I briganti del Riff/14. La pantera del Gurugù

14. La pantera del Gurugù

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14.

LA PANTERA DEL GURUGÙ


In quel momento l'uragano scoppiava con inaudita violenza, seguito da tuoni spaventosi che soffocavano completamente il fragore dei pezzi spagnoli.

I due studenti e la gitana, approfittando di quel soccorso inaspettato, percorsero sempre di corsa un paio di chilometri e si cacciarono dentro ad una folta macchia di querce che si allineava sull'orlo d'una profonda gola.

Le urla dei briganti erano cessate, così pure le cannonate della piccola nave spagnola. I primi dovevano averne avuto abbastanza, ed aver anche compresa l'inutilità di continuare la lotta contro le granate; la seconda doveva invece aver preso il largo per sfuggire le furiose sferzate del vento sciroccale.

I due studenti e la gitana si nascosero sotto una fitta pianta che lasciava cadere i suoi rami fino quasi a terra anziché in alto, e si addossarono gli uni all'altra, tendendo ansiosamente gli orecchi. Non occorre dire che avevano portato con loro i fucili e le cartuccere, le quali erano ancora discretamente fornite.

— Che ci scovino anche qui? — chiese Pedro, mentre l'acqua cominciava a cadere a torrenti.

— Io vorrei sperare di no — rispose Carminillo. — Forse quei furfanti ci crederanno sepolti sotto le rovine del minareto e non penseranno più a noi.

— Che si siano rifugiati nei loro duars?

— Non li ho veduti ancora passare.

— Che si siano riparati dentro qualche macchia?

— Lo suppongo, Pedro. Aspetteranno l'alba prima di abbandonare il margine dell'altipiano.

— Devono aver subito delle belle perdite. Carrai!... Come tiravano bene i due pezzi della cannoniera!... Ah, se potessimo raggiungerla!...

— Non ci pensare, amico, e poi io e Zamora non torneremo in Spagna senza il totem.

— E siete proprio decisi a scalare il Gurugù, che si dice sia il più grande rifugio dei banditi?

— Certamente.

— Verremo presi.

— Speriamo di no, Pedro.

— E Janko?

— Ah, sarei curioso anch'io di sapere che cosa ne è successo di quella canaglia!

— Sarà insieme alla strega — disse Zamora. — Io però non dispero di ritrovarlo, ed allora avrà da fare con me.

— Trovarlo? E dove? Sulle falde del Gurugù forse? Quel birbante sarà andato in cerca del totem — soggiunse Carminillo. — Se saprà trovarlo! Il fazzoletto l'ho sempre io e non lui, e non potrà dirigersi.

— Ma quella vecchia, che pare sia una gitana, può sapere molte cose intorno al sepolcro del primo re zingaro.

— Le daremo la caccia e la getteremo in qualche burrone del Gurugù — disse Pedro. — Io non ho mai avuto paura del vento, e se lo scatenasse anche Eolo me ne infischierei altamente.

— Non ti pare, amico, che si stesse meglio dentro il minareto? — domandò Carminillo. — Almeno là eravamo al coperto.

— Ma a quest'ora saremmo schiacciati come topi — rispose l'indiavolato chitarrista. — Preferisco infradiciarmi.

Ad un tratto Carminillo si alzò di scatto, gridando: — Passano!...

— Chi? — chiesero Zamora e Pedro ad una voce.

— I briganti.

— Ancora in gran numero?

— Mi sembrano molto decimati. Le granate dei nostri compatrioti hanno morso per bene la loro carne.

La gitana ed anche Pedro erano balzati in piedi, ed alla luce di un lampo videro galoppare, attraverso l'altipiano, una ottantina di cavalieri.

— Mi sembra che cerchino — disse Carminillo.

— Che si siano già accorti che non siamo rimasti sotto le rovine del minareto? — chiese la gitana, con inquietudine.

— È quello che temo.

Infatti i briganti si avanzavano, sfidando intrepidamente l'acquazzone, per nulla demoralizzati dalle gravissime perdite subite.

— Torniamo a fuggire? — chiese Pedro, il quale temeva che i riffani accerchiassero la macchia.

— Con tutti questi lampi ci scorgerebbero subito — rispose Carminillo.

— Che cerchino proprio noi?

— E chi altri?

— E ci lasceremo prendere?

Carminillo alzò le spalle, poi, dopo un breve silenzio, disse: — Sai che cosa dicono i mussulmani quando si vedono perduti? Siamo nelle mani di Allah! E cedono soltanto quando ogni resistenza è diventata impossibile.

