I Salmi di David (Diodati)/SALMO CII
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SALMO CII.
1 Ascolta il prego mio,
Caro Signor, e a te pervenga al cielo
Il grido che t’invio.
La faccia non celar d’un fosco velo:
Mentre d’affanno anelo,
A me l’orecchio inchina.
La tua mercè divina,
Qualor ti fo l’acerbe doglie conte,
Mi die risposte grazïose e pronte.
2 Ratto si dileguaro
I giorni miei, come fumo e vapore:
L’ossa mie si seccaro,
Qual arsiccio tizzon, privo d’umore.
Fummi percosso ’l core;
E come erbaggio passo,
Fu d’ogni vigor casso.
Mi fer l’angosce amare, ond’io m’accoro,
D’ogni cibo obliar l’almo ristoro.
3 Pe’ sospiri infocati
Son gli ossi, del natío succo rasciutti,
A la pelle attaccati.
Qual gufo o pellican in ermi brutti
Piango, ne’ fieri lutti.
Le luci il dolce sonno
Giammai gustar non ponno.
Al passer solitario sopra ’l tetto
Nel gemer i’ rassembro ansio del petto.
4 Oltraggi, strazi e scorni,
I mie’ nemici, contra me rabbiosi,
Mi fanno tutti i giorni.
Di maladir i modi dispettosi,
Da’ mie’ casi dogliosi,
Prendon con furie insane:
Perchè ’n vece di pane
La sozza polve e cenere ho mangiata,
E co’ pianti la mia coppa adacquata.
5 Perchè, di sdegno acceso,
Tu m’hai, Signor a basso traboccato,
Ed in terra disteso:
Appresso avermi in glorioso stato
Innanzi sollevato.
Qual ombra vespertina,
La vita mia dichina.
Ed i’ mi struggo, spasimato, in guisa
De l’erba ch’arde il sol, falce ha recisa.
6 Ma tu, Signor, dimori
Immutabile e immoto in ogni etade:
I memorandi onori
Son sempiterni di tua Maestade.
Sorgi ed abbi pietade
De la cara Sione,
Ch’è matura stagione
Che ’n lei spieghi le tue grazie divine,
Omai ch’è giunto l’assegnato fine.
7 Perch’a’ suoi sparsi sassi
Hanno i tuo’ servi l’affezion rivolta:
Piangendo che la lassi
Negletta in polve e cenere sepolta.
Le genti in schiera folta
A te, Signor, verranno,
E ti riveriranno.
Anche del mondo tutti i prenzi e regi,
A te daran d’eterna gloria i pregi.
8 Quando ’l Signor la mano
Avrà messa a rifar Sion diserta,
E del regno sovrano
Al mondo svelerà la gloria aperta
Qualor fie, che converta
Gli occhi a la prece ardente
De l’afflitta sua gente.
E racquetato più non abbia a schivo
Il suo pregar di zelo acceso e vivo.
9 A la gente futura
Ciò fie scritto per fida ricordanza:
Onde l’età ventura
Ti renderà di laudi l’onoranza.
Che da la santa stanza
Del cielo tuo sublime,
Le parti basse ed ime
Mirar ti piacque, con i lumi desti,
E de’ fedeli tuoi cura prendesti.
10 Perch’ad udir ti pieghi
De’ carcerati i gridi dolorosi:
E que’ liberi e sleghi,
Che dura morte aspettan angosciosi:
Onde cantin gioiosi
In Sion le tue lodi:
Ed in festivi modi
Sienti in Salem sacrati i pregi degni,
Quando a servir verranti e gente e regni.
11 Ei m’atterrò tra via,
E le forze fiaccò, sì che repente
Scorciò la vita mia.
Onde porsi al mio Dio prece dolente,
Deh, non far me languente
D’aura vital diviso,
A mezzo corso anciso.
Tu sol eterno Dio, sol anche puoti,
Per tua grazia eternar i tuo’ devoti.
12 Tu de la terra il pondo
Ne l’imo centro hai posto e stabilito:
Del cielo, a tondo a tondo,
Con le mani formasti il circuito.
Pur fie tosto finito
L’esser de’ tuoi lavori.
Ma tu, Signor, dimori,
Mentre invecchiati, come un vestimento,
Quelli trapasseran in un momento.
13 Lor forma muterai,
Come si cangia logorata veste.
Ma tu sempre sarai
Stabile e uguale: n’unque fie che reste
Il viver tuo celeste.
Anche de’ tuoi famigli
Avran la stanza i figli
Del cospetto divin al vivo sole,
U’ sarà ferma senza fin lor prole.