mai tanto spaventato.

— Non oso — ripetè Carminillo, il quale fissava le due vacche che avevano già finito di agitarsi e di perdere sangue.

— Che vogliano farci mangiare tutta quella carne e farci scoppiare?

— Peggio ancora, mio povero Pedro.

— Sono così feroci questi briganti?

— Te l'ho sempre detto. Sono i più crudeli di tutte le tribù marocchine. Guarda, Pedro!... Ah!... Me lo immaginavo.

L'uomo che impugnava il coltellaccio, aveva squarciato alle due vacche il ventre, in tutta la sua lunghezza, poi, aiutato da altri quattro cavalieri, si mise ad estrarre gli intestini, sprigionando un odore orribile. Cuore, polmoni, ventricoli, furono levati e ammontati da una parte.

— Carminillo!... — gridò Pedro. — Io comincio ad aver paura!... In nome di Dio, dimmi a quale spaventevole supplizio ci hanno condannati questi miserabili.

In quel momento la Jena del Gurugù si avvicinò a loro, e dopo di averli contemplati per qualche istante con occhi fosforescenti, disse: — Siete pronti?

— Che cosa vuoi, cane? — urlò Carminillo. — Io so ormai come tu ci farai morire.

— Vi metto al caldo nel ventre delle vacche, al riparo delle zanzare e delle formiche, augurandovi di non imputridire anche voi troppo presto. Il sole corrompe rapidamente le carni, e domani queste bestie non saranno che due carogne puzzolenti.

— Ed i loro ventri ci serviranno di letto, è vero, furfante? — chiese Carminillo.

— Ci starete meglio che su una semplice stuoia — rispose il miserabile sogghignando. — L'umidità della terra non vi toccherà!

— Vile!...

— Eh via, finiamola! — esclamò il bandito, il quale cominciava ad impazientirsi. — Dobbiamo tornare al nostro duar e non desideriamo incontrare i leoni che battono questa selva tenebrosa in buon numero.

— Sii generoso, consideraci come prigionieri di guerra e fa' sparare su di noi.

— La morte sarebbe troppo dolce, cristiano. Avete ucciso la Pantera del Gurugù ed ora pagherete il conto.

— L'ho ucciso lealmente, fucile contro fucile!... — urlò il disgraziato giovane.

— Io so che la Pantera del Gurugù non è più vivo, e che domani la popolazione del duar seppellirà il suo cadavere. Chi lo ha mandato a trovare le uri del nostro paradiso? Io forse?

— No, io.

— Ed allora non lamentarti della punizione che le sei barbe bianche, tutti vecchi caicci, hanno pronunciato.

— Sia pure contro di me, ma non contro il mio compagno.

— È uno spagnolo, era con te e basta — rispose lo sceicco, alzando le spalle.

— O qualcuno ti ha suggerito di ucciderci?

— Può darsi.

— Un mio compatriotta è vero, ma zingaro!... — urlò Carminillo.

— Questi sono affari che riguardano Siza Babà. Quando il tuo corpo sarà bene imputridito insieme a quello della vacca, se qualche leone non verrà prima a mangiarti la testa, potrai fare una visita alla Strega dei Vènti. Hai altro da dire?

— Che il Profeta ti maledica e che faccia morire tutti i tuoi cammelli, tutti i tuoi montoni e perfino l'ultimo tuo pollo! — esclamò Carminillo.

— Il Profeta è troppo buono verso i suoi credenti, per maltrattarli quando uccidono dei porci di cristiani — rispose lo sceicco, e, sempre sogghignando, si volse verso i suoi uomini e fece loro un cenno.

I due disgraziati studenti di Salamanca, malgrado le loro urla, i loro morsi, i loro calci, furono tolti dai cavalli e cacciati dentro a forza, nei ventri spalancati e ancor fumanti delle due vacche.

L'uomo che aveva scannati gli animali aveva preparato un lungo ago d'osso, assai acuminato, infilando nella cruna dei nervi secchi di capretti e di giovani montoni.

Con maestria straordinaria cucì in fretta le due aperture, entro le quali si trovavano imprigionati i due studenti, colle mani legate dietro al dorso e le gambe assai bene strette.

Fuori del collo delle bestie sporgevano le due teste, spaventosamente pallide, cogli occhi sbarrati. Il sangue che non aveva ancor finito di colare, attirava una immensa quantità di mosche e di zanzaroni.

— Vi auguriamo la buona notte — disse la Jena del Gurugù, col suo solito sorriso ironico. — Se i leoni verranno, cercate di ritirare le testa e lasciate che mangino le vacche.