— Noi non siamo né turchi, né mori, né arabi, Carminillo.

— Non dico di lasciarci prendere senza opporre una disperata difesa, Pedro. Se anche diluvia le nostre armi possono sparare egualmente, mentre i briganti ne avranno troppe ad avancarica, che dopo un primo colpo rimarranno mute... Guarda, Pedro, guarda, Zamora, si direbbe che hanno scoperto le nostre tracce. È appunto qui che si dirigono, e cominciano già l'accerchiamento della macchia. Prepariamoci a consumare le nostre ultime cartucce.

I briganti, guidati dal loro infallibile istinto, cominciavano ad allargarsi formando un ampio cerchio. Quella manovra durò una buona mezz'ora e fu compiuta sotto l'acquazzone. I briganti però, avvolti nelle loro larghe cappe di pelo di cammello, quasi impermeabili, potevano ridersene dell'umidità.

— Siamo completamente accerchiati — disse Carmìnillo, con un sospiro.

— Peraltro non osano avanzare — osservò Pedro.

— Aspetteranno l'alba.

— Allora possiamo considerarci perduti.

— Lo credo anch'io, ed ora che ho ben riflettuto, vi sconsiglio di far fuoco e d'impegnare il combattimento. A loro ormai non sfuggiremo più, quindi cerchiamo di non irritarli maggiormente.

— Vorrei però sapere che cosa faranno di noi.

— Ci terranno come prigionieri di guerra, spero.

— Speri!

— Colla guerra che infuria, anche loro, Pedro, non sempre sfuggiranno agli agguati che tenderanno i nostri compatrioti, e prigionieri ne verranno condotti a Melilla. Ci tornerà quindi conto di conservarci in vita per tentare, più tardi, degli scambi.

— Hum!... — fece il furioso chitarrista. — Ho i miei dubbi.

— Ed allora se tu credi che noi possiamo abbatterli tutti, spara il primo colpo di fucile. Ricordati però che non siamo più dietro le muraglie del minareto, e che anche i riffani hanno, oggidì, se non tutti una buona parte, armi a tiro rapido. Vuoi sparare ora? Io sono pronto ad imitarti.

— Non oso — dichiarò Pedro. — Non voglio sacrificare Zamora che tu ami tanto.

— Grazie, amico — rispose Carminillo, commosso.

Si appoggiarono contro il tronco della quercia e non parlarono più.

Intanto i briganti continuavano a muoversi lentamente, stringendo sempre il cerchio di ferro e di fuoco.

Così passarono cinque lunghissime ore d'angoscia pei due studenti e la gitana.

Il cielo, a poco a poco, si era un po' rasserenato, e solo il vento ululava ancora salendo dall'abisso.

L'alba stava per spuntare, un'alba tragica pei fuggiaschi.

Un getto di luce rosea invase l'orizzonte, distendendosi rapidamente e fugando le tenebre, poi, dopo pochi minuti il sole sorse dal mare, saettando la costa africana di raggi infuocati.

I riffani avevano avanzato fino a cento passi dalla macchia, puntando i loro fucili verso la quercia.

I due studenti e Zamora si erano alzati in preda ad una viva commozione che stentavano a vincere. Si strinsero fortemente le mani, poi si spinsero verso lo sceicco che caracollava dinanzi ai suoi uomini, tenendo le bocche dei fucili rivolte a terra.

— Ah!.. Ah!... Vi abbiamo scovati!... — gridò il bandito, ghignando. — Ci credevate delle lepri? No, siamo buoni cani che fiutano il cristiano anche a molta distanza. Vi arrendete?

— Non abbiamo ancora consegnati i nostri fucili, — rispose Carminillo — quindi siamo ancora liberi.

— Non siete che in tre.

— E dovreste appunto per questo vergognarvi di assalire, in cento, due giovani ed una ragazza. E vantate il vostro coraggio? Dov'è?

Lo sceicco corrugò la fronte e fece un gesto d'impazienza.

— Tu hai veduto se ieri sera siamo fuggiti dinanzi alle cannonate dei tuoi compatrioti. Sei stato tu a chiamare quella cannoniera in tuo aiuto?

— Ci ha soccorsi così bene che per poco non ci seppelliva sotto le rovine del minareto.

— Ah!... Questo è vero. Da dove veniva quella nave? Che cosa voleva?

— Che ne sappiamo noi?

— Ah!... Non volete parlare?

