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vano la Sicilia intiera in solo venti giorni. Ed in sette sanguinosi combattimenti, coadiuvati dai loro fratelli del mezzogiorno, compivano l’opera sognata dai grandi italiani di tutte le epoche.

Dopo la ritirata dell’esercito borbonico, i Mille poterono organizzarsi, e formaronsi nello stesso tempo varii piccoli corpi, comandati da esperti ufficiali, e Palermo, da una piazza d’armi del dispotismo, divenne in pochi giorni un semenzaio di militi della libertà italiana.

Che bel vedere nelle ore fresche della giornata quei vispi giovani figli della Trinacria, all’esercitazioni militari, con uno slancio, una volontà da consolar l’animo del veterano per cui l’Italia redenta fu il sogno di tutta la vita. — E l’Italia, ripeto, avrebbe potuto redimersi intieramente in quell’epoca gloriosa, se l’inerzia degli uni e la malizia degli altri non avessero inaridito il germe potente dell’eroismo nazionale.

La sosta in Palermo dopo l’evacuazione dei nemici fu pure impiegata ad opere giovevoli. Il gran numero di ragazzi, vagando per le strade, ove per lo più trovano una scuola di corruzione, furono raccolti, riuniti in stabilimenti idonei, ed educati alla vita dell’onesto cittadino, o milite. — Si migliorò la condizione degli stabilimenti di beneficenza, e si supplì di viveri tutta la parte della popolazione indigente, e tutta quella danneggiata dal bombardamento e dalla guerra in generale.