— Vigliacco!... — urlò Carminillo.

Lo sceicco scrollò le spalle, guardò il sole che si abbassava, poi montò sul suo cavallo tosto imitato da tutti gli altri.

— Buona notte — ripetè. — Che il Profeta abbia misericordia di voi.

Ed il drappello si allontanò, attraverso alla folta boscaglia, schiamazzando, scomparendo ben presto verso la profonda valle.

I due studenti, terrorizzati per quello strano supplizio, dopo la partenza dei briganti non avevano più osato scambiarsi una parola.

Si trovavano l'uno a pochi metri dall'altro, ed il carnefice aveva cucito così bene l'enorme ferita degli animali, da impedire loro di fare qualsiasi movimento.

Un calore spaventevole si era subito comunicato ai loro corpi. I due disgraziati si sentivano cucinare lentamente vivi, fra gli appestanti odori degli intestini che i briganti avevano lasciati sul posto, per attirare più facilmente le belve feroci.

— Carminillo!... — gridò Pedro, dopo parecchi minuti, dimenando disperatamente la testa e respirando fragorosamente l'aria. — Che sia proprio giunta la nostra ultima ora? Parla!... Parla, in nome di Dio!...

— Io ti ho assassinato — rispose il giovane ingegnere, con voce strozzata. — Non dovevo condurti qui... Perdonami, Pedro.

— Perdonarti? E di che cosa? Forse che ne hai colpa tu, se i riffani sono più feroci delle pellirosse? E poi, probabilmente, sarei partito per la guerra, e forse mi sarebbe toccata sorte eguale.

— No, perdonami — ripetè Carminillo. — Il totem del primo re zingaro ha rovinato tutti.

— Ormai credo che non ci penserai più.

— Eppure non dispero ancora.

— Su chi conti?

— Zamora è libera.

— Sì, ma guardata dalla Strega dei Vènti e da Janko.

— Quella fanciulla è capace di ucciderli tutt'e due.

— Che sia coraggiosa come una giovane leonessa non lo nego — disse Pedro, il quale continuava a dimenare rabbiosamente la testa, tentando di rompere qualche punto della terribile cucitura. — E poi vi sono i briganti, ed avrà da fare i conti anche con loro.

— Eppure, ti ripeto, che non ho perdute tutte le mie speranze di uscire da questo carnaio che domani comincerà a putrefarsi, e poi ci putreferemo anche noi.

— A pensarci bene mi sento rizzare i capelli. Quelle canaglie potevano cercare un altro genere di morte meno crudele... Bah! Penseranno a vendicarci i nostri compatrioti. Io spero che questa volta la Spagna la farà finita con questi predoni, e che infliggerà loro disastri su disastri. È bensì vero che il Riff è sempre stato un osso duro da conquistare.

— Causa le montagne che proteggono i banditi... Pedro, mi sembra di essere dentro un forno.

— Ed io pure, amico.

— Questa carne fresca sprigiona un calore infernale, racchiusa come è.

— Che cominci già a corrompersi?

— Può darsi. In questi paesi le bestie devono venire mangiate subito, poiché dopo poche ore sarebbero inservibili anche pei palati riffani.

— E che tanfo pestilenziale tramandano gli intestini! Cucinati e soffocati!... Che spaventevole supplizio!... E non poter tentare nulla per sbarazzarci di questa prigione di nuovo genere! Invano tiro calci e non riesco a ottenere nulla.

— Siamo stati troppo bene cuciti, mio povero Pedro — disse Carminillo, il quale ansava fortemente, respirando più aria che poteva.

— Vedremo il sole di domani?

— Vuoi morire così presto?

— Ed i leoni? Se giungono, povere le nostre teste. Saranno i loro primi bocconi.

— Ora sei tu, Pedro, che cerchi di spaventarmi.

— Niente affatto, Carminillo. Non mi sono sfuggite le parole dello sceicco nell'allontanarsi, e poi mi pare che questa selva sia veramente adatta per le bestie feroci.

— Se giungessero sarebbe forse meglio per noi. La nostra tortura sarebbe subito terminata.

— Mi fai tu ora rabbrividire, Carminillo. Che terribile emozione proveremo noi vedendo dei leoni e delle pantere accostarsi, e senza poter respingere né gli uni né le altre! Non ti senti correre un brivido per le ossa, malgrado il calore che ci avvolge?

— Sarà una emozione così terribile da farci morire di paura prima di venire divorati.

— Taci!...

— Che cosa hai udito? — chiese Carminillo.

— Qualche belva ha urlato in lontananza, forse dentro la gola — rispose Pedro, impallidendo.

— È troppo presto ancora. Le belve hanno l'abitudine di lasciare i loro covi assai tardi.

— Eppure non devo essermi ingannato.

— Sarà stato uno sciacallo.

— Che quelle luride bestie vengano a farci una serenata, Carminillo?

— È probabile. Non mangeranno noi, bensì gli intestini ed il resto e sotto i nostri occhi.

— Taci!... Taci!...

— Ancora?

— Ascolta bene!...

In lontananza era echeggiato un urlo sinistro, che pareva provenisse dalla parte della gola, poi bruscamente cessò.

— Leone, pantera o sciacallo? — chiese Pedro.

— Non so — rispose Carminillo, il quale faceva dei formidabili sforzi per liberare almeno le spalle.

— Siamo perduti.

— È ancora troppo presto.

Il cielo d'un azzurro intenso allo zenit, era pieno all'occidente di striature giallastre, e cominciava già rapidamente ad oscurarsi. La notte calava stendendo il suo cupo mantello stellato d'oro.

Ad un tratto l'urlo di poco prima si fece udire più acuto e vicino, seguito a breve distanza da uno scoppio di tuono.

— Il leone!... — gridò Pedro.

— Che marcia cogli sciacalli — aggiunse Carminillo.

— La nostra ultima ora è giunta, è vero?

— Chi lo sa?

— Speri sempre?

— Sempre, Pedro.

— A me invece pare di sentirmi stritolare la cassa cranica fra le mostruose mascelle del re delle foreste. Ah, povero futuro avvocato che ti fai mangiare la parte più nobile del tuo corpo da una belva! Chi mi dà un mauser?

— Pedro, diventi pazzo? — chiese Carminillo. — Anche se tu avessi un fucile che cosa ne faresti? Abbiamo le mani legate.

— È vero — rispose Pedro. — Si avvicina dunque rapidamente?

— Non mi pare. Quelle belve non hanno mai fretta. Sono troppo sicure della loro forza e della loro ferocia.

— Io non sono mai stato un pauroso, Carminillo, eppure devo confessarti che in questo momento ho paura.

— Ed io!... Mi credi di ferro tu?

— Che cosa vuoi? Penso sempre al momento in cui il leone romperà come una semplice nocciuola la mia testa.

— Chiuderai gli occhi.

— E quel miserabile mangerà della carne quasi frolla!... — urlò Pedro. — Io credo che il mio corpo sia quasi cotto.

— Il leone non è ancora qui.

— Ma si avanza. Non odi dunque tu?

— Purtroppo! — rispose il giovane ingegnere il quale tendeva continuamente gli orecchi.

Un altro colpo di tuono rimbombò in quel momento nella foresta tenebrosa, seguito dalle urla acute e sgradevoli degli sciacalli.

Il terribile predone aveva ormai fiutata la preda, e s'avanzava verso una cena facile e più che abbondante.

Trascorsero alcuni minuti, poi sotto una folta macchia si udì un ronfare sonoro.

La belva era giunta e si preparava al formidabile assalto.

— Carminillo!... — gridò Pedro, battendo i denti per lo spavento. — Dove ci rivedremo noi?

Il giovane ingegnere ebbe ancora l'audacia di scherzare.

— Dove!... Nelle budella del leone!...

— Eccolo!...

Due occhi fosforescenti erano comparsi sotto i vegetali, puntandosi sulle due teste umane, poi un formidabile ruggito lacerò l'aria soffocando le urla degli sciacalli.

I due disgraziati studenti, racchiusi dentro la loro prigione, impotenti a fare qualsiasi movimento, guardavano con orrore il bestione che s'avanzava.

— Addio, Carminillo — disse Pedro, con voce fioca.

— Perdonami.

— Ma che!... Sarei già morto in mare, quando la Kabilia si è fracassata.

— No, perdonami.

— Ti assolvo di tutti i tuoi peccati; ed ora chiudiamo gli occhi ed aspettiamo il terribile momento. Bah!... Era scritto sul gran libro del destino che io non avrei difeso, col mio cervello, nessun delinquente. Se lo mangino dunque i leoni.

Tentò un ultimo sforzo per scucire il ventre della vacca, poi, esausto, si abbandonò più morto forse che vivo.

Il leone intanto, seguito da una banda di sciacalli urlanti, s'avanzava, impaziente di cenare.