— Non abbiamo nulla da dire avendo lasciata la Spagna prima ancora che la guerra scoppiasse.

— Sempre mentitori questi cani rognosi di cristiani, e sempre vili!... — gridò lo sceicco.

— Vili!... Vuoi provare, tu, quanto noi disprezziamo la vita? Tu crederai di essere un grande guerriero: ebbene, se non hai paura, io ti sfido a batterti contro di me.

Tutti i briganti, i quali a poco a poco si erano radunati intorno al capo, erano scoppiati in una clamorosa risata.

Lo sceicco fissò i suoi occhi neri come due carbonchi in quelli di Carminillo, poi disse: — Ah!... Tu osi sfidarmi e dinanzi a tutti i miei guerrieri!

— E aggiungerò che se non ti batterai ti proclamerò ad alta voce un vile.

— Potrei farti tagliare la lingua e poi darla a mangiare al tuo compagno, — dichiarò il capo — come ho fatto già con altri, ma ora non sarò la Pantera del Gurugù, come mi chiamano i miei guerrieri.

— Una pantera che non mi fa affatto paura — rispose audacemente Carminillo, con un sorriso di scherno.

— Per la dannazione eterna di Sid Omar!... — urlò il bandito, digrignando i denti. — Tu osi affrontarmi!...

— E subito se non hai paura.

Il capo rimase per alcuni secondi come istupidito, guardando, con un po' di spavento, il giovane avversario. Abituato ad imporre la propria volontà, gli pareva impossibile di aver trovato un ragazzo che gli teneva fieramente testa.

— Come vuoi batterti? — chiese finalmente colla voce soffocata da una collera terribile. — Col fucile o coll'yatagan?

— Preferisco le armi da fuoco — rispose Carminillo.

— Ti pianterò una palla proprio in mezzo alla fronte!... — esclamò; poi soggiunse, accennando Pedro e la gitana: — Olà amici, conducete qui un cavallo. Badate intanto che gli altri non fuggano.

I mori, grandi ammiratori della gente risoluta e battagliera, avevano cessato di ridere. Mentre il cavallo veniva condotto, Pedro e Zamora si erano avvicinati rapidamente a Carminillo, il quale conservava una calma meravigliosa.

— Vuoi farti uccidere? — chiese il futuro avvocato, con voce alterata. — Questo duello era inutile.

— Anzi, utile, — rispose il giovane ingegnere — poiché se non morrò e riuscirò a vincere la Pantera del Gurugù, verremo rispettati, anzi temuti.

— Vuoi che prenda il tuo posto, señor? — disse la gitana. — Cavalco come i marocchini, e tu sai come io so collocare le palle del mio fucile.

— Il capo non accetterebbe mai di misurarsi contro una fanciulla. Sono feroci, questi riffani, tuttavia è rimasta in loro una briciola di nobiltà.

— Lascia il posto a me, allora — propose Pedro.

— Mi surrogherai, se la morte mi porterà via.

Due banditi avevano condotto un cavallo di piccola statura, di forme snelle ed eleganti, gli occhi vivi, le nari ben aperte, e la testa bellissima. Non era un cavallo comune, bensì scelto dai riffani con cura fra gli ottanta che erano ancora rimasti, per dimostrare al giovane animoso la loro ammirazione pel suo indomito coraggio.

Carminillo si sentiva abbastanza sicuro di smontare il capo dei furfanti, calcolando sulla inesperienza dei riffani come tiratori.

Guardò il cavallo, osservò attentamente le cinghie, per evitare un possibile tradimento, poi montò in arcione, calmo e tranquillo come se dovesse recarsi a fare una serenata.

La gitana pallida come una morta, o cogli occhi umidi, gli si era avvicinata, dicendogli: — Mio signore, rinuncia a questo duello che già non salverà nessuno.

— Ormai è troppo tardi — rispose Carminillo, raccogliendo le briglie.

— E se ti uccidono?

— Io lo vendicherò — disse Pedro, il quale cercava di mostrarsi pure tranquillo e calmo.

— E dopo? — chiese la giovane, con un sordo singhiozzo.

Ad un tratto mandò un urlo di belva e alzò minacciosamente il fucile.

— Ci sarò anch'io!... — gridò. — Pantera del Gurugù, guardati, perché dovrai misurarti pure con noi.

— Contro di te!... — esclamò lo sceicco, con stupore. — I guerrieri del Riff non si battono contro le donne, e poi io ho promesso a Siza Babà di risparmiarti e manterrò la parola.

— Chi è?

— La Strega dei Vènti.

— Che Allah la maledica!...

Lo sceicco alzò le spalle, raccolse a sua volta le briglie, fece cenno ai suoi uomini di far largo, spronò a sangue il cavallo, strappandogli un nitrito di dolore, e partì gridando: — Il giovane pollo è già morto. Il suo Dio l'ha già cancellato dal numero dei viventi!...

Carminillo strinse la mano ai compagni, rassicurandoli con uno sguardo pieno di fierezza, poi lanciò egli pure il cavallo.

I briganti aveano aperte le file, però dieci o dodici erano rimasti a guardia di Pedro e della gitana, pronti a fulminarli se avessero tentato qualche tradimento.

Altri invece si erano spinti molto al largo, per impedire a Carminillo di fuggire.

Lo sceicco galoppò per tre, o quattrocento metri, poi fece fare al suo cavallo un rapido volteggio, e mosse a gran corsa contro l'avversario, il quale era rimasto immobile.

Carminillo non pareva affatto preoccupato. Di quando in quando, con grande calma, prendeva la mira, riabbassando sempre l'arma. Voleva essere sicuro del colpo prima di far fuoco.

Per alcuni minuti lo sceicco continuò la sua corsa sfrenata, poi passando a cinquanta metri dallo studente, sparò due colpi di fucile, lanciando contemporaneamente un alto grido. Ma i due proiettili non lacerarono che l'aria.

Pronto come il lampo, Carminillo rispose pure con due colpi alla distanza di sessanta metri, giacché il cavaliere aveva subito ripresa la sua corsa. Un grido echeggiò, un grido terribile, che pareva quasi il ruggito d'una belva.

Lo sceicco aveva fatto fare al cavallo un gran salto, seguito da un rapido voltafaccia.

Lo videro ad un tratto alzarsi violentemente sulle larghe staffe, gettare indietro, con una mossa rabbiosa, l'ampio mantellone, poi abbandonare il fucile. Si mantenne ritto qualche istante, portandosi ambe lo mani al petto, poi stramazzò in mezzo ad un cespuglio.

Il cavallo, sentendosi libero si diede ad una corsa furiosa, precipitandosi dentro la macchia.

Urla terribili, feroci, avevano accolto la vittoria del giovane studente e la caduta del guerriero che si faceva chiamare la Pantera del Gurugù.

Per alcuni istanti i banditi rimasero immobili sui loro cavalli, come colpiti da un profondo stupore, poi guidati dal sottocapo, un pezzo di diavolo dall'aspetto feroce, che aveva il viso coperto da una folta barba nerissima, accorsero in aiuto dello sceicco, il quale non si era più rialzato; poi circondarono il vincitore, il quale non aveva pensato a fuggire, sapendo bene che il tentativo sarebbe fallito.

Il sottocapo si curvò sullo sceicco, lo scosse replicatamente con grande violenza, poi guardando i cavalieri, disse: — Il colombo giovane ha ucciso la vecchia Pantera del Gurugù, con due palle nel petto. Io assumo ora il comando, e tutti mi dovrete obbedire, — poi volgendosi a Carminillo, il quale era sempre fermo sul suo cavallo, perfettamente tranquillo, gli disse: — Tu saresti diventato un giorno un gran guerriero nel tuo paese, poiché nessuno avrebbe osato sfidare la Pantera del Gurugù, disgraziatamente dubito assai che tu ritorni in Spagna.

— Io mi sono battuto lealmente — rispose Carminillo. — Tutti voi siete stati testimoni.

— Il morto è uno sceicco celebre pel suo valore, ma abbattendolo non hai guadagnato nulla, cane d'un cristiano!

— Un cane, innanzi tutto, sarai tu. Vuoi provarti anche tu contro di me?

Il sottocapo barbuto lo guardò con gran stupore, non esente anche da un certo timore, poi disse: — Io non amo questi giuochi.

— Perché tu hai paura.

— Tutti questi guerrieri non mi hanno mai veduto fuggire dinanzi al nemico, per quanto numeroso fosse.

— E fuggi dinanzi a me, dinanzi quasi ad un ragazzo — soggiunse Carminillo, con disprezzo.

— Non amo i duelli. Un combattimento fra due, senza fragor di cavalli scalpitanti, senza gran polvere, senza quelle alte grida che entusiasmano il vero guerriero, e lo spingono ad atti eroici non mi va.

— Allora rifiuti?

— Rifiuto.

— Tu sei pallido, o meglio, grigiastro per spavento.

— Io!... — urlò il sottocapo, estraendo un affilatissimo yatagan, e spingendosi furiosamente contro Carminillo.

Questi, che aveva ancora il mauser fra le mani con parecchie cartucce, fu pronto a puntarglielo contro, arrestandolo di colpo.

— Ah, cane d'un cristiano!... — urlò il riffano, furibondo. — Oseresti fare fuoco anche contro di me?

— Sì, se ti avvicini.

— E credi tu di poter lottare, coi tuoi compagni, contro tutti noi?

— Lo so, pur troppo, che noi non lo potremo.

— Allora cedi il tuo fucile, od io ordino il fuoco e vi massacro tutti.

— Siete dei vili e delle grandi canaglie!...

— Al nostro posto faresti altrettanto — rispose il sottocapo.

— Non si uccidono le fanciulle in Spagna.

— Ah, non temere per quella gitana! Abbiamo promesso di risparmiarla, e quantunque ci chiamino briganti, come ti aveva detto il capo, non cadrà sotto i nostri colpi. Consegna il tuo fucile: abbiamo perduto già troppo tempo.

Carminillo si volse e guardò Pedro e Zamora.

I due disgraziati erano stati già disarmati e ben legati.

— Vili, canaglie!... — gridò ancora Carminillo: poi prendendo il fucile per la canna, giudicando ormai inutile ogni resistenza, lo scagliò lontano, facendo scattare un colpo che per un vero miracolo non ammazzò qualcuno.

Subito sette od otto briganti, che impugnavano degli yatagan lunghi più d'una navaja spagnola, gli furono addosso, lo strapparono dalla sella e lo gettarono a terra, legandolo rapidamente con delle corde di pelo di cammello.

— Che cosa farai ora di noi, miserabile? — chiese Carminillo al nuovo sceriffo, che rideva a crepapelle vedendolo dibattersi.

— Si dice che sul mercato di Melilla, i tuoi compatrioti hanno scannato alcuni riffani che erano scesi dalla montagna per vendere le loro galline, i loro montoni e le loro frutta — rispose il brigante. — L'hai saputo, tu?

— No, perché non sono mai stato in quella fortezza.

— E sei spagnolo! ...

— E che cosa vuol dire? L'ho detto già che noi siamo venuti dal mare e prima che la guerra scoppiasse.

— Va bene — disse il brigante, accarezzandosi la folta barba. — Tu sei stato sorpreso sul nostro territorio che è chiuso agli stranieri, a qualunque nazione appartengano; noi abbiamo saputo che tu ed i tuoi compagni avete sparato sui nostri compagni che abitano le dune, e che ne avete ammazzati non pochi; ora hai ucciso la Pantera del Gurugù. Nemmeno Maometto, che era pure misericordioso coi vinti, ti assolverebbe. Di questo affare ne riparleremo.

— Ti prepari ad assassinarci, jena del Gurugù!

— Jena del Gurugù!... Sia!... L'altro era la pantera ed io mi accontenterò di essere quel lurido animale per gettare all'aria le tombe dei tuoi compatrioti e disperderne le ossa ai quattro vènti.

— Che Allah ti maledica!... — urlò lo sventurato giovane, il quale si sentiva ormai perduto.

— Sono un buon mussulmano, ed ho sempre obbedito al Profeta, che ha predicato il ferro ed il fuoco contro voi cristiani.

— Allora impugna il tuo yatagan e scannami e sia finita, bandito!...

— Sarebbe una morte troppo dolce — poi si volse verso i briganti e chiese loro: — Siamo pronti?

— Sì, capo — risposero tutti.

Quattro uomini alzarono Carminillo e lo rimisero sul cavallo colle gambe però legate al collo del destriero, il corpo disteso sulla groppa e la testa stretta contro la coda.

Anche Pedro avea subito eguale trattamento. Zamora, dopo una breve legatura, aveva ricevuto un cavallo.

— Andiamo — disse il nuovo sceriffo. — La Strega dei Vènti ci aspetta.

I cavalieri si misero in marcia al passo. Quattro banditi a destra e quattro a sinistra, sorvegliavano i prigionieri, coi fucili in pugno.

La banda, dopo una mezz'ora, raggiunse la gola dalla quale era uscita, l'attraversò in tutta la sua lunghezza, poi rimontò verso un'altura sui cui fianchi si scorgevano numerose tende. Era il duar di Beni-Buazebid.