I Mille/Capitolo XXVII

Capitolo XXVII. Messina

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CAPITOLO XXVII.

MESSINA.

Sei pur fatata, o bellicosa e bella
 Del Jonio Regina!
 (Autore qualunque).



I Dardanelli, il Bosforo, Genova, Napoli, il Rio Janeiro, appartengono a quei punti della superficie del globo su cui natura profuse i suoi incantesimi, e l’arte aggiunse le sue magie, prodigate dal lusso e dalle ricchezze alle superbe bellezze della natura.

Da giovinetto, dopo le ruine di Roma, nulla mi commosse quanto quegli scherzi naturali che vi gettano nell’animo un indescrivibile piacimento ed un’ammirazione somma, — e nella fortuna che io ebbi di veder tanta parte di mondo, confesso esser stato più colpito alla vista dello stretto di Messina che di qualunque altro.

Stromboli, faro del Faro1 colle sue eruzioni eterne, visibile alla distanza di sessanta miglia,

[p. 131 modifica] che stupisce d’ammirazione, di rispetto e di gratitudine il navigante battuto dalle tempeste, e che può alla sua vista cercar con sicurezza un rifugio, fuggendo alle terribili divoranti scogliere di Scilla.

Il vulcano di Lipari, minore dello Stromboli, ma anch’esso fumaiuolo della terra, ed i vulcani Alicudi-Felicudi, Salina, alti come il primo, ma spenti; — ma piramidi stupende vomitate dall’igneo centro del nostro globo, al disopra d’Anfitrite. — Entrando nel Faro da maestro a sinistra, le magnifiche falde dell’Aspromonte, certamente fratello dell’Etna, e l’aprica costa di Reggio col piede nell’onda, a destra le bellissime colline della Trinacria, servendo di contrafforti al padre dei vulcani italiani il Mongibello2, lo stretto abbellito da Reggio, da Messina, da centinaia di pittoreschi casolari e da quella stupenda vegetazione di aranci, olivi, e quanto può vantare l’agricoltura meridionale è veramente incantevole.

Reggio promette un avvenire splendido, ma Messina è destinata certamente ad essere uno dei primi emporii del Mediterraneo.

Il sorprendente fenomeno della Fata Morgana che dipinge (non ricordo bene) la città di Reggio o quella di Messina, od ambidue nelle cristalline onde dello Stretto, è unico tra i fenomeni del mondo. [p. 132 modifica]

Infine, al giovine nauta italiano, amante della natura e delle sue bellezze, lo stretto di Messina veduto per la prima volta, fa un effetto magico ed egli lo rivede sempre con amore.

Eran le 11 della sera, quando un palischermo partito dall’incrociatore borbonico la Formidabile, sbarcava sulla spiaggia orientale della città di Messina una donna, che chiameremo Signora — giacchè le sue vesti eran piuttosto pompose — e siccome un segnale era stato fatto da bordo sulla spiaggia, si trovò chi ricevette la Signora, già antecedentemente annunciata, e che l’accompagnò negli appartamenti principali del Castello.

Lo ripeto: la donna angelo, quando buona, diventa un demonio, quando padroneggiata dal Lucifero dell’Italia e del mondo — il prete! —

E tale era la contessa N..., una delle più cospicue gesuitesse che la società contasse in quell’epoca. Favorita, prediletta di monsignor Corvo, ed una delle sue prime vittime. Figlia d’un’illustre famiglia di Roma, e di rara bellezza, essa era caduta nelle reti del Gesuita, ancor giovane, ed una volta nelle ugne di quel tentatore, il di cui talento per la seduzione non era secondo a quello del primo serpente della favola, essa divenne uno dei personaggi più importanti della setta.

«Voi manderete, generale, per quella ragazza, non è vero? Guardate ch’essa è immensamente desiderata dal S. Padre, per solennizzare la più [p. 133 modifica] splendida delle vittorie cattoliche, la conversione di due anime ebree, cioè dannate e ritornate al santo grembo di Dio, che è la sua Chiesa».

