I Salmi di David (Diodati)/SALMO IX
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SALMO IX.
1 Con tutto ’l cor farò famose e chiare,
Di te, Signor, le lodi:
E in alti e sacri modi,
Celebrerò tue meraviglie rare.
In te l’alma prendrà sue gioie care,
Con giubilo e con riso,
Salmeggiando, o Sovran, tuo Nome altero.
Gli sguardi tuoi voltar in fuga fero
Il fier nemico stuol, perir conquiso,
E traboccar a monte a monte ucciso.
2 Perchè la nota a te dritta ragione
Dagli empi non volesti
Che sempre oppressa resti,
Anzi, in man presa mia difensione,
Giusto rettor, ne la real magione,
Salisti in sedia augusta.
Il tonante sgridar d’agra minaccia,
Che vibrò quindi l’accesa tua faccia,
De le genti disfè la turba ingiusta,
D’eterno oblio e vitupero onusta.
3 O nemico fellon, di stragi eterne
Hai pur le voglie paghe?
Le nostre città vaghe
Cader facesti ne le parti inferne,
Nè per memoria più traccia sen scerne?
Ma, nel gran tribunale,
Senza posa, nè fin, il Signor siede.
Di giustizia fermò quell’alma sede:
Quivi sentenzia il mondo universale,
Dando a tutti mercede a’ fatti uguale.
4 Al tristo poverel darà, pietoso,
Qualor sarà distretto,
Alto e sicur ricetto,
D’ogni assalto mortal salvo e nascoso.
Color, cui del tuo Nome glorioso
Palesi i pregi festi,
Quindi, Signor, d’aver in te fidanza,
Consolati, prendran lieta baldanza.
Che que’ ch’han dietro a te gli spirti desti,
Lasciati unque non son diserti e mesti.
5 Chiara ne voli in salmi, suoni e canti,
Del gran Signor la lode,
Che d’abitar si gode
Del monte di Sion i gioghi santi.
Fra le genti a narrar gli eterni vanti
Di sue mirande prove
Nessun fedel si rechi lento, o scarso.
Che l’obliato già del sangue sparso
Merto egli rende, con vendette nuove,
Nè ’l gridante meschin da sè rimuove.
6 Di me pietà, caro Signor, ti vegna,
Ch’al salir da le porte
Di tenebrosa morte,
Di salute e favor m’alzi l’insegna.
De l’empio orrendo strazio ti sovvegna,
Che da’ nemici sento.
A fin ch’abbia da far tue laudi conte,
Fra ’l popolo fedel nel sacro monte.
E, festante, sonar dolce concento,
Liberato per te d’indegno stento.
7 Le genti traboccar nel fosso istesso,
Ch’esse cavato avieno
Venne lor fraude meno,
E ne l’occulto laccio il piè fu messo,
U’ credean irretir il giusto oppresso.
Quindi si fe’ palese
Del gran Signor l’eccelsa gloria immensa,
Per la ragion, ch’a lance ugual dispensa.
Ne le frodi e lacciuoi, che scaltro tese,
Colto fu l’empio: o memorande imprese!
8 Andranno in volta, ne la tomba scura,
Tutti gli empi, che Dio
Profondan ne l’oblio.
Che, messa a non caler la sorte dura,
Del povero, o perir sua speme pura,
Non fie sempre si vegga.
Sorgi, Signor, che l’uom forze non prenda:
A le genti il fio lor tua faccia renda.
Fa ch’a ciascun nel cor spavento segga,
E che, confuso, esser sol uom s’avvegga.