I Salmi di David (Diodati)/SALMO CXVIII

SALMO CXVIII.

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SALMO CXVIII.

1          Al Signor date lodi,
     Ch’egli è clemente e buono,
     Ed eterna è la sua benignitade.
     Or bandisca Israel, in chiaro suono,
     E la casa d’Aron, in sacri modi,
     Che sua gran caritade
     Dura per ogni etade.
     Dica ogni suo temente,
     Che sua pietà dimora eternamente.
2          Di grevi affanni oppresso,
     A Dio diedi alte grida.
     Mi rispose e francò d’ogni contesa,
     E compagnia tuttor mi tiene fida.
     Onde non fie giammai mio cor perplesso
     D’umana infesta impresa.
     Perch’esso è mia difesa,
     Su l’estil capo altero
     Tosto veder giusta vendetta spero.
3          Meglio è ripor la spene
     Del Signor ne l’aìta,
     Che ne l’uom affisar fidanza vana.
     Meglio è d’aver la fede stabilita
     Nel sol Signor, in tutte angosce e pene,
     Che ’n potenza mondana
     Di signoria umana.
     Perchè di re mortale
     È la destra a salvar incerta e frale.
4          Per darmi un fiero assalto,
     Gran genti m’accerchiaro:
     Nel Nome del Signor, da me conquise,
     In vergognosa fuga si voltaro
     Tutte aringate a me venner di salto:

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     Di Dio nel Nome uccise
     Restaro in varie guise.
     Qual l’api un sciame grosso,
     A me improvviso, s’aggreggiaro addosso.
5          Ma come stipa ardente
     Di spine è spenta ratto:
     Così, per l’alta del Signor virtute,
     Il loro stuol da me cadde disfatto.
     Tu m’urtasti, o nemico, fieramente,
     Per tormi la salute,
     Con mortali cadute.
     Ma in questo crollo grave,
     Erto il Signor e sostentato m’have.
6          L’invitta mia possanza,
     Suggetto de’ mie’ canti,
     È il sol Signor, mio caro salvadore:
     D’alma vittoria i gridi trionfanti
     Scoppian de’ giusti ne la lieta stanza:
     La destra del Signore
     Fe’ prove di valore:
     Eretta in somme altezze,
     La destra del Signor fece prodezze.
7          Di morir non pavento,
     E di viver son certo:
     Per narrar del Signor gli atti ammirandi:
     Ben ho da lui gastigo aspro sofferto,
     Nè mai di darmi morte ebbe talento.
     Aprite gli usci grandi
     Dei templi venerandi,
     D’alma giustizia sede,
     Afin che ’n quelli i’ metta il casto piede.
8          Quivi fie, ch’i’ racconti
     La tua gloria sovrana:
     Del Tempio del Signor quest’è la porta,
     Per quella i giusti avran entrata piana.
     Quivi di te farò gli onori conti,

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     Che m’hai l’orecchia porta:
     Ond’in vita risorta
     È l’afflitta alma mia,
     Per lo soccorso di tua destra pia.
9          Quel che gran tempo giacque
     Da’ folli fabbricanti,
     Riprovato nel suol sasso negletto,
     In fronte del canton fu posto avanti.
     Questo al Signor così disporre piacque:
     Ed è miracol schietto,
     Fatto al nostro cospetto.
     Quest’è il dì ch’oprò Dio:
     In esso festeggiam d’un gaudio pio.
10          Deh, salvane, ti chero,
     Signor, per tua mercede
     Benedetto colui, ch’a’ suo’ devoti,
     Nel divin Nome muove il santo piede
     Del popol suo per governar l’impero:
     Noi, di Dio sacerdoti,
     V’accogliam co’ pii voti.
     Dio, ch’è Signor eterno,
     Col suo ci alluminò guardo paterno.
11          La vittima votiva
     Sie con le funi avvinta
     A l’alte corna dal sagrato Altare:
     Tu sei lo Dio ch’adoro senza finta,
     La tua voglio intonar laude festiva:
     E le tue glorie chiare
     Fin al ciel esaltare.
     Il Signor celebrate,
     Ch’egli è buono, ed eterna è sua pietate.