«Madonna» rispose il generale Comandante la cittadella di Messina, «Voi non dubitate certamente dell’immenso mio desiderio a compiacervi, ma voi mi proponete un’impresa ardua. La Marzia è molto amata e stimata sul campo dei rompicolli; se il minimo barlume trasparisse dell’impresa nostra per impadronirsene, non solo sarebbero sterminati coloro che tentassero di rapirla, ma forse succederebbe la sorte stessa a quanti parteggiano per noi in Messina.»

«Già lo sapevo, ripigliò l’altera contessa, che poco o nulla s’ha da sperare dai generali di Francesco II, quando essi si lasciarono carpire la Sicilia intiera da pochi filibustieri nudi e male armati». E la bella malvagia donna, così dicendo, ritirò la sua sedia dalla vicinanza del generale, e si mise a squadrarlo alzando il bellissimo capo, e dondolandolo, — che avrebbe potuto servir di modello a Michelangelo, quando concepiva l’idea di far una statua dell’Italia d’uno dei più alti picchi degli Apennini3. Essa lo fissava nello stesso tempo con due occhi, ove non so se imperasse più la seduzione della superba figlia d’Eva o il disprezzo che generalmente hanno le donne per i codardi. [p. 134 modifica] «Pace! pace!» urlava l'amante4, «Pace, madonna, io mi lancierò a qualunque pericolo per compiacervi, dovess’io stesso capitanare l’impresa e lasciarvi la vita».

E con un generale borbonico di meno, diceva tra sè la proterva, la terra continuerà la sua rotazione, ed il Figlio maggiore, per noi, dell’Infinito apparirà a levante per coricarsi a ponente, dopo d’essersi nauseato ad illuminare questo gregge di schiavi che si dicono discendenti dal più grande dei popoli del mondo, e che non si vergognano d’esser il ludibrio de’ loro servi da tanti secoli.

Vittima, come abbiam detto, era stata la contessa del più astuto dei gesuiti, e col suo spirito e la sua bellezza, era divenuta il Beniamino, e quasi il pezzo maggiore della terribile setta. — Tuttavia era Italiana, calpestava col disprezzo questa generazione d’eunuchi degli harem dello straniero, ma il suo cuore romano palpitava a qualunque bel fatto degli Italiani, e confessava a se stessa con compiacenza l'ammirazione per i militi di Calatafimi, e ne andava superba.

Un sentimento prepotente nella donna però la dominava, e questo era una sterminata gelosia per Marzia, più giovane di essa e non men bella — che sapeva poi, esser stata, e forse esser ancora la prediletta di Corvo. [p. 135 modifica]

Vedendo il generale prostrato a’ suoi piedi, la sua bocca accennò un sogghigno di sprezzo, ma ritornando al carattere gesuitico da lei assunto, e ricordando l’odiata rivale, la contessa concesse la mano al mercenario, ed anzi, lo aiutò a rialzarsi, unico favore che egli mai avesse ricevuto dalla superba romana.

«Io non sperava meno da voi» — ripigliò l’astuta — «e S. Maestà il Re ne saprà di certo tener conto dietro le raccomandazioni supreme di S. Santità».

«— Con tutto il rispetto che io devo agli eminenti personaggi da voi nominati, è a voi, Madonna, che io voglio piacere ed ubbidire in quest’impresa ». —

E queste parole furono pronunciate con accento energico e risoluto, poiché anche un mercenario è suscettibile di sentimenti di bravura in presenza della bellezza.

«— Comunque, voi servirete degnamente la causa della legittimità, dell’ordine e della religione». — (Solite menzogne non delle sole gesuitesse).

Con inchini striscianti, ma divorandola cogli occhi, il generale accompagnò la Signora nell’appartamento a lei preparato, e tornò nel suo a meditare sull’esecuzione dell’impresa tremenda.



  1. Lo stretto di Messina.
  2. Nome indigeno dell’Etna.
  3. Una delle Garfagnani.
  4. Non per la prima volta egli vedeva quella seducente creatura, di cui la seduzione era tutto lo studio della